Di fronte alla guerra: la destra
Intervengono Ivo Tarolli, deputato dell’UDC, Rolando Bonazza, coordinatore di Forza Italia e Marco Zenatti, segretario di Alleanza Nazionale.
Sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che la guerra ci sarà, anche se allo stato attuale delle conoscenze non risulta né che Saddam detenga armi di sterminio di massa, né che abbia legami diretti col terrorismo di Al Qaeda. Se questa situazione non dovesse cambiare, cosa pensate di una guerra che dovesse ugualmente scoppiare?
Tarolli: "Questa vicenda va avanti ormai da dieci anni, con una risoluzione Onu, una guerra, altre risoluzioni Onu, e ormai siamo ad una situazione critica: da un lato con accuse non ancora confortate da prove inoppugnabili, anche se un rapporto dei servizi segreti inglesi confermerebbe che l’Irak sta costruendo armi chimiche, batteriologiche e nucleari. Ora se le verifiche degli ispettori dell’Onu portassero ad una conferma di queste accuse, la conclusione non potrebbe essere che quella - malaugurata - di una guerra. In caso contrario, ci troveremmo di fronte ad una situazione complessa, visto che l’amministrazione Bush è già orientata alla guerra, con le truppe sul posto. Ma il presidente americano deve rendersi conto che questo mondo gli Stati Uniti non possono governarlo da soli. Un’area così strategica non si può trattarla con il bastone. Occorrono argomenti per giustificare una guerra, e il consenso dell’Europa".
Bonazza: "Non esistono più, a livello mondiale, due forze che si contrappongono, garantendo in qualche modo un equilibrio dell’assetto mondiale. La Russia non esiste più come grande potenza, e in compenso sono emerse tante micro-forze, sparse qua e là per il mondo, che in precedenza erano sopite, controllate e che invece oggi appaiono ingestibili. Ecco il terrorismo, ecco l’11 settembre. Ed ecco, di conseguenza, la necessità, anche morale, di rispondere, di garantirci la sicurezza"
Ma che relazione c’è fra l’11 settembre e l’Irak?
Bonazza: "L’impressione è quella di un collegamento, impressione suffragata se non altro da informazioni di carattere giornalistico. Terrorismo non significa solo Bin Laden; esistono ramificazioni dal Pakistan all’Irak, all’India... D’altronde ritengo che quella attuata dagli USA sia più che altro una prova di forza psicologica. A mio modesto parere questa guerra non scoppierà.
Comunque, in linea di principio noi di Forza Italia auspichiamo la trattativa, ma a tutto c’è un limite. La difesa del territorio nazionale è un’esigenza imprescindibile".
Ma in questo momento, vi pare che ci sia, da parte dell’Irak, una minaccia diretta agli Stati Uniti?
Bonazza: "La minaccia del terrorismo è evidente..."
Tarolli: "Il rispetto del diritto dev’esserci da parte di tutti, non solo da parte di Bush, come sembra pretendere la sinistra. D’accordo, la guerra è giustificata solo se si accertano delle violazioni irakene in merito alla detenzione di armi di distruzione; ma anche l’Irak deve rispettare le regole, e se non lo fa, ne patirà le conseguenze".
In altri casi, però, il mancato rispetto delle deliberazioni dell’Onu non ha comportato né guerre, né ritorsioni d’alcun altro genere. Vedi Israele, che da quarant’anni ignora le decisioni dell’Onu.
Tarolli: "Ma per carità! Il problema di Israele è molto diverso e più complesso! Israele sta lottando per la sopravvivenza, mentre qui discutiamo se Saddam faccia delle cose che mettono a rischio la comunità internazionale, costruendo armi tremende e finanziando dei gruppi terroristici. E questo è inaccettabile".
Saddam è sì indifendibile, ma lo era anche 15 anni fa, quando faceva la guerra all’Iran armato dagli Stati Uniti. Ma se non emergeranno dei fatti nuovi, delle chiare responsabilità, è accettabile che un Paese venga aggredito?
