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QT n. 7, 3 aprile 2004 Servizi

Convivenza: l’inesistente “modello” italiano

Cominciamo con alcuni numeri che ci ricordano la rilevanza quantitativa del fenomeno. Nel 2002, in Trentino, 444 bambini sono nati da genitori stranieri (+8.8% rispetto al 2001). Nello stesso anno frequentavano le nostre scuole 3.251 studenti figli di immigrati (+19.5% rispetto all’anno precedente, il 4.5% di tutta la popolazione scolastica). Da questi numeri, citati dall’assessore provinciale alle Politiche Sociali Marta Dalmaso durante un incontro organizzato dall’associazione culturale "Orizzonti Europei", esce ancora una volta la domanda: quale integrazione?

Il prof. Carlo Ruzza

Il prof. Carlo Ruzza, docente di Sociologia delle migrazioni, ci ricorda alcuni modelli adottati in altri paesi europei: quello francese, all’insegna di una laicità che in cambio dell’inclusione pretende l’abbandono di ogni manifestazione religiosa; o quello inglese, più tollerante nei confronti di fedi e tradizioni, che però finiscono per trovarsi isolate in altrettante gabbie etniche. E in Italia?

Massimo Giordani, consigliere comunale DS ma soprattutto ex direttore dell’ATAS (Associazione Trentina Accoglienza Stranieri), è perentorio: da noi, negli ultimi 10 anni, il dibattito sulle politiche immigratorie si è forse allargato, ma non approfondito; la stessa legge Bossi-Fini non deriva da una visione originale per quanto discutibile del fenomeno, è semplicemente un restringimento degli spazi previsti dalla normativa precedente (la legge Turco-Napolitano), con la riduzione dei flussi migratori consentiti. D’altra parte, proprio questa legge varata dal centro-destra ha operato la più vasta sanatoria mai praticata in Italia. Eppure già adesso si preparano le condizioni per una nuova, inevitabile regolarizzazione, che verrà fatta "non tanto per tutelare le badanti, ma per evitare che chi le ha assunte finisca in galera".

Per governare i flussi migratori occorre controllare i confini; si tratta dunque di un problema risolvibile a livello europeo; però, nei singoli paesi, i flussi possono almeno essere orientati, tramite le politiche per l’immigrazione. E da questo punto di vista l’Italia è molto indietro.

Qualcuno - osserva Giordani - si illude che facendo vivere male gli immigrati (dalle difficoltà abitative alla mancata concessione di diritti di cittadinanza) si freni in qualche modo l’immigrazione stessa. Ma quello che più attrae non è tanto l’aspettativa di una civile accoglienza quanto la disponibilità di un lavoro. E in Italia, il lavoro per gli stranieri non manca. Quindi il casuale "modello italiano", malgrado le sue non scelte, attira ugualmente l’immigrazione, solo che si tratta di una immigrazione poco orientata, di passaggio, di ripiego. E inoltre, la condizione precaria e di isolamento in cui molte di queste persone si trovano a vivere è spesso fonte di tensioni. Oggi gli ospedali e le scuole sono forse i soli luoghi dove siano possibili dei rapporti non sbilanciati, più o meno paritari, fra italiani e stranieri.

Massimo Giordani.

Per cambiare le cose - conclude Giordani – servono dei gesti di coraggio. Da parte delle istituzioni, per cominciare, con degli atti che vadano dall’intensificazione dei corsi di italiano ad iniziative che mirino al diritto di voto per gli immigrati. Le giunte provinciali delle due ultime legislature avevano maggioranze risicate che rendevano difficile il compito, ma oggi la situazione è cambiata.

Ma anche i singoli cittadini possono fare qualcosa, nelle relazioni quotidiane, per cambiare la mentalità corrente; si tratta di vincere la stanchezza che ci prende quando, al bar o su un autobus, sentiamo ripetere le solite volgari banalità sugli stranieri, e di reagire. "Prima ancora che con gli stranieri, è importante saperci relazionare con i trentini".