Immigrati senza diritti o cittadini responsabili?
Dai diritti sociali al diritto di voto: la Comunità Islamica trentina si (e ci) interroga.
“Oltre l’immigrazione: cultura e diritti di cittadinanza", così recitava il titolo del convegno organizzato dalla Comunità Islamica del Trentino- Alto Adige svoltosi a Trento sabato 27 marzo. E in effetti molti sono stati gli argomenti affrontati oltre a quello dell’immigrazione, e non poteva essere altrimenti nella situazione odierna piena di conflitti e di contraddizioni. Si è spaziato così dai rapporti tra la religione cristiana e quella musulmana, al problema del diritto di voto agli immigrati, dalle concrete politiche sociali (spesso poco presenti) attuate per favorire l’integrazione, alle questioni del mondo del lavoro in cui gli stranieri restano in posizione subordinata. Parlare di questi temi non è sempre facile, poiché si rischia di fare discorsi sui massimi sistemi pieni di buone intenzioni senza però scendere nel concreto della reale situazione.
Nei mesi scorsi, per esempio, si è molto discusso sul problema della costruzione di una moschea a Trento: se ne sono sentite di tutti i colori. Dalle idiozie dei "giovani padani" ai pregiudizi anti-islamici di Divina e Delladio, ai commenti più o meno sfuggenti delle autorità civili e religiose della nostra Provincia: il tutto comunque senza una strategia organica sulla questione. Comunque del tema moschea si è solo accennato al convegno quando Adel Jabbar, che coordinava i lavori, affermava che un luogo di culto farebbe proprio parte di quei diritti di cittadinanza che tutti vogliono a parole favorire.
La realtà relativamente piccola del Trentino consentirebbe una sperimentazione all’avanguardia sul tema dell’immigrazione, ma al di là di una pacifica convivenza (realtà per altro positiva e da valorizzare coi tempi che corrono) si rischia di rimanere estranei senza potersi mai veramente incontrare.
Al convegno, patrocinato dal Comune di Trento e con il contributo della Provincia autonoma, oltre ai relatori erano presenti l’assessore comunale alle politiche sociali Letizia De Torre, il consigliere provinciale Roberto Bombarda, il preside di Giurisprudenza Toniatti e vari esponenti della comunità islamica, tra i quali il dott. Muhammad Nour Dahan presidente nazionale dell’UCOII (Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia), oltre ad alcuni rappresentanti sindacali e di varie associazioni che hanno aderito all’iniziativa.
Gli interventi sono stati abbastanza variegati, con l’alternarsi di relazioni più tecniche e teoriche ad alcuni interventi religioso-politici. Sono state di quest’ultimo tenore gli interventi del presidente dell’Ucoii Dachan e, per il comune di Trento, dell’assessore De Torre.
L’Ucoii era stato nelle scorse settimane al centro di alcune polemiche innescate da un articolo di Magdi Allam apparso sul Corriere della Sera all’indomani dell’uccisione del capo di Hamas, lo sceicco Yassin. Il noto giornalista di origine egiziana accusava senza mezzi termini l’Ucoii ed in particolare il segretario dell’organizzazione (non presente al convegno) di essere fra i sostenitori in Italia del gruppo terroristico palestinese e di avere più volte approvato le azioni del terrorismo suicida. Sicuramente Allam possiede delle informazioni più dettagliate di noi, ma a sentire le parole del Presidente Dahan sembrava di essere di fronte ad un gruppo dialogante e desideroso di una pacifica convivenza.
Il suo intervento, disseminato di citazioni coraniche e dal forte afflato spirituale, è stato incentrato sul fatto che ogni buon musulmano deve rispettare le leggi dello Stato in cui vive per mantenere sentimenti di buon vicinato con gli ospitanti. "Più siamo attaccati al Profeta, più rispettiamo lo Stato" - ha sintetizzato Dachan che vede nell’associazionismo una via per un’integrazione dal basso da costruire in maniera propedeutica all’acquisizione degli altri diritti di cittadinanza, come quello del voto. Lo Stato, ha concluso il Presidente dell’Ucoii, è ancora indietro, ma le Regioni e i Comuni possono fare molto di più.
Questo intervento si ricollegava così all’applaudito discorso dell’assessore De Torre, che con parole accorate e con azzeccate citazioni dal Corano e dalle parole del Profeta, ha parlato della possibilità della fede islamica di incontrarsi con le altre religioni monoteiste, poiché in fondo lo stesso Dio in cui essi credono è il Dio della pace e della misericordia. L’assessore ha convenuto sulla necessità di un luogo di culto più degno per la preghiera musulmana, ma ha aggiunto che prima di edificare luoghi di culto bisogna sviluppare la pace tra di noi, il dialogo e l’amore tra le fedi. Stesso procedimento sul tema del diritto di voto: il Comune di Trento, che già è molto impegnato nelle politiche sociali nei confronti degli immigrati, intende arrivare a dare il diritto di voto, ma prima è opportuno fare un cammino di maggiore partecipazione. L’assessore ha voluto anche sottolineare come la comunità islamica è qualche cosa di più di una semplice associazione e la sua presenza è per questo ancora più preziosa agli occhi dei cittadini e del potere politico: gli immigrati residenti devono sentirsi trentini.
