La retata
“Espulse 20 badanti ucraine"; "Trento: maxiretata di colf clandestine", sono i titoli di apertura dei quotidiani locali di oggi. Il fatto ci amareggia e ci indigna, prima ancora che come operatori sociali, come cittadini. L’amarezza ci viene dal fatto che queste donne per noi non sono numeri, ma volti concreti, storie conosciute e a noi familiari. Sono storie contrassegnate da povertà, sofferenza, speranze e grande dignità. Sono persone che hanno lasciato casa, affetti familiari e superando enormi difficoltà e pagando prezzi esosi a coloro che speculano sulle loro necessità, sono giunte nel nostro Paese per poter beneficiare delle briciole del nostro benessere svolgendo un servizio essenziale di assistenza.
L’indignazione nasce dal constatare che si tratta di una presenza, sia pure occultata, sotto gli occhi di tutti, risaputa e conosciuta. Ci si obbietterà che esiste una legge che sanziona l’ingresso illegale, ed è certamente vero, ma pare quanto meno sospetto l’intervento effettuato. Provocatoriamente ci verrebbe da dire: se il problema è far rispettare la legge, perché non intervenire direttamente presso i centri che offrono accoglienza e accompagnamento quali la nostra sede di via Travai all’ora del pranzo, i centri Caritas, i Padri Cappuccini di via Cervara? Abbiamo l’impressione di vivere dentro uno società schizofrenica che non sa darsi regole certe e lungimiranti rispetto al problema dell’immigrazione, fenomeno, al dire di esperti non tacciabili di partigianeria, di carattere strutturale diffuso e inarrestabile.
Noi che lavoriamo in frontiera abbiamo la sensazione spiacevole di rappresentare la faccia benevola di una società che nei fatti emargina, esclude e impedisce di fatto una reale integrazione del cittadino immigrato.
Gli studi sul fenomeno immigratorio (vedi anche dati ONU) ci dicono che siamo noi ad aver bisogno degli immigrati, pena una decadenza complessiva della nostra società dal punto di vista dello sviluppo socio-economico e noi, pur di averli, siamo disposti a nostra volta ad infrangere le regole. Chi come noi ma anche gruppi di volontariato, associazioni, parrocchie, ecc. offre accoglienza mirando a sanare situazioni di sofferenza e di disagio offrendosi in un cammino di accompagnamento dei cittadini immigrati a prescindere dal loro stato giuridico di regolare o irregolare, si trova penalizzato da una politica miope che crede di poter risolvere il problema immigrazione intervenendo con scelte sanzionatorie che hanno come unico esito quello di acuire i problemi anziché intervenire a monte su mafie e organizzazioni criminali che lucrano sul dolore e sul bisogno di tante persone che sono alla ricerca semplicemente della sopravvivenza. Si preferisce intervenire su poveri cristi che hanno l’unico torto di essere inadempienti ad una legge che non facilita la loro appartenenza ad una società alla quale danno molto.
Crediamo che sia tempo ed ora di un sussulto di coscienza, di una assunzione di responsabilità e di una mobilitazione convinta e partecipe da parte di tutti perché assieme ai doveri troppo spesso richiamati nei confronti degli immigrati si offrano, con la stessa determinazione, diritti di cittadinanza reali a tutti.
Siamo in prossimità delle feste pasquali. Anche la comunità cristiana dovrebbe sentirsi intimamente interpellata da queste tematiche perché il suo proporsi nei confronti di questi fratelli, prima ancora che atteggiamento pietistico o di pura cura verso situazioni eclatanti di bisogno, diventi rivendicazione di giustizia, valore inscindibile dal concetto di carità.