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QT n. 9, 29 aprile 2000 Servizi

Luxottica: i Blues Brothers a Rovereto

Modello veneto e modello trentino a confronto.

La Luxottica è impresa dell’industriale Leonardo Del Vecchio, che, partito dall’agordino (BL) per mettere in piedi un gruppo leader nella produzione di occhiali, lo scorso anno ha portato a segno il colpo - soprattutto d’immagine - di assorbire il marchio più prestigioso del settore, quello dei Ray Ban, un pezzo del mito americano : gli occhiali di James Dean e John Belushi. Ma la prima fabbrica assorbita da Del Vecchio fuori dal bellunese era stata, nel 1984, la Meccanoptica Leonardo, di Rovereto. Una fabbrica in buona salute, che prima della fusione dei bilanci delle varie fabbriche di Del Vecchio in un bilancio unico del gruppo, faceva da sola 4-5 miliardi all’anno di utili netti. E che aveva inquadrato i propri lavoratori nel contratto dei metalmeccanici.

Quando Del Vecchio assorbe i Ray Ban fa l’esatto contrario di quanto fanno di solito gli imprenditori italiani : chiude le fabbriche Ray Ban in Messico e Texas e ridimensiona pesantemente quella in Irlanda, licenziando 2.000 persone, e porta le relative produzioni in Italia.

"L’occhiale finito prodotto in quei paesi che dovrebbero essere una manna per costo del lavoro e livelli di tassazione - commenta Paolo Burli segretario della FIOM-CGIL - o costava 1500-2000 lire in più di quello che costava in Italia o era qualitativamente non soddisfacente. Evidentemente il controllo sulla qualità era più garantito dalle fabbriche italiane, sottomano, che da quelle lontane, ex Ray Ban".

Sta di fatto che, deciso di trasferire queste lavorazioni in Italia, si pone il problema di dove allocarle, presso quale fabbrica del gruppo, e si avanza l’ipotesi di Rovereto, iniziando su questo una trattativa con il sindacato. Ma la trattativa non si conclude. Perché? Cerchiamo di spiegarlo usando il minimo di sindacalese: perché Del Vecchio chiede di mutare l’inquadramento dei lavoratori roveretani dal contratto dei metalmeccanici a quello dei tessili - che già applica nelle fabbriche del bellunese - cosa che permetterebbe all’impresa qualche risparmio. "Noi sul cambio di contratto non abbiamo ceduto - ci dice Maurizio Manzana, un sindacalista FIM-CISL della Luxottica di Rovereto - ma abbiamo offerto contropartite consistenti che avrebbero permesso a Del Vecchio di arrivare agli stessi risparmi realizzabili col contratto dei tessili, impegnandoci a tenere ferme per 5 anni le richieste salariali, e non è stato per niente facile spiegarlo ai lavoratori, che ci rinfacciavano per contro gli alti utili della fabbrica".

Ma la trattativa comunque si arena, e la produzione viene spostata sull’unica fabbrica italiana acquisita col marchio Ray Ban, a Pederobba (TV). Vanno così in fumo, secondo una certa ottica, circa duecento posti sulla piazza di Rovereto. Ma veramente è stata un’occasione sprecata? Rovereto ha assoluto bisogno di posti di lavoro? Deve puntare sulla quantità degli assunti oppure... "No, non si è trattato di occasione sprecata - continua Manzana - questi sono solo assestamenti per le chiusure all’estero. Qualora il gruppo dovesse digerire bene la ristrutturazione ed avviarsi ad una vera espansione, lo stabilimento di Rovereto resterebbe il favorito, perché, dentro il gruppo, è la postazione tecnologicamente più avanzata, con un’ottima qualità del prodotto, con personale qualificato, e queste sono tutte cose cruciali per un progetto di rilancio. Certo che l’imprenditore - ci tiene a sottolineare Manzana - dopo queste varie incomprensioni, a Rovereto deve recuperare il consenso dei lavoratori: anche questo è cruciale per un progetto di rilancio".

