La “retata delle badanti”: una ferita per tutta la comunità
L’espulsione della lavoratrici ucraine: un’azione che ha segnato un solco fra i cittadini e le istituzioni.
Ci siamo occupati su Questotrentino del 9 marzo del fenomeno delle immigrate dei paesi dell’Europa orientale, che lavorano presso tante famiglie prestando assistenza agli anziani e agli ammalati (L’epopea delle “badanti” che vengono dell’Est). Ne era emerso un quadro tutto sommato positivo: queste donne, prodigandosi nella loro difficile funzione, si meritavano la gratitudine e spesso l’affetto delle famiglie trentine e coi sudati guadagni risolvevano alcune impellenti necessità. C’era, tuttavia, un’ombra sinistra che incombeva, legata alla loro posizione di clandestine. Ma sembravano così evidenti i loro meriti e ancor di più la loro indispensabilità nel sopperire ai buchi dell’assistenza istituzionale, che quell’ombra non veniva percepita come una minaccia reale. "Le autorità non hanno interesse - ci aveva detto il direttore di Caritas trentina, don Francesco Malacarne - ad effettuare controlli severi, per non tirarsi addosso problemi che non sono in grado di risolvere". Sembrava insomma che la ragionevolezza fosse di casa anche in Questura, malgrado precedenti prove poco convincenti, come il sistema delle code estenuanti imposte agli extracomunitari per l’accesso agli sportelli. Ma specialmente induceva all’ottimismo l’imminenza del varo della sanatoria, contenuta nella legge Fini/Bossi, ormai in dirittura d’arrivo.
Ebbene, questa idilliaca rappresentazione di buon senso e di comprensione per le esigenze della popolazione, è andata clamorosamente in frantumi per effetto dell’operazione di polizia di lunedì 25 marzo. A Trento, ai giardinetti del Fersina, venti immigrate ucraine di professione badanti e di status clandestine, sono cadute in una retata. Portate in questura e identificate, è stato emesso a loro carico il provvedimento di espulsione. Entro 15 giorni dovranno lasciare l’Italia e per cinque anni non potranno rientrarvi. Dura lex sed lex: è irrilevante che si tratti di persone pacifiche che col lavoro mantengono una famiglia in patria; come è irrilevante che le famiglie dei loro assistiti, anziani ed ammalati, non sappiano più a che santo votarsi. Le famiglie, poi, dovranno difendersi in sede giudiziaria, perché l’assunzione di clandestini è un reato penale. E se il datore di lavoro fosse proprio lui, l’assistito? Ebbene, tanto meglio, gli si faccia scontare la pena in una RSA (niente arresti domiciliari!), così ci si accorgerà di quanto facile sia trovare un posto libero.
Immaginiamo che i funzionari della Questura, come si usa vedere in televisione in occasione di qualche brillante operazione, avrebbero potuto esibire i risultati del loro blitz, con i corpi del reato allineati in mostra su un tavolo: farmaci geriatrici, borse per l’acqua calda, unguenti per massaggi agli arti doloranti, pannoloni ed altri consimili strumenti atti a delinquere; e sullo sfondo un cartellone col nome in codice dell’indagine: "Operazione badanti". Insomma, è stata sgominata una rete di pericolosi clandestini e liberata una ventina di vecchi dalle indispensabili cure dei loro angeli custodi.
Abbiamo letto sui quotidiani locali l’indignazione e le proteste di tutti: della giunta Dellai, del sindaco Pacher, del vescovo Bressan (che in questo caso ci ha lasciato nel dubbio: meglio la badante polacca cattolica o l’ucraina ortodossa?); delle associazioni: Caritas, Acli, Atas eccetera; degli esperti, delle famiglie toccate da questo provvedimento, di semplici cittadini, dei politici, dei partiti. Anche la Lega, con Sergio Divina, e Forza Italia, con Maurizio Perego, nelle reazioni a caldo avevano criticato il blitz, e Divina, addirittura, rilasciato una dichiarazione di apprezzamento per il lavoro di queste immigrate (vedi l’Adige del 28 marzo). Evidentemente, dev’esserci poi stato un ripensamento o una tirata d’orecchie dall’alto, poiché il giorno successivo Perego si riabilitava con un astioso attacco alla Caritas trentina, rea di avere aiutato queste immigrate a trovare lavoro, mentre i vertici della Lega, Denis Bertolini e Lorenzo Conci, smentivano brutalmente Divina, plaudendo all’operazione di polizia (vedi l’Adige del 29 marzo).
Per chi non la pensa come questi ultimi signori, il problema non è solo quello di manifestare il proprio sdegno, sconcerto, rabbia eccetera, è di fare qualcosa di concreto a favore delle venti donne espulse e delle loro colleghe che l’hanno scampata, ma che, se fino all’altro giorno vivevano come sospese, ora sono letteralmente in preda al panico. Lo dimostra la diserzione totale della messa in rito bizantino celebrata nella cripta della chiesa di S.Giuseppe a Trento, che di norma registra un consistente afflusso di extracomunitarie. Alcune badanti, con cui abbiamo parlato, ci hanno espresso la loro paura ad uscire di casa, a frequentare i luoghi d’incontro con le connazionali, la profonda inquietudine e la preoccupazione per i loro familiari rimasti in patria che vivono delle loro rimesse.
