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QT n. 3, 5 febbraio 2000

Un bel passo avanti, qualche passetto indietro

Il Consiglio regionale sta finalmente aggiustando il pasticcio della legge elettorale dei Comuni. In compenso, però …

Quando nel 1994 il Consiglio regionale approvò la nuova legge per l’elezione diretta del sindaco, fummo gli unici a denunciare che si era di fronte ad un pastrocchio, che avrebbe gettato nel caos molte amministrazioni comunali. Su molti aspetti quella legge era più arretrata rispetto a quella varata, l’anno precedente, dal Parlamento.

L’elemento più scandaloso, però, stava nel fatto che da noi, a causa di quel balzello che prevede di far scattare il premio di maggioranza solo se le liste collegate al sindaco eletto superano il 40 per cento dei voti, manca di fatto il principio fondamentale della democrazia dell’alternanza, ossia il potere degli elettori di scegliere direttamente il governo del Comune. Con quella norma - denunciavamo noi di QT - molti sindaci si sarebbero ritrovati senza una maggioranza consiliare, col risultato di dover scegliere o la via estrema delle dimissioni e del ritorno alle urne, oppure quella della cara, vecchia contrattazione post-elettorale tra partiti.

La stampa di allora preferì tessere le lodi di Grandi e Giovanazzi, padri della riforma. Salvo poi, l’anno dopo, quando a Rovereto, Lavis, Levico e Cles si verificò quanto da noi previsto, scoprire che quella legge era un pasticcio. Oggi, mentre si tenta di porvi rimedio, la stampa locale sembra occuparsi dell’argomento con la solita disattenzione. Vediamo allora di capire cosa sta per uscire questa volta da Piazza Dante.

Anzitutto, v’è un notevole balzo in avanti verso la democrazia dell’alternanza, che metterebbe il Trentino all’avanguardia anche rispetto al resto d’Italia. Ai sindaci sarà sempre garantita una maggioranza consiliare, che permetterà loro di realizzare il programma presentato prima delle elezioni. Questo risultato sarà ottenuto rivoluzionando la logica del voto: anziché eleggere separatamente il sindaco ed il Consiglio comunale (come avviene ora con la possibilità di esprimere voti distinti per sindaco e liste), gli elettori saranno chiamati a scegliere, con un unico voto, da quale coalizione vogliono farsi governare, intendendo per coalizione un raggruppamento di liste, un candidato sindaco ed un programma di governo. In maniera chiara e trasparente. In questo modo, non ci sarà più distinzione tra il consenso raccolto dai candidati sindaci e quello delle rispettive liste d’appoggio: sarà pertanto legittimo assegnare alla coalizione vincente sia la massima carica del Comune, sia la maggioranza dei seggi del Consiglio comunale, senza più alcun’altra condizione da superare.

L’altra benvenuta innovazione di questa legge consiste nel fatto che, nei Comuni trentini che votano col doppio turno, quelli con più di 3.000 abitanti, sarà finalmente possibile fare una giunta comunale composta interamente da assessori laici, scelti quindi anche tra persone non elette in Consiglio. Si tratta di una possibilità, non di un obbligo. E non è detto che questa possibilità debba necessariamente essere utilizzata. Ma per il quotidiano governo del Comune gli effetti saranno comunque importanti. Attualmente chi aspira a diventare assessore, o ad essere riconfermato, sa di dover passare attraverso il meccanismo delle preferenze ed è quindi spinto a cercarsi un consenso personale (magari con un po’ di clientelismo). Se invece, come sarà con la nuova legge, il sindaco nominerà la giunta prescindendo dal fatto che gli assessori siano o meno consiglieri, questi ultimi dovranno soprattutto dimostrare le loro capacità di governo, al di là del consenso spicciolo.

Per fare un esempio, in una competizione con le preferenze Ciampi sarebbe sempre battuto da un qualunque Casagranda, ma se il sindaco avesse la possibilità di scegliersi Ciampi come assessore lo preferirebbe sicuramente a Casagranda, sempre che voglia continuare a fare il sindaco la volta successiva.

Queste due sono le principali note positive (per i Comuni trentini) di questa proposta di legge.

Un altro aspetto degno di nota riguarda i Comuni della provincia di Bolzano, ove la formulazione tecnica trovata per assicurare un seggio in Consiglio comunale ai candidati sindaci non eletti (che attualmente non diventano neppure consiglieri) ha assunto un significato simbolico importante: il candidato sindaco sarà finalmente espressione dell’intera coalizione anziché, come avviene oggi, solo di una delle sue liste.

Cosa significa?