Cose simili sostiene anche Burli: "Qualità, costo e produttività sono sicuramente migliori che in Messico ed Irlanda. È chiaro però - aggiunge non senza una nota di preoccupazione - che comunque la Luxottica dice anche che fra lo stabilimento di Rovereto e quelli di Torino, Agordo, Treviso c’è uno scarto significativo: la montatura a Rovereto mi sembra venga a costare circa il 10-15% in più che dalle altre parti. Bisogna pensare che nell’agordino, da dove l’impresa è partita, c’è una comunità costruita attorno alla fabbrica, con condizioni di disponibilità particolari dei lavoratori, mentre le altre fabbriche italiane -diversamente da quella di Rovereto - sono state assorbite da Del Vecchio quando stavano per chiudere e l’arrivo della Luxottica ha voluto dire la salvezza dei posti di lavoro e dunque pochissima forza contrattuale dei lavoratori. Noi siamo purtroppo investiti da queste dinamiche di gruppo, non verificabili e non controllabili da noi, se non facendo una scommessa: possiamo recuperare questo gap in due soli ambiti: maggior qualità e maggior produttività. A meno che non si voglia - magari dopo aver messo in cassaforte qualità e produttività già incamerate - manomettere le condizioni salariali dei lavoratori. Noi puntiamo a valorizzare la capacità produttiva dei lavoratori di Rovereto, dove ci sono 20 anni di storia e sedimentazioni professionali di tutto rispetto, e per questa via a recuperare il feeling con l’imprenditore. Credo che Rovereto abbia tutte le risorse, tutte le caratteristiche, per diventare un polo produttivo importante per Luxottica".

Ma il discorso ormai si è allargato. È evidente come il caso della Luxottica sia un vero concentrato dei problemi che l’industria e il sindacato si trovano ad affrontare in questa fase: internazionalizzazione (anche se "a rovescio", ma sempre di internazionalizzazione si tratta) e capacità di innovazione: tecnologia, qualità, produttività.

"In Trentino, per un concorso di fattori (l’arrivo nelle fabbriche dell’ondata del ’68 studentesco, il radicalismo della predominante tradizione cattolica, ecc.), in quanto a diritti dei lavoratori, controllo dell’orario di lavoro e salario - ci dice Luigi Caliari, segretario della FIM-CISL - siamo più avanti che nel resto d’Italia la quattordicesima mensilità nel bresciano o nel Veneto se la sognano, i salari sono mediamente un po’ più alti, il controllo sull’orario di lavoro è altrove decisamente attutito, e i padroni notano subito la maggior rigidità e te la rinfacciano". Ne sono un esempio anche i due differenti accordi sul lavoro al sabato sottoscritti recentemente alla Pama di Rovereto e presso la consorella del gruppo Marangoni di Padova, la SAIMP: di fronte a commesse eccezionali, a Rovereto si sono concessi 4 sabati lavorativi, ma in cambio di 4 giorni garantiti di recupero da incassare subito; nella fabbrica di Padova invece, intanto si sono concessi i 4 sabati, con il solo accordo che poi a fronte di un calo produttivo le parti si incontreranno per verificare l’eventuale recupero. Come si vede, una mentalità decisamente diversa: a Rovereto si punta a garantire subito il godimento dei diritti dei lavoratori, a Padova si cerca di inserire questi diritti all’interno delle necessità produttive dell’azienda. Insomma, in Veneto il lavoratore prende in considerazione i problemi della produzione anche quando l’azienda va bene, non solo quando sta per tirare le cuoia. Affrontando anche il rischio che l’azienda ne approfitti, e quindi spostando su un altro terreno (più avanzato?) le relazioni sindacali.

"Questo della rigidità è un problema vero, fra i più spinosi per un sindacalista; - continua Caliari - noi possiamo sempre meno sottrarci ad una richiesta di maggior flessibilità". E poi ci ricorda che la risposta a questioni cruciali come queste va ormai cercata in modi nuovi, elaborando una strategia sovranazionale del movimento sindacale, che arrivi almeno al primo livello in cui si formano le politiche industriali, quello europeo.

Torna insomma fuori, anche da questi esempi, il problema della capacità di risposta alla globalizzazione con sempre più spinti tassi di innovazione e conseguente riqualificazione dei processi produttivi. Unica via per mantenere una identità produttiva di tipo industriale in zone a vecchia vocazione industriale come Rovereto, dove non ci possono essere i salari stracciati del terzo mondo, ma può esserci, ed essere anche concorrenziale, un patrimonio consolidato di professionalità industriali da far fruttare. Perché altrimenti - dal punto di vista dei lavoratori -l’alternativa può essere, al massimo, la temporanea tenuta di una vecchia aristocrazia operaia (anche se stiamo parlando di una "aristocrazia" da 1.700.000-1.900.000 £ al mese) assediata come in un fortilizio, intorno al quale dilaga una precarizzazione selvaggia. Con annessi e connessi, come i morti da nocività sul lavoro quali il giovane albanese Afrim ricordato sul numero scorso di questo giornale, ma anche - questa volta dal punto di vista degli imprenditori - la caduta di qualunque qualità del lavoro.