Diritto al suicidio?
Vorrei cercare di implementare la interessante domanda che Luisa Pachera si pone dalle pagine del Trentino: esiste un diritto al suicidio?
Naturalmente concordo con le conclusioni della signora, la quale giustamente sostiene che occorre tutelare da se stesso, quando possibile, chi attenta alla propria salute fisica volendo concludere drasticamente con la propria sofferenza, anche se "solo" di natura morale, psichica.
Quello che rileva la sig.ra Pachera è però un caso emblematico che ricorda in modo stilizzato il bel film comico con Totò e Gino Cervi, rispettivamente nella parte del mancato suicida e dell’eroico soccorritore.
La tesi del film sembra indirettamente avallare un diritto al suicidio poiché, dal fatto di essere stato salvato, il suicida fallito trae un diritto conseguente a venire mantenuto, lui e tutta la sua famiglia, proprio da chi l’ha soccorso. Come a dire: tu, che mi hai impedito di risolvere da me i miei problemi, devi ora provvedere a risolverli!
Dov’è allora l’inghippo?
Com’è possibile ipotizzare uno Stato sociale ove un tale ragionamento fili?
In definitiva: esiste un’alternativa all’assistenzialismo?
Poniamo un caso analogo ma meno delineato, più sfumato, di tentato suicidio: sui pacchetti di sigarette, anche quelli del Monopolio di Stato c’è scritto chiaramente: Chi fuma muore. Come a dire, senza mezzi termini, che fumare equivale a suicidarsi.
Estrapolando il giusto ragionare della sig. Pachera possiamo immaginare uno scenario pazzesco ove generosi giovani soccorritori, senza tanti preamboli, strappino di bocca sigarette accese oppure levino dalle tasche e distruggano mefitici pacchetti di veleno, incuranti delle proteste del malcapitato attentatore di se stesso.
Una domanda cattiva: ha poi il fumatore ammalatosi di cancro diritto all’assistenza sanitaria pubblica?
Come se ne esce?