Che laddove si formeranno alleanze tra "partiti italiani" e "partiti tedeschi", il candidato sindaco sarà il leader di tutti, non soltanto del proprio gruppo linguistico. L’aspetto programmatico, insomma, comincia a prevalere su quello dell’appartenenza etnica.

Non tutte le ciambelle, però, escono col buco. Ed anche in questa legge non mancano i difetti. Anzitutto, su tutti gli altri aspetti sui quali si era rimasti indietro rispetto alla legge statale, non vi sono cambiamenti di rilievo. Ma soprattutto, questa poteva essere l’occasione per ridurre la frammentazione delle liste, con una soglia di sbarramento al 5 per cento oppure, come avevano chiesto i sindaci, alzando da 3.000 a 10.000 abitanti il limite sotto il quale si applica il sistema a turno unico (ove ogni candidato sindaco è sostenuto da una sola lista). La maggioranza regionale ha risposto no, lasciandosi condizionare dagli interessi di bottega dei soliti partitini.

In secondo luogo, sarà abolita la norma che prevede, per i Comuni con più di 13.000 abitanti, l’incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di assessore, norma introdotta nel ’94 in nome della corretta separazione delle funzioni tra giunta e Consiglio.

Un passo indietro solo marginalmente compensato dalla possibilità di scegliere tutti gli assessori esterni.

A mettere sotto accusa la maggioranza per questa scelta è stato il Polo, Forza Italia in testa, che ha giustamente ricordato come, nella scorsa legislatura, proprio i Ds che oggi governano la Regione avevano bloccato con l’ostruzionismo un analogo provvedimento.

Ancor più grave è ciò che stava per profilarsi riguardo alle indennità di carica di sindaci ed assessori. Attualmente, come noto, le indennità sono fissate dai Consigli comunali. Il passaggio consiliare genera spesso imbarazzo e polemiche spicciole, cosicché i sindaci hanno chiesto che le indennità siano fissate direttamente in legge. In questo modo, però, è come se avessero detto di voler rinunciare ad una parte della loro autonomia, perché una quota dei bilanci dei Comuni sarà vincolata. Sin qui pazienza, visto che la richiesta più pressante arrivava da Bolzano e che sulla revisione delle indennità si erano presi accordi in maggioranza. La cosa grave è che, man mano che il disegno di legge percorreva il proprio iter, le richieste della Svp diventavano sempre più esose: dalla semplice modifica delle indennità, si è passati alla richiesta di una liquidazione, fino addirittura all’istituzione di un vitalizio.

Margherita Cogo ha fatto di tutto per evitare che la questione delle indennità si trasformasse in un’esplosione della spesa per i Comuni. Pare che l’abbia avuta vinta sulla Svp (né liquidazione, né vitalizio), ma per conoscere i dettagli bisognerà aspettare il responso del Consiglio.

Un altro passo indietro rischiava di essere fatto in merito alla separazione delle funzioni tra politica ed amministrazione, principio cardine della trasparenza dell’ente pubblico: alla politica spetta dettare le regole, ai funzionari metterle in pratica. Solo in questo modo i cittadini possono sapere ciò che è loro diritto, evitando che il rapporto coi loro rappresentanti sia quello dei sudditi coi sovrani. Ma, si sa, far passare per favore personale ciò che invece è un diritto è un bel modo per raccogliere voti. Ed il sistema quasi feudale dell’Alto Adige non digerisce volentieri queste innovazioni.

La Svp vorrebbe quindi cancellare dalla legge il principio della separazione delle funzioni, mentre la Cogo sta cercando di spiegare che così facendo si rischia di non farsi vistare la legge dal Governo. Anche in questo caso, con l’aiuto di Roma, pare che ad avere la meglio possa essere la Presidente della Regione. Vedremo.

Infine, le scadenze. Nella prossima primavera ci saranno le elezioni comunali, salvo imprevisti. I tempi per l’approvazione della legge sono quindi ormai strettissimi. Se non si facesse in tempo, magari per litigi interni alla maggioranza, sarebbe una vera beffa. Se - mettiamo caso - a Rovereto o a Lavis ci si ritrovasse di nuovo con un sindaco senza maggioranza, chi glielo andrà a dire, ai roveretani e ai lavisotti, che dovranno andare a votare per il Comune una quarta volta in cinque anni?

In definitiva, siamo di fronte ad una proposta che, nel suo complesso, è molto buona. Non si può però nascondere il fatto che i difetti in essa presenti, e i rischi che si sono corsi, sono dovuti alla necessità di contrattare il consenso della Svp. Insomma, per ottenere il risultato di dare ai Comuni trentini una solida maggioranza consiliare, che era la cosa più importante, si è dovuto pagare qualche prezzo sull’altare della Regione. Segno questo, ancora una volta, che l’attuale Statuto va cambiato al più presto.