Unicità della Shoah
Il 27 gennaio è il giorno della memoria della Shoah, che si celebra in tutta Italia per volontà della Repubblica. Offro queste riflessioni a coloro che vorranno leggerle, soprattutto ai giovani, a coloro che sanno e a quelli che, pur sapendo, preferiscono dimenticare.
Da quando esiste l’uomo sulla terra ci sono stati massacri e stragi, di natura tribale, etnica, religiosa, economica, ideologica e politica. Per ferocia le stragi ‘cristiane’ hanno superato ogni altra. Nessuno ha ancora eguagliato i fiumi di sangue provocati dai crociati nella presa di Costantinopoli, allora capitale dell’Impero romano d’oriente, neppure i mussulmani o i turchi. Anche i soldati di Hitler avevano impresso sul loro cinturone il motto "Got mit uns".
Massacri e stragi hanno insanguinato il mondo anche in tempi recenti: dalla Cambogia al Ruanda, dal Cile alla Cecenia. Eppure lo sterminio nazista degli Ebrei, e delle altre razze ritenute inferiori, deve considerarsi unico non tanto per i milioni di morti, ma per le caratteristiche che lo contraddistinguono: la pianificazione e la tecnologia.
La Shoah non è provocata da odio, da furente vendetta o da altre accese passioni, ma nasce a freddo, a tavolino, ed è realizzata su scala industriale secondo le modalità della catena di montaggio. Non è un caso che viene concepita nel paese più industrializzato d’Europa, la Germania. Il modulo di comando e di montaggio parte dai supremi capi (Hitler, Himmler, Heydrich, Muller) e arriva all’ultimo membro dell’Einsatz commando, di solito ebreo (ultima nefandezza nazista), incaricato della incinerazione dei cadaveri. Si segmenta in uffici e in ordini burocratici e si snoda dal ghetto ai trasporti ferroviari, ai campi di raccolta, alle selezioni, alle finte docce (camere a gas) e ai forni crematori.
La segmentazione della linea di produzione, che invece di automobili sfornava cadaveri, ha consentito ad Eichman durante il processo a suo carico a Gerusalemme nel 1961, di affermare che "lo sterminio degli Ebrei era stato il più mostruoso crimine contro l’umanità", ma che lui personalmente non ne era responsabile perché si occupava solo di orari di partenza dei treni, di trasporti di persone, di detenuti da consegnare. La sua attività riguardava un segmento della catena, in esecuzione di ordini superiori. Ciò che avveniva prima del suo intervento, o dopo, non lo riguardava e comunque sfuggiva alle sue responsabilità. Egli si comportava come un dipendente che si limita ad avvitare centinaia o migliaia di volte un bullone, ma non è responsabile dell’automobile che esce alla fine della catena di montaggio.
Se ciò vale per Eichman, vale per ogni altro burocrate della morte, in fondo anche per colui che nel forno crematorio bruciava una persona che era già cadavere, uccisa da altri. E questi altri si limitavano a girare dei rubinetti posti sopra i tetti delle (finte) docce.
Cosa uscisse dai rubinetti non era affar loro. Era acqua? Era gas? Il compito era di altri ancora, e così via dall’inizio alla fine. Senza il sistema fordista non ci sarebbe stata la Shoah, così come storicamente si è realizzata: un massacro a freddo, pianificato, segmentato, deprivato di responsabilità, privo di colpa apparente per ogni tratto della catena. Si aggiunga che solo una minoranza degli esecutori fu criminale o sadica; la maggior parte invece (centinaia di migliaia) era composta da persone normali, padri e madri di famiglia, che amavano i figli e ascoltavano musica classica. Questa è la "banalità del male" di cui ha parlato Anna Harendt, la burocrazia della morte che può trasformare ogni persona in una rotellina dello sterminio.
L’orrore, l’aspetto demoniaco e unico della Shoah non sta solo nei milioni di morti disciolti nel fumo dei camini, ma nella "normalità" delle SS che, magari dopo aver ascoltato una sinfonia di Mozart, spuntavano con un tratto di penna centinaia di nomi da una lista, e ogni nome corrispondeva non a una merce ma a una persona viva che sarebbe finita, al termine della lunga catena di montaggio, nelle camere a gas e nei forni crematori.
In questo consiste la unicità della Shoah, che non bisogna dimenticare perché non si ripeta.