“Ma sol per passion”
A colloquio con un signore che “addestra” al canto gli uccelli da richiamo
"Ma sol per passion” è il ritornello con cui Mauro accompagna la spiegazione degli aspetti discutibili della sua attività. E’ uno degli ultimi sulla collina di Trento a catturare ed allevare pennuti per farne uccelli da richiamo. E a lui mi sono rivolto perchè spiegasse l’aspetto pudicamente lasciato in ombra nel dibattito di questi giorni: una volta catturati, gli uccellini sono pronti a far da richiamo? Oppure forse non occorre un addestramento - chiamiamolo così - molto ma molto particolare? ( vedi anche scheda Consigli per un "addestramento" efficace)
Mauro cattura gardene, tordi, allodole, storni, merli, passeri, pavoncelle con roccoli, tagliole, vischio, archetti oppure li preleva direttamente dai nidi. “Ma sol per passion”- ci tiene a precisare.
Appena a casa li rinchiude in gabbiette appese ai muri nel volt e comincia il suo intervento per trasformare dei liberi uccellini in veri Giuda dei loro fratelli: si, perché l’unico scopo di un richiamo è portare un altro uccello a portata di fucile.
Non è facile allevarli: servono i mangimi giusti, le gabbie vanno tenute pulite, ci vuole grande attenzione contro malattie e parassiti perché, se il volatile, muore bisogna rimettere in funzione il roccolo e qualche rischio c’è sempre. Gli insettivori sono i più difficili da tenere in cattività e Mauro è arrivato ad allevare mosche della carne ed infilarle una ad una con una pinzetta nel becco. “Ghe vol passion” - insiste.
Un intervento fondamentale dopo la cattura è l’accertamento del sesso, verificabile, per gli uccelli senza dimorfismo maschio/femmina, mediante un’incisione nel basso addome. Imprecazioni non da poco accompagnano in genere la scoperta di femmine: “Fatica sprecata, non servono, perché cantano poco o niente. Le ricucio e le mollo - dice ridacchiando con fare allusivo, mentre io mentalmente traduco ‘le passo in padella’- I maschi li ricucio e guardo se cantano, sennò via.”
Il primo passo dell’addestramento è dar loro tempo per rassegnarsi alla cattività: appena messi in gabbia, per settimane saltano da un trespolo all’altro cercando con brevi rincorse di sfondare i fili metallici della gabbietta. Uno sforzo inutile che provoca dolorose ferite al becco che, unite all’inappetenza, causano in questa fase un’elevata mortalità. Solo col tempo si tranquillizzano e familiarizzano con la presenza umana.
Dopo qualche mese, si avvia l’addestramento vero e proprio del richiamo: va abituato al frastuono degli spari in modo che dopo una detonazione non si spaventi e continui a cantare. Gli uccelli in libertà infatti zittiscono immediatamente dopo un rumore inconsueto. Allo scopo li espone a forti rumori e li accompagna con il vecchio furgone a battute di caccia avvicinandoli metro per metro ai capanni da cui partono le fucilate.
Gli chiedo se è vero che spennandoli un po’ cantano meglio. Mentre accenna un sì con la testa, precisa che lui ricorre a un sistema più soft: “Io metto i richiami en muda (in muta) qualche mese prima della caccia spostando le gabbiette in fondo alla cantina perché al buio credono sia inverno e non cantano. Il giorno prestabilito carico le gabbiette in macchina e le appendo sugli alberi attorno al capanno: cantano come un disco!”
L’addestramento va avanti finché arriva il giorno della prova del fuoco. All’ora convenuta Mauro raggiunge con le voliere la postazione, di solito allestita sotto alberi dai rami radi per non offrire troppo riparo agli uccelli. Dopo aver reso cieche con un foglio di compensato le pareti di fondo delle gabbie in modo da impedire agli uccelli più dietro di scorgere il richiamo da lontano e costringerli di conseguenza a svolazzare intorno per cercarlo, dispone le voliere a semicerchio e a varie altezze attorno al capanno. Ora la sua parte è finita ed inizia quella del cacciatore.
La miglior resa in termini di catture si ha di buon mattino: fame e gabbie dei richiami velate dalla ridotta luce attenuano la sospettosità dei pennuti che, uditi i cinguettii, cercano l’emittente scrutando attorno dai rami più alti. Diffidenti ma curiosi, si abbassano un po’ alla volta avvicinandosi fino a portata di tiro. Bang, bang! La gardena-preda scivola giù dall’albero e la gardena-richiamo continua a cinguettare: l’addestramento è stata fatto a regola d’arte.
Non immaginate Mauro come un sadico: gioviale, personalmente non spara, si limita a “passare” i richiami ai cacciatori in cambio di qualche padella di gardene e tordi o di qualche lira, così tanto per rifarsi delle spese. Parla dei volatili come delle sue creature, li porta a gare di canto per uccelli, detesta chi li acceca, lega per le ali o spenna, ma non ne cederebbe uno che sia uno a chicchessia. Mentre ci lasciamo mi dice che gli estimatori della caccia al capanno sono in rapida diminuzione proprio adesso che gli uccellini sono in aumento. Non ci vede alcuna correlazione e commenta: “No gh’è pù passion!” Un ulteriore esempio di relatività dei punti di vista.
Domanda finale: eliminata la cattura illegale attraverso il nuovo roccolo provinciale, chi renderà legale il “percorso formativo per uccelli da richiamo” descritto sopra?