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QT n. 6, 22 marzo 2003 Servizi

“Biocard”: per decidere come vivere e morire

La carta di auto-determinazione, nata per difendersi dagli accanimenti terapeutici, attua concretamente il diritto del cittadino di accettare o rifiutare i trattamenti medici.

Sul numero dell’8 febbraio di Questotrentino abbiamo trattato le problematiche etiche, giuridiche, mediche legate ai trattamenti di fine vita e all’eutanasia. In questo numero ci occupiamo di un problema più specifico, la "carta di autodeterminazione" (o carta delle volontà anticipate, o testamento di vita/biologico, o living will o Patiententestamente, o comunque lo si voglia denominare), cui pure si era accennato in quel contesto, che rappresenta uno dei temi centrali del dibattito bioetico attuale.

Disegno di Marco Dianti.

Ideata negli Stati Uniti negli anni Settanta come forma di difesa contro gli accanimenti terapeutici, la carta di autodeterminazione "ha il suo fondamento etico nel principio dell’autonomia ed il suo principio etico-giuridico nella dottrina del consenso informato, ed ha lo scopo di permettere che le attuali volontà del paziente siano rispettate nel momento in cui egli perderà la "competence", cioè la coscienza e la capacità di prendere decisioni e di comunicarle" (Luciano Orsi, medico presso l’Ospedale di Crema, coordinatore della "Consulta di Bioetica" di Milano, in "Autodeterminarsi nonostante", a cura di Roberta Dameno, Edito da Guerini e Associati, 2002, Milano).

In altri termini, l’autonomia, cioè nel suo significato più ampio il diritto di decidere come vivere e quando e come morire, può trovare concreta attuazione nel campo dell’assistenza medica attraverso il "consenso informato". Principio, quest’ultimo, che indica il diritto del paziente di scegliere, accettare o anche rifiutare i trattamenti (diagnostici, terapeutici, preventivi, palliativi) che gli vengono proposti, dopo essere stato compiutamente informato (salvo sua esplicita rinuncia) sulla diagnosi e il decorso previsto della malattia e sulle alternative terapeutiche (incluso il loro rifiuto) e le loro conseguenze. Pur sancito dal nostro ordinamento giuridico (art. 32 Costituzione, L. 145/2001), nella pratica clinica il consenso informato viene spesso ignorato o eluso e in generale derubricato a semplice formalità, a presa di atto da parte del malato delle decisioni mediche. Anche perché lo stesso diritto ad un’informazione veritiera, che evidentemente ne è il presupposto necessario, raramente viene rispettato. Quando la prognosi è infausta, si ritiene infatti di agire per il bene del malato nascondendogli o addolcendogli la verità. Per conseguenza, il paziente viene di fatto esautorato del suo diritto di autodeterminarsi, gravemente limitato nella sua autonomia.

Questa mentalità e questa prassi, combinate con lo sviluppo straordinario delle tecnologie mediche e delle possibilità terapeutiche, specialmente delle misure di sostegno vitale, hanno finito per determinare i cosiddetti accanimenti terapeutici e per provocare spesso un prolungamento anche considerevole del processo del morire e della sofferenza.

Contro questi abusi sanitari, ha raccolto un vasto consenso, sia nell’opinione pubblica che negli strati più accorti della classe medica, la rivendicazione nei termini più rigorosi del diritto di autodeterminazione. E’ una svolta importante, poiché comporta il superamento del tradizionale rapporto paternalistico tra medico e paziente, in direzione di un modello fondato sulla condivisione delle scelte, che riconosca la centralità del malato e l’importanza della qualità della vita, non della sua durata; qualità la cui valutazione spetta esclusivamente al malato non al curante. E fa sorgere problemi delicati, come avverte Maria Grazia Giammarinaro del Ministero Pari Opportunità (op. cit.): "La valorizzazione dell’approccio relazionale tuttavia non può oscurare due dati di fondo. Il primo è che tra il potere di disposizione del paziente e quello del medico può determinarsi un conflitto. Il secondo è che l’affermazione del principio di autodeterminazione comporta la preminenza della volontà del paziente". E tale preminenza, quindi anche la possibilità di rifiutare i trattamenti, non può essere confinata solo ai casi di malattie in stato avanzato o terminale, ma vale in ogni caso, e significativamente, quando sia in gioco "la perdita della propria dignità fisica, morale e intellettuale, o la perdita di ogni possibilità di vita di relazione". Come ad esempio nel morbo di Alzheimer o nella sclerosi laterale amiotrofica o in conseguenza di incidenti, traumi ecc.