Sia le parole dell’assessore che quelle del Presidente Dachan sono state ineccepibili dal punto di vista delle buone intenzioni e dei grandi sistemi teologici e religiosi, ma sono state evasive sul nocciolo sostanziale del problema, ossia quali siano le basi reali della convivenza. A chi scrive ha fatto discreta impressione come Dachan facesse derivare le buone pratiche di convivenza e di cittadinanza dalle regole del diritto religioso coranico, quasi che se si cambiasse quest’ultimo potesse cambiare anche il loro comportamento. Se è utile dal punto di vista religioso trovare i luoghi di convergenza nelle rispettive fedi, dal punto di vista della concreta gestione della città, deve prevalere il concetto laico delle istituzioni, per cui devi essere un buon cittadino perché fai parte di una comunità e possiedi diritti e doveri e non perché sei un buon musulmano o un buon cristiano. Questo semmai può rafforzare i buoni valori di convivenza, ma non deve fondarli, poiché la religione a troppo stretto contatto col potere politico rischia di causare inaspettati cortocircuiti.
Un diverso tono si avverte nelle parole dell’imam Breigeche, sempre attento a distinguere gli aspetti civili da quelli religiosi, vero nucleo centrale per una convivenza possibile. Su questa strada si devono collocare i diritti di cittadinanza, dalla moschea al diritto di voto delle amministrative.
Passando agli interventi più tecnici, il professor Angiolini, ordinario di Diritto costituzionale all’università di Milano, ha affrontato il problema del diritto di voto degli immigrati. Un tema ritornato al centro del dibattito dopo la proposta di Fini di una legge costituzionale per permettere tale voto (proposta peraltro che giace da mesi ferma in commissione). Discordi sono i costituzionalisti sulla necessità di una legge apposita; secondo Angiolini tale legge non sarebbe neppure necessaria, in quanto nella nostra Costituzione non c’è alcun divieto al voto, tuttavia per la maggioranza degli studiosi non c’è oggi una base legislativa sufficiente e occorrerebbe una nuova legge parlamentare anche per le votazioni locali. Alcuni comuni stanno cercando di percorrere altre vie: a Venezia e a Genova ci sono progetti di modifica degli statuti comunali non nel senso di istituire consulte degli immigrati (come è avvenuto nel comune di Roma, in cui proprio domenica 28 marzo si è svolta la prima elezione), ma nel senso di dare agli stranieri il diritto di elettorato passivo e attivo come gli italiani.
Al di là di questo labirinto normativo non sempre perfettamente conosciuto neppure dagli esperti, è emerso con forza dalla relazione del professore (come confermato dall’intervista) quanto il diritto di una qualche forma di voto è discriminante per una reale convivenza.
Sulla stessa linea l’intervento dell’avvocato Marco Paggi, che si occupa dei problemi degli immigrati nel mondo del lavoro. Pur in presenza di buone leggi antidiscriminatorie almeno nell’ambito lavorativo, esiste un forte atteggiamento di diseguaglianza tra gli stranieri e gli italiani. La discriminazione maggiore comunque sta nel fatto che per conseguire il cosiddetto "contratto di soggiorno" l’immigrato deve avere dei requisiti non richiesti ad altri: il caso emblematico è la dimostrazione che ogni straniero deve dimostrare di vivere in un alloggio idoneo, con una metratura superiore ai 60mq per due persone, mentre è noto che molti italiani vivono in case con metrature minori e addirittura certi alloggi popolari pubblici non rispondono agli standard della legge. Facendo molti altri esempi l’avvocato Paggi giungeva ad affermare che la società vuole una certa misura di discriminazione poiché la paura dell’eguaglianza è più forte del desiderio di integrazione.
La tradizione culturale italiana non è ancora pronta ad affrontare questa ondata migratoria: questa realtà è stata esemplificata in maniera lampante dalla relazione della dottoressa Marina Caliaro che lavora presso l’anagrafe del comune di Padova ed è rappresentante dell’Associazione Nazionale Ufficiali Stato Civile e Anagrafe. La relazione verteva sui problemi legati al conseguimento della cittadinanza italiana: è noto infatti come l’Italia sia uno dei paesi in cui la legge in proposito è più restrittiva in quanto, per esempio, i nati da genitori stranieri sul suolo italiano restano stranieri fin quando non hanno compiuto un decennale e faticosissimo iter burocratico.
Il convegno, con le sue diverse angolature, ha dimostrato quanto la strada di una convivenza reale sia lunga e faticosa, irta di difficoltà che non è detto che in futuro si attenuino. L’Italia e l’Europa tutta devono riuscire a darsi un obiettivo condiviso anche con gli immigrati di religione e di cultura diversa, un obiettivo che deve poter declinare nel mondo contemporaneo quei valori di libertà uguaglianza e fraternità che hanno fondato l’occidente democratico.