Irak: ci sarà la guerra?
Ci sarà o non ci sarà la guerra preventiva contro l’Irak? Io sono pessimista, nonostante la risoluzione dell’ONU e la imminente partenza dei 44 ispettori comandati dallo svedese Hans Blix. Anche se il primo rapporto degli ispettori fosse favorevole, io credo (augurandomi vivamente di sbagliare) che gli Stati Uniti lanceranno l’attacco contro l’Irak, magari inventando un nuovo incidente del Tonchino (lo scontro inventato dagli americani che diede l’avvio alla guerra nel Vietnam).
Gli Stati Uniti hanno almeno tre ragioni forti per fare la guerra:
1) far dimenticare con un nuovo bersaglio il sostanziale fallimento della lotta contro Osama bin Laden e il terrorismo internazionale;
2) ribadire il ruolo imperiale dell’America, affinché nessuno nutra più illusioni, compresa l’Europa;
3) mettere le mani sul petrolio irakeno cambiando la situazione geopolitica in Medio Oriente, che è ora sostanzialmente sfavorevole agli USA.
Scrive Pino Arlacchi, vice segretario aggiunto all’ONU: "Spero di sbagliarmi, ma ritengo che dobbiamo prepararci ad un evento drammatico e non necessario; dobbiamo prepararci all’ipotesi peggiore. E’ ingenuo pensare che Bush metta nelle mani di 44 ispettori capitanati da un diplomatico svedese la scelta tra pace e guerra. Non c’è un governo mondiale che possa fermare una macchina bellica che si è già messa in moto. Gli Stati Uniti sono diventati la sola, unica superpotenza. L’amministrazione Bush ha previsto un fortissimo aumento delle spese militari (da 380 a 450 miliardi di dollari). La guerra è già decisa, la faranno".
Dello stesso parere è Sir Joseph Rotblat, premio Nobel per la pace, uno dei fondatori delle conferenze di Pugwash, organismo che riunisce nel mondo gli scienziati per il disarmo. A proposito della guerra all’Irak ha dichiarato: "Sono convinto che la sentenza è già stata scritta ".
Se l’attacco preventivo ci sarà, come ormai quasi tutti sono portati a credere, le conseguenze nel breve e nel lungo periodo potrebbero essere devastanti, perché gli USA non possono materialmente impedire che altri paesi facciano propria la teoria del "first strike". Scrive a questo proposito Sir Joseph Rotblat: "Se si determinerà l’intervento punitivo in Irak, ciò avrà un seguito in altre aree del mondo. L’India, ad esempio, si sentirà legittimata a scatenare un attacco preventivo contro il Pakistan, o il Pakistan deciderà di anticipare il nemico indiano. Gli stessi Stati Uniti potrebbero preventivamente agire contro la Corea del Nord dopo l’annuncio di Pyongyang di avere l’atomica. E ciò vale anche per un attacco preventivo contro la Cina in difesa di Taiwan, ovvero una reazione preventiva di Pechino. La Cina, l’India e il Pakistan: potenze nucleari che tenteranno di sfruttare il precedente creato dagli Stati Uniti, con ripercussioni gravissime su scala planetaria".
Non occorre dunque essere pacifisti per contrastare l’ipotesi della guerra all’Irak, ma basta essere realisti. Il principio di realtà e quello di ragione ci dicono che solo Bush ha il dito sul grilletto, e si appresta a sparare contro il primo bersaglio di comodo solo nell’interesse dell’apparato militare-industriale degli USA ma contro le aspirazioni e gli interessi dei popoli del mondo, e contro la volontà di quello americano: l’ultimo sondaggio rivela che per il 72% è contrario alla guerra.