Zenatti: "Dire che la guerra ci deve comunque essere, o viceversa che non deve in nessun caso esserci, è ugualmente sbagliato. Il governo italiano ha deciso di aspettare i risultati delle ispezioni dell’Onu; queste risultanze arriveranno in parlamento, e sarà il parlamento, eventualmente, a dare una risposta. La situazione, al momento è questa.
Vorrei poi aggiungere alcune riflessioni. Anzitutto una domanda: se oggi non ci fossero gli Stati Uniti come unica grande potenza mondiale, se non ci fosse, da parte di quel Paese, un’azione politica e l’esercizio della forza (intesa non necessariamente come guerra, ma anche come deterrente), quale sarebbe lo scenario mondiale? Se malauguratamente Bush junior avesse praticato quel certo isolazionismo che aveva promesso quando fu eletto, cosa sarebbe avvenuto? Con le disponibilità finanziarie dei Paesi petroliferi, governati per lo più da sistemi feudali o dittatoriali e contrassegnati a volte da fanatismo religioso, il mondo si troverebbe in una situazione ben più pericolosa di quella attuale.
Quanto al problema della pace e della guerra, noto all’interno della sinistra italiana una ricorrente contraddizione. Riguardo a Israele, per cominciare: pensando al passato, la sinistra vede giustamente gli ebrei come vittime dell’Olocausto, mentre nella presente situazione è totalmente ostile a Israele. Riguardo all’Irak: se una dittatura sanguinaria come quella di Saddam Hussein si esercitasse in un qualche Paese europeo, verrebbe giustamente condannata senza appello, mentre invece, forse per via dell’anti-americanismo, forse perché geograficamente lontano, l’Irak è invece oggi un paese da difendere.
Un’ultima annotazione: è giusto piangere i civili uccisi, ma non bisogna discriminarli a seconda della nazionalità o della fede professata. E invece rilevo una scarsa sensibilità di fronte ad altre morti, come quelle dei 160.000 cristiani uccisi ogni anno nel mondo. Di questi nessuno parla..."
Tarolli: "Sia chiaro: la pace è l’obiettivo per cui si lavora. Ma non dimentichiamo che, nel dibattito morale e teologico dei Padri della Chiesa, il tema della guerra giusta esiste. E’ stato teorizzato da Sant’Agostino, poi San Tommaso l’ha organizzato sistematicamente... I malvagi non devono avere la possibilità di prevalere sui buoni, che hanno quindi il diritto di ribellarsi. Certo, prima di decidere per la guerra dobbiamo fare ogni sforzo per risolvere in altro modo le questioni. E quindi vedere anzitutto se gli organismi internazionali - dall’Onu alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario - funzionano in modo soddisfacente. E ciò non avviene, anche perché tali organismi sono stati creati per scopi diversi dal superamento degli squilibri economici, che oggi sono la causa principale di instabilità e conflitti. Poi occorre verificare se la cooperazione economica viene perseguita da tutti gli Stati in maniera adeguata ed efficace.
Ma questi sono temi divenuti di attualità in questi ultimi anni, dopo l’avvento della globalizzazione; questa è la frontiera sulla quale dovremo lavorare in futuro. E’ evidente che non possiamo affidare ad una sola persona il governo del mondo. Finché ad esempio il commercio avveniva in ambiti ristretti, tutte le problematiche erano sotto controllo, ma con la globalizzazione non è più così. A questo complesso sistema di scambi non si affianca un parallelo sistema di leggi che lo regoli. A questo dobbiamo lavorare, questa è la nuova frontiera su cui costruire la pace".
Ma una caratteristica della politica di Bush è proprio il volersi sottrarre a questa responsabilità, ad un sistema di regole planetarie.
Bonazza: "Il problema è che gli Stati Uniti oggi non hanno più un interlocutore con cui dialogare e confrontarsi, da un punto di vista economico, organizzativo e politico".
Zenatti: "Accanto al concetto di pace dobbiamo ricordare il concetto di sicurezza. Capisco che in termini individuali, etici, di coscienza, uno possa pensare solo alla pace: è una scelta rispettabile. Ma per governare una situazione, occorre anche garantire sicurezza ai cittadini".
