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Sinistra: rinnovarsi o perire

Il mediocre “pensiero unico”, la “politica debole” - tanta tattica e pochi contenuti - alimentati dai successi elettorali della Margherita. E dall’altra parte i punti attorno a cui aggregare una politica riformista.

Sollecitato da Walter Veltroni, Vittorio Foa ha così riassunto nelle scorse settimane la fisionomia della sinistra italiana per gli anni che verranno: "La sinistra nuova di cui abbiamo bisogno non va cercata nell’ impossibile sintesi di tante radici e tante storie diverse, ma nel produrre il nuovo, nell’indicare la natura diversa dei compiti d’oggi, nell’insistere sulla diversità dei suoi obiettivi rispetto al passato anche recente, nel dichiarare che le vecchie soluzioni vanno accantonate e che occorre un cambiamento. Anche la migliore delle tradizioni si serve rinnovandola".

In questi giorni Ralf Dahrendorf ironizza su chi, a sinistra, si ingegna a ricercare "la terza via", quando non una, ma venti, cinquanta, cento vie, sono utili e applicabili, dopo il 1989, per tradurre, se ci sono, obiettivi programmatici, nelle diverse esperienze territoriali. La società aperta consente infatti molte strade per attuare obiettivi comuni.

Sono osservazioni che possono tornare utili anche al processo di rinnovamento della sinistra che si è aperto in Trentino, che muove con difficoltà i suoi passi, ma che è senza alternative. A meno di non ridurre il ruolo della sinistra ad una presenza marginale e di sopravvivenza, priva d’incidenza reale e soprattutto di capacità propulsiva.

C’è bisogno invece che il variegato mondo della sinistra trentina - altre volte capace di buone intuizioni - torni ad esprimere un contrappeso culturale e politico al diffondersi anche in Trentino di un mediocre "pensiero unico", basato su molti espedienti tattici e pochi contenuti. Alimentato dai successi elettorali della Margherita, esso appare del tutto inadeguato a rispondere alla crisi della politica e, nel merito dei problemi, a superare le nuove sperequazioni territoriali oltreché gli inediti disagi sociali.

Molti si sono dichiarati consapevoli della deriva a cui portano sbiaditi programmi e iniziative e lo sfilacciato rapporto con i mondi vitali che alla sinistra dovrebbero fare naturale riferimento. Si è finora tentato di rimediare a questa deprimente situazione cercando la fusione di sigle, di movimenti, di piccole, ancorché nobili storie. Un processo necessario, che qualche frutto ha dato nelle elezioni di novembre, ma di cui appare evidente l’ inadeguatezza, condizionato com’è da tutti i contraccolpi dei volubili scenari nazionali e dall’assenza di un gruppo dirigente in grado di affrontare un progetto difficile e ambizioso.

C’è bisogno quindi d’altro, di più radicale, di più convinto. Senza nessuna concessione a formule massimaliste occorre avviare subito una fase nuova, perché niente è più inutile e dannoso che le riforme fatte a metà o fuori tempo massimo. Vale per tutti, anche per il destino dei movimenti politici. Se non si arriverà presto all’autoriforma della sinistra, prevarrà inevitabilmente il pensiero debole della democrazia, quello che gli editorialisti del Corriere della Sera evocano con l’ipotesi di una democrazia italiana basata sui comitati elettorali, da far vivere solo per l’effimero tempo di una consultazione.

Le diverse storie della sinistra trentina, se ricomposte solo guardando al passato, difficilmente produrranno qualcosa di più che un mucchio informe di sospettose velleità che si paralizzano reciprocamente. Convogliate in un processo federativo, non esclusivo rispetto a tanti possibili apporti offerti da organizzazioni vitali e motivate presenti nei nostri centri urbani e nelle nostre valli, potranno accendere speranze per il futuro, esprimere autorevoli gruppi dirigenti.

Tutti i processi federali reggono se basati su idee forti e condivise, altrimenti naufragano sotto la pressione delle prime onde d’urto. Senza queste idee-forza anche la nuova stagione che si vuole aprire, si ridurrà ad ennesima operazione di maquillage, contigua al trasformismo gattopardesco di cui è zeppa la storia politica italiana.

Ancora Vittorio Foa ha ricordato: "Il nuovo secolo ci impone le società multietniche, le sfide della bioetica, un nuovo welfare non solo riferito ai bilanci, ma anche ai bisogni e alle paure. E poi la disoccupazione e lo sviluppo".

Perché si affermi un ruolo vitale della sinistra in Trentino è necessario provocare un "big bang" avvertito in tutta la società trentina e non solo nei ristretti mondi dei palazzi della politica.

Per questo c’è bisogno di una grande autonomia nei confronti dell’azione del governo. Questo non vuol dire riproporre l’ambigua politica del "doppio binario" nei confronti di un governo amico di cui si fa parte. Significa semplicemente rivendicare la propria ragion d’essere come forza politica. Presuppone una propria identità programmatica e culturale non riassumibile nelle mediazioni di una coalizione eterogenea. Senza dimenticare che anche le mediazioni di governo debbono essere trasparenti compromessi di contenuti e ragioni e non supina acquiescenza ai diktat di una parte. Significa soprattutto riaffermare quella politica del limite dello sviluppo con una riconversione di perversi metodi d’uso delle risorse ambientali e finanziarie del Trentino, così prepotentemente rivendicati anche nel nuovo governo provinciale. La privatizzazione dei beni collettivi continua infatti ad essere riproposta oltre ogni soglia di futuro sostenibile e i suoi costi continuamente scaricati sulla comunità. Dalle nuove centraline ai nuovi impianti il vecchio modello continua a volersi imporre. In una situazione siffatta anche i nuovi patti territoriali, felice intuizione programmatica della nuova giunta, rischiano di divenire patti "leonini" dei vecchi poteri forti in città e nelle valli.

Per proporre ipotesi federali a mondi sociali ed economici occorre che su questo la parola e l’azione della sinistra non abbia tentennamenti e ambiguità. Occorre una sinistra che esprima un forte senso delle istituzioni in grado di promuovere una leale azione della struttura pubblica di migliaia di dipendenti e dirigenti pubblici, essenziale per dimostrare che la sinistra non promuove i fedeli, ma i capaci.

La sinistra non ha bisogno che altri legittimino la sua cultura autonomista. Oggi il pericolo per il Trentino non è quello di veder messa in discussione la piccola patria, le radici e l’identità. Il vero rischio è quello di divenire una società chiusa in se stessa, incapace di capire i mondi nuovi espressi in modo eloquente dalle centinaia di nazionalità che ormai costellano l’anagrafe di Trento e dei comuni minori.

Ai gazebo della Lega per le espulsioni degli immigrati, la sinistra deve rispondere certo con una politica di legalità, ma anche con la consapevolezza che i fenomeni migratori sono fenomeni ineluttabili.

Ancorata in questo modo ai grandi movimenti culturali riformisti europei, se capace d’ esprimere nel Trentino - recuperando la sollecitazione di Dahrendorf - forme organizzative autonome corrispondenti ad una peculiarità di storia, tradizione e ambiente, la sinistra trentina può ancora dimostrare che la politica non è finita. L’alternativa tra rinnovarsi o perire rimane oggi a sinistra più attuale che mai.

Malgrado ragionevoli pessimismi, ci sono tante energie e bisogni che inducono a insistere nell’impegno perché la strada del rinnovamento prevalga.