Un viaggio che ti cambia
Proporre la ex Jugoslavia come meta di villeggiatura può apparire azzardato, tanto più che non stiamo parlando delle spiagge slovene e croate rimaste sostanzialmente intatte, ma della Bosnia; che evidentemente non può attrarre la clientela dei villaggi turistici e neppure chi, pur amando penetrare nella realtà dei posti in cui si reca, pretende però di ritrovarci tutte le comodità alle quali è abituato.
Stiamo parlando di un turismo decisamente alternativo, che non solo richiede apertura culturale ed un certo spirito di adattamento, ma che vive il viaggio come parte integrante della propria vita anziché come parentesi dedicata puramente allo svago.
Armando Stefani, uno dei fondatori dell’"Associazione Tremembè": e tra gli ideatori dell’iniziativa, spiega: "Durante il viaggio si creano dei legami, dei rapporti con la realtà locale, ai quali vuoi dare un seguito quando torni in Italia: può essere un affidamento a distanza, un gemellaggio fra scuole o altro: ma è difficile non tornare in qualche modo cambiati".
Armando Stefani e Michele Nardelli di "Progetto Prijedor", agli inizi dell’estate si sono recati sul posto, in Bosnia appunto, per verificare la fattibilità del progetto, prendere i necessari contatti e abbozzare un itinerario. E a fine agosto si è avuto il primo viaggio, un’anteprima ancora ufficiosa.
"Una vacanza del genere non l’avevo proprio messa in progetto - racconta Chiara Ghetta, insegnante – Poi, saputo della cosa e conoscendo le due associazioni promotrici, mi sono incuriosita, ho deciso di andare, e a cose fatte sono contenta di quella decisione. Siamo partiti in sette (non tutti si conoscevano), in pullmino, e per una settimana abbiamo visitato la regione accompagnati da un ‘mediatore culturale’, fermandoci a dormire ogni volta in località diverse, sia in strutture alberghiere che presso dei privati. Non è stata, ovviamente, una vacanza tradizionale. Abbiamo sì visitato posti interessanti (Sarajevo, Travnik, le terme di Mljecanica, splendide ampie vallate con boschi e fiumi bellissimi), ma l’aspetto più emozionante è stato l’incontro con le persone e una realtà ancora drammatica, anche se da tempo scomparsa dalle pagine dei giornali".
Quanto rimane delle distruzioni della guerra?
"Molto. Vedi una valle con insediamenti sparsi, con case isolate tutte distrutte in modo sistematico e questo ti fa capire con quanta meticolosa ferocia sia stata praticata la pulizia etnica. Poi, avvicinandosi a Prijedor, comincia ad apparire il rosso dei tetti delle case ricostruite. Qui, grazie all’intervento del "Progetto Prijedor", le cose vanno meglio che altrove, sia per quanto riguarda la ripresa della struttura economica che la convivenza , ma la separazione etnica rimane, anche se non è facile definire i precisi contorni di questi rapporti, perché la gente non ne parla volentieri. Ma anche in questa città vivono ancora molti profughi serbi, ostacolati nel rientro dagli alti costi necessari solo per avviare le pratiche. Ma già il fatto che un centro medico sia comune a serbi e musulmani, è importante".
Gli incontri con la gente, dicevi…
"Sono stati i momenti più intensi, commoventi a volte. Abbiamo conosciuto una cooperativa di donne musulmane – alcune con la famiglia distrutta dalla guerra – occupata nella coltivazione in serra di piccoli frutti, un gruppo che interviene sui bambini traumatizzati dalla guerra, un altro che produce tessuti… Tutte iniziative che hanno avuto il sostegno, spesso determinante, di "Progetto Prijedor"; ed è stato confortante vedere i risultati di questo impegno".
Noi abbiamo fatto da cavie"- scherza Chiara Ghetta riferendosi al progetto di turismo in Bosnia. E difatti nel loro viaggio non tutto è filato liscio. Ad esempio, dovevano fermarsi tre giorni presso un centro termale, che però è risultato non ancora sufficientemente attrezzato per ricevere ospiti, sia pure disposti ad adattarsi; e così il programma è stato modificato.
A partire dalla prossima primavera, però, l’iniziativa, probabilmente appoggiandosi alle Acli e alle agenzie di viaggio dei sindacati, diventerà ufficiale. "Il carattere stesso dell’iniziativa - spiega Stefani - richiederà comunque che si tratti di gruppi ristretti, per consentire a tutti un reale confronto con persone e situazioni".