La sicurezza non deriva anche da un ordine condiviso? Se invece c’è un ordine imperiale in cui qualcuno detta delle regole ispirate alle proprie convenienze, il discorso cambia. Se ci fosse una guerra all’Irak senza convincenti motivazioni, questo non esaspererebbe ulteriormente le popolazioni del terzo mondo che si sentirebbero non solo oppresse economicamente ma anche massacrate? Questo non rischierebbe di alimentare il terrorismo e di mettere ancor più a rischio la sicurezza di noi tutti?
Zenatti: "Questo è scontato. Però al contempo si deve mostrare risolutezza nei confronti di chi ci minaccia: vedi i molti episodi delle ultime settimane, da quanto avvenuto in Inghilterra e in Francia alla nave di Genova. Non parlo necessariamente di guerra, ma resta il fatto che il problema va affrontato con risolutezza, sia nei confronti di singoli che di organizzazioni, che di "stati canaglia". Se restiamo inerti nel timore di suscitare ulteriori ostilità, da qui a un anno la situazione non può che aggravarsi".
Bonazza: "Sia chiaro che questa non è una guerra fra religioni, fra civiltà. Ricordiamo che gli Stati Uniti sono da sempre un paese dove convivono tante razze e religioni diverse. La necessità è quella di evitare che si ripetano episodi come l’11 settembre, che potrebbero riguardare molti altri paesi, oltre gli Stati Uniti.
E ricordiamo anche che il desiderio di pace non è la prerogativa di una sola parte politica. A me personalmente ha dato un certo fastidio la diffusione di bandiere di pace appese ai davanzali delle case; non per la cosa in sé, ma perché, così come la cosa è stata organizzata, è sembrato che tutto quanto si muove al di fuori della sinistra sia favorevole alla guerra. Oltre tutto, queste bandiere provengono dal mondo missionario, e quindi non c’entrano con la politica. Il metodo è sbagliato: non ti puoi appropriare di una cosa che non è tua e utilizzarla come uno strumento di battaglia politica".
Ma allora perché non le esponete anche voi, quelle bandiere?
Tarolli: "Vorrei tornare alla domanda sul ruolo degli Stati Uniti..."
Mi permetta di completarla. Quando dicevo della politica di Bush, mi riferivo, ad esempio, al suo rifiuto di sottostare alle regole, utili per tutto il pianeta, previste nel protocollo di Kyoto sull’ambiente, a una serie di tagli ai finanziamenti a istituzioni internazionali, o al suo rifiuto di far processare i militari americani dai paesi dove hanno commesso dei reati; e noi, in Trentino, coi morti del Cermis, abbiamo visto quanto può essere umiliante essere trattati da popolo di serie B. Questo volersi tenere fuori dalle regole non è un comportamento da nazione-guida, è arroganza.
Tarolli: "Dove gli americani sbagliano, non dobbiamo aver paura di dirlo. Il rifiuto del Protocollo di Kyoto è un errore. C’è però una contraddizione nell’atteggiamento europeo verso gli USA: da un lato li accusiamo quando debordano, quando esagerano nel voler avere le mani libere; ma ogni qualvolta ne abbiamo bisogno, ci rivolgiamo sempre a loro, per la nostra difesa, o per la risoluzione dei nostri problemi. Vedi il caso della Bosnia, dove l’Europa, dopo avere tanto strillato, ha finito col chiedere l’intervento degli americani. Dovremmo essere più maturi, e aiutarli a ritrovare la giusta misura della propria dimensione di grande potenza (economica, militare e culturale). Se li investiamo del ruolo di guardiani del mondo, non possiamo poi pretendere che sottostiano alla legislazione dei singoli Stati. E oltre tutto, io non credo che oggi gli Stati Uniti siano in grado, da soli, di governare il mondo.
Nel caso attuale dobbiamo insistere perché qualunque tipo di intervento venga fatto sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, con una legittimazione internazionale, altrimenti si giustifica quell’accusa di voler fare i padroni del mondo"..
Zenatti: "Forse la situazione si aggiusterebbe con la creazione di una seconda super-potenza, che potrebbe essere l’Europa. Se l’Europa avesse più capacità d’intervento - economico, diplomatico, militare - potrebbe condizionare positivamente l’esuberanza americana".