L’assessore Mario Magnani, che come responsabile della sanità è il primo beneficiario istituzionale del lavoro delle badanti dell’Est, è quasi "parte lesa" in questa vicenda. Ci ha detto di aver inviato una lettera di rimostranze al questore, il quale lo ha assicurato che le indagini erano in corso da tempo ed erano finalizzate alla scoperta della rete di intermediazione che estorce somme di denaro alle immigrate in cambio di facilitazioni all’espatrio e segnalazioni di posti di lavoro. Se così è, a noi, che però sulle tecniche di indagine sappiamo soltanto quello che si vede nei film, sembra ben strano il modus operandi adottato: una retata di badanti in un parco pubblico. Perché non un’irruzione nelle sale parrocchiali in cui notoriamente si ritrovano (anzi, si ritrovavano: ora non più) ogni domenica, a centinaia? Volendo risalire al racket, non era più semplice puntare su confidenti e/o infiltrati? E comunque: la regolarizzazione prevista dalla legge Fini/Bossi, fra pochi giorni o settimane, non avrebbe tagliato l’erba sotto i piedi di quei delinquenti? Il fatto è, invece, che blitz analoghi a quelli di Trento sono stati compiuti negli stessi giorni in altre città italiane e quindi viene da pensare che ci sia stata una regia centrale e una volontà di intimidazione, di far sentire, anche in imminenza della sanatoria, la mano pesante del potere. "Evidentemente - dice l’on. Giovanni Kessler, deputato trentino dell’Ulivo - c’è stato un input dal Governo. Lo scopo è dimostrativo, far vedere che fanno qualcosa".
Magnani, comunque, ritiene che su questo provvedimento, ora che è stato avviato, lui, come pubblico amministratore, non ha alcuna possibilità di incidere. Non mostra di rassegnarsi, invece, il consigliere Vincenzo Passerini, che chiede al presidente della Provincia di intervenire presso il Governo per far bloccare i decreti di espulsione, attraverso un emendamento, se abbiamo capito bene, da inserire nel testo della legge Fini/Bossi. "Far passare un emendamento è l’unica soluzione - ritiene anche Kessler - ma sarà tutt’altro che facile, perché le posizioni della maggioranza sono molto ideologizzate in materia di immigrazione, quindi il richiamo non dico al buon senso o alla sensibilità, ma anche semplicemente ad un criterio di convenienza, di ragionevolezza, difficilmente troverà udienza. Ma se la gente continuerà a farsi sentire… Quello che è certo è che noi faremo tutto il possibile. Perché se è giusto agire per bloccare chi traffica in clandestini, è però sbagliato prendersela con le vittime di questi traffici. Le famiglie degli assistiti, poi, sono colpite due volte: primo perché private di queste aiutanti indispensabili, secondo perché dovranno rispondere alla giustizia di un reato penale."
A prescindere da eventuali soluzioni legislative, alcune delle malcapitate immigrate hanno deciso di ricorrere contro il provvedimento, rivolgendosi a studi legali privati o al sindacato.
Un avvocato dello studio legale Gerola di Trento, che difende una di loro, ci ha detto che l’unica possibilità è il ricorso al Tribunale civile, entro cinque giorni dal fatto (il termine è scaduto quindi il 30 marzo), a termini dell’art. 13 del decreto Legislativo n. 268 del 1998. Il ricorso potrebbe quantomeno servire a guadagnare tempo, in modo che nel frattempo possa entrare in vigore la legge Fini/Bossi e quindi la sanatoria. Ma neanche questo, a quanto sembra, basterebbe perché la Legge stessa contiene un dispositivo che prevede l’esclusione dal beneficio della regolarizzazione per quanti fossero già incorsi nel provvedimento di espulsione.
Teoricamente esisterebbe un’altra possibilità, il ricorso al Tribunale amministrativo (TAR), con istanza di sospensione. Ma è una via che non promette niente di buono, perché (oltre al costo elevato) ammette solo motivi di legittimità. E nella fattispecie non si ravvisano motivazioni di questo tipo. Del tutto analoga la posizione dell’Ufficio immigrati della Cgil, che pure difende una delle clandestine denunciate.
Quindi, la sorte delle venti badanti ucraine del Trentino e di quelle che in altre città sono incorse nello stesso incidente, dipenderà da un intervento di ordine legislativo, un emendamento, che per venire approvato dovrà tuttavia superare la guardia feroce che Bossi monta alla legge sull’immigrazione.
Comunque vada a finire, abbiamo l’impressione che questa vicenda non passerà agevolmente nel dimenticatoio come tante altre, perché ha segnato un solco fra la popolazione e le istituzioni. O meglio, fra la popolazione e chi gestisce le istituzioni, senza tenere conto degli interessi primari della gente e degli aspetti umanitari di una situazione che aveva profondamente coinvolto tanti cittadini.