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QT n. 7, 6 aprile 2002 Servizi

Immigrazione: i guasti della chiusura

La società si sta rendendo conto di come degli immigrati ci sia bisogno, anche estremo. Invece la politica restrittiva del governo provoca danni devastanti.

L’anno scorso, in occasione delle elezioni politiche del 13 maggio, uno dei temi sui quali i candidati del centrosinistra temevano di essere messi sotto accusa era quello della relazione tra criminalità ed immigrazione. L’anno prima, i candidati sindaci dell’Ulivo della piana Rotaliana avevano posto al primo punto del loro impegno quello della sicurezza, per garantire la quale proponevano un giro di vite sull’immigrazione. Persero sonoramente, ma dall’analisi del voto dedussero che avrebbero dovuto essere ancor più severi nei confronti degli extracomunitari. L’equazione immigrati-criminali si era diffusa a tal punto che, il febbraio successivo, la prima cosa che venne in mente ad Erika ed Omar, per depistare le indagini sull’omicidio di mamma e fratellino, fu quella d’inscenare un furto da parte di una banda di albanesi.

In quegli stessi mesi, l’impressionante sequenza di rapine nelle villette dei sobborghi di Trento pareva avere, per molti, un solo possibile colpevole, ossia la solita banda di extracomunitari, salvo poi scoprire che si trattava di un gruppetto di sbandati di Bergamo. Sempre nel febbraio dello scorso anno, suscitò un certo clamore l’intervento del senatore Gubert ad un affollato dibattito a Borgo Valsugana, nel quale il parlamentare raccontava i guasti delle società multietniche.

In questo clima, i candidati del centrosinistra alle elezioni politiche si apprestavano ad affrontare gli incontri pubblici documentandosi sui dati forniti dal Ministero dell’Interno, che davano la criminalità in discesa, e preparandosi dei bei discorsi sul valore della solidarietà verso i nuovi arrivati, in una terra di emigranti come il Trentino. In uno dei dibattiti organizzati durante la campagna elettorale, Marco Boato, per spiegare che clandestino non significa criminale, raccontò l’esperienza del vescovo Gottardi, che negli ultimi mesi di vita era stato assistito proprio da una immigrata clandestina. E per dimostrare il proprio attivismo ed i suoi buoni rapporti col mondo cattolico, raccontò anche di come si era personalmente interessato per far ottenere a questa immigrata il permesso di soggiorno.

Ebbene, quella campagna elettorale fu una sorpresa. Gli elettori convenuti agli incontri pubblici erano sì imbufaliti contro il Governo di centrosinistra per il problema degli immigrati. Ma lo erano per motivi opposti a quelli che i candidati si sarebbero aspettati. Albergatori e ristoratori erano infuriati perché non sapevano a chi avrebbero fatto lavare le pentole o a chi avrebbero fatto rassettare le camere. Gli agricoltori erano angosciati all’idea di affrontare il momento del raccolto senza manodopera o rischiando un’incriminazione. Ed in quel dibattito con Boato una signora, che per assistere la madre anziana si avvaleva di un’immigrata clandestina, attaccò violentemente il parlamentare perché lei, a differenza del vescovo, non aveva le amicizie altolocate necessarie per regolarizzare la propria dipendente.

In definitiva, ciò che emergeva dal confronto con la popolazione non era, come i candidati si aspettavano, la paura nei confronti dell’immigrato, bensì la rabbia contro un Governo che, con la sua politica restrittiva nei confronti dell’immigrazione, costringeva imprenditori e famiglie a vivere in una condizione d’illegalità.

Lo scorso febbraio un tipografo di Mezzocorona si guadagnò la prima pagina dei quotidiani locali per una sconcertante vicenda. Voleva assumere presso la sua azienda, come impiegata, una ragazza venezuelana esperta in fotocomposizione. L’artigiano fece regolare domanda agli uffici della Provincia, avviando le complesse pratiche per far ottenere alla ragazza il permesso di soggiorno. La domanda fu respinta, in sintesi, con questa motivazione: i flussi migratori fissati dal Governo non consentono di esaudire tutte le domande; nella distribuzione dei permessi di soggiorno, quindi, si privilegiano le assunzioni per quel genere di lavori che gli italiani non vogliono fare; chi invece ha bisogno di un impiegato per mansioni altamente qualificate deve rivolgersi ai disoccupati del sud; in ogni caso, si può sempre fare ricorso al TAR. Morale: in California la Microsoft assume ingegneri indiani e pakistani, in Trentino Bill Gates (che non è cittadino europeo e quindi è un extracomunitario) potrebbe al massimo raccogliere mele o spaccare porfido.