Una volta accolto, sia nella deontologia sia nell’ordinamento giuridico, il principio del consenso informato, non si poteva certo farlo svanire, quando a causa di una sopravvenuta incapacità il paziente non fosse stato più in grado di esprimere in prima persona le proprie scelte. E’ stata questa circostanza, tutt’altro che rara, che ha portato al riconoscimento delle direttive anticipate, vincolanti (entro i limiti di legge e salvo il diritto di obiezione di coscienza) per gli operatori sanitari. Direttive anticipate, che nei testamenti di vita - revocabili o modificabili in qualsiasi momento da parte dell’interessato - hanno trovato lo strumento di aranzia certo e concreto. E in grado di offrire anche altri vantaggi: risparmierà ai congiunti del malato l’ingrato compito di esprimere pareri o assumere decisioni, eviterà possibili conflitti con i sanitari e solleverà questi ultimi da ogni responsabilità. La Carta prevede, infine, la possibilità di indicare una persona (substitute decision-maker), delegata non solo a controllare che le volontà siano rispettate, ma in positivo ad assumere essa stessa le decisioni laddove manchino indicazioni del titolare o permangano margini di incertezza.

L’impostazione di questi documenti permetterebbe di includere anche la richiesta di eutanasia. Lo si può fare, ma ovviamente avrà validità solo nei paesi, che hanno depenalizzato la "dolce morte". Quindi, in Olanda, nella Svizzera tedesca, in Belgio ecc., ma non in Italia. Almeno per ora, poiché in futuro il quadro normativo potrebbe cambiare. E’ in corso, ad esempio, un’iniziativa, dell’Associzione "Liberauscita" (www.liberauscita.it), la quale ha avviato una raccolta di firme su una proposta di legge d’iniziativa popolare per la non punibilità del medico che, sotto determinate condizioni, provochi o agevoli la morte di una persona capace che lo richieda o, se questa si trova in stato di incapacità, che abbia precedentemente formulato per iscritto la richiesta (vedi Scheda 1).

Proprio questo è uno dei motivi che rendono invisa ad alcuni la Carta delle volontà anticipate, nel timore che possa diventare il cavallo di Troia dell’eutanasia. E, per quanto il consenso sia molto ampio, non mancano altri motivi di dissenso: c’è chi la ritiene superflua, in Italia, alla luce delle modifiche introdotte nel 1999 nel Codice di Deontologia Medica che ha dettato regole più rigorose sugli accanimenti terapeutici; chi ritiene che raramente il sottoscrittore della carta possiede le informazioni e le conoscenze necessarie per formarsi un’opinione ed esprimere delle scelte ben motivate; chi teme che diventi un automatismo, che deresponsabilizza il medico, togliendogli competenze essenziali.

La Carta di autodeterminazione sta ora per approdare anche in Italia. La "Consulta di Bioetica", un’associazione con sede a Milano, ne ha messo a punto un modello con la denominazione di "Biocard" ed è impegnata a farla conoscere e a diffonderla. Ed anche se i presupposti legislativi ci sono già tutti - dopo che la legge n.145 del 14.3.2001 ha recepito la "Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina" del Consiglio Europeo (vedi Questotrentino dell’8 febbraio) -, la "Consulta" ha elaborato una proposta di legge specifica per il riconoscimento della Carta, già presentata nella passata legislatura e nuovamente in quella corrente (vedi Scheda 2).

La Biocard non è esattamente un documento di agevole compilazione e i promotori raccomandano agli interessati di consultare il proprio medico di fiducia per comprendere a fondo il significato e la portata di ogni decisione. Si articola (vedine la riproduzione integrale a pag. 25) in sei sezioni, che comprendono disposizioni riguardanti rispettivamente:

1) il diritto del paziente all’informazione;

2) le scelte in ordine ai provvedimenti di sostegno vitale;

3) ulteriori disposizioni, sempre con riferimento ai trattamenti sanitari. In particolare è prevista l’autorizzazione ad essere sottoposto a cure palliative "anche se rischiassero di anticipare la fine" della vita;

4) l’assistenza religiosa;

5) il dopo morte;

6) lo spazio per la nomina del fiduciario e di un suo vicario. Dev’essere sottoscritta dal titolare, dal delegato e dal suo eventuale sostituto, nonché da una persona che funga da testimone.

E’ opportuno, ricorda la "Consulta di Bioetica", che una copia della Carta sia consegnata al rappresentante designato, al medico di fiducia, all’avvocato o al notaio, ai familiari e naturalmente è indispensabile che venga esibita ai sanitari in caso di ricovero ospedaliero