Fino allo scorso 26 marzo, giorno della "retata delle badanti", ci si poteva consolare con la rassicurante certezza della soluzione all’italiana: se una legge è priva di senso, in Italia semplicemente non la si rispetta e vale la regola del buon senso. E’ un metodo infido, ma che quantomeno consente a questo Paese di tirare avanti nonostante certe follie normative. Se i dipendenti pubblici rispettassero le leggi alla lettera, la pubblica amministrazione si paralizzerebbe. Se gli imprenditori del sud mettessero in regola tutti i loro dipendenti, il meridione sprofonderebbe nella povertà. E se domani tutti gli immigrati senza permesso di soggiorno fossero espulsi e tutti i loro datori di lavoro fossero incriminati, l’intero sistema economico si paralizzerebbe e l’Italia andrebbe incontro ad una catastrofe economica.

Checché ne dicano Gubert e Boso, o l’Italia diventa più multietnica, oppure diventa più povera. E siccome più povera non può diventare, pensare di regolare il fenomeno dell’immigrazione attraverso misure restrittive sugli ingressi è semplicemente inutile. Tant’è che ogni volta che una carretta del mare scarica sulle nostre coste qualche centinaio di clandestini, nel giro di pochi giorni questi trovano tutti un’occupazione.

A che servono allora le restrizioni sui flussi migratori, i pattugliamenti delle coste, i controlli alle frontiere, le retate della polizia? Per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione, non servono a un bel nulla, poiché, come si è visto, è un fenomeno inarrestabile, in quanto necessario per la stessa sopravvivenza economica dell’Italia. Quelle misure servono soltanto come bandiera, per placare le paure degli italiani, evitando così l’esplodere di tensioni razziste.

È’ una politica ipocrita, alla quale in talune occasioni si è purtroppo adeguato anche l’Ulivo, che ha preferito inseguire certo elettorato xenofobo piuttosto che trovare il coraggio di dire agli italiani la verità.

E però, nonostante la tolleranza dettata dalla necessità e dal buon senso, quelle misure producono effetti devastanti sulla vita degli immigrati. Le limitazioni sull’immigrazione costringono gli immigrati a raggiungere il nostro Paese rivolgendosi alle organizzazioni criminali, pagando prezzi che crescono in proporzione alla crescita delle restrizioni normative. Quelli che non hanno i mezzi per pagarsi l’ingresso in Italia vengono ridotti in schiavitù, costretti alla prostituzione o confinati in qualche scantinato a lavorare diciotto ore al giorno, per pagare i debiti contratti con le varie mafie. L’inasprimento delle pene nei confronti dei trafficanti e le norme sul sequestro delle navi spingono le organizzazioni criminali ad utilizzare imbarcazioni a perdere, riempiendole all’inverosimile, ed a gettare in mare i passeggeri piuttosto che rischiare l’arresto. Cosicché l’Adriatico è diventato un cimitero, cosparso di cadaveri di persone senza nome, al punto che è ormai divenuto consueto per i pescatori siciliani, quando raccolgono le reti, dover fare la triste cernita tra pesci e pezzi di corpi ricoperti dalle alghe. I tetti sui flussi migratori, che costringono a centellinare i permessi di soggiorno, costringono gli immigrati a vivere nella condizione di clandestini, lavorando in nero, privi di qualsivoglia tutela, senza assistenza sanitaria e senza assicurazione previdenziale.

Gli effetti negativi della politica restrittiva contro gli immigrati ricadono in realtà anche sugli italiani.

Il lavoro nero comporta notevoli ammanchi di gettito fiscale, la precarietà degli immigrati fa concorrenza sleale verso i lavoratori italiani, la clandestinità alimenta il crimine organizzato.

Se le frontiere fossero aperte, se lo Stato andasse incontro all’immigrazione anziché combatterla, se i cittadini stranieri fossero accolti come essere umani anziché respinti come potenziali criminali, se ci si liberasse della malsana idea di essere una fortezza assediata, ebbene anche l’Italia starebbe decisamente meglio, sia sul piano economico, sia su quello della sicurezza.

E con un pochino di lungimiranza in più, forse si riuscirebbe anche a comprendere che il fenomeno dell’immigrazione non è solo un problema da affrontare in maniera pragmatica, è soprattutto una straordinaria opportunità di crescita sociale. Tutte le grandi civiltà o le grandi potenze, dall’impero romano agli attuali Stati Uniti, sono nate dall’incontro tra culture diverse.