Regione: un addio senza rimpianti
Ho molta stima di Alessandra Zendron e leggo sempre con sommo piacere la sua Lettera dal Sudtirolo. E’ per questo motivo che mi sento impegnato a dedicare una particolare attenzione a ciò che ha scritto sull’ultimo numero di QT, anche perché le preoccupazioni che vi manifesta sono condivise, a quanto pare, da gran parte del gruppo linguistico italiano e dell’area mistilingue presenti in Sudtirolo.
Il nucleo del ragionamento di Alessandra e di tutti coloro che sono contrari alla revisione del vigente ordinamento regionale, si basa sulla convinzione che "l’attuale assetto garantisca i diritti di tutti, e un equilibrio fra i gruppi linguistici su cui poggia, almeno finché reggerà il benessere economico, la pace etnica". E’ evidente che se questa convinzione fosse fondata, sarebbe davvero una pretesa sconsiderata quella dell’Ulivo trentino di riformare la Regione solo per darsi una legge elettorale di tipo maggioritario. Ma a me pare che questa sia una rappresentazione della realtà deformata da un pregiudizio tanto radicato nell’inconscio collettivo dei residenti di lingua italiana del Sudtirolo, e dei loro fiancheggiatori trentini, quanto del tutto privo di riscontri nella realtà normativa e fattuale storicamente considerata. Ritenere che l’equilibrio fra i gruppi linguistici sia garantito dalla Regione è il risultato, a mio avviso, di una sorta di illusione ottica. Infatti il problema dell’equilibrio fra i gruppi linguistici è esclusivamente circoscritto nei confini della Provincia Autonoma di Bolzano, e la Regione non ha, rispetto ad esso, alcuna reale possibilità di esercitare una qualsiasi influenza.
Sotto il vigore del primo Statuto la Regione, a maggioranza di lingua italiana e dotata di cospicui poteri, svolse un ruolo di tutela impropria dell’italianità dell’Alto Adige, con il bel risultato di scatenare il terrorismo sudtirolese. Nel secondo Statuto, se togliamo i mai applicati ed assolutamente innocui articoli 56 e 84, non vi è alcuna traccia di funzioni proprie della Regione in qualche modo connesse con il problema dell’equilibrio fra i gruppi linguistici. Sarei riconoscente a chi riuscisse a spiegarmi in quale modo la tenuta del Libro fondiario o la vigilanza sulle cooperative, residue prerogative della Regione, incidono sugli equilibri fra i gruppi linguistici e sulla pace etnica. La verità è che l’attuale ordinamento della Regione costituisce soltanto un ingombrante e costoso limite al dispiegarsi dell’autonomia delle due comunità provinciali, e per questo motivo i sentimenti di fastidio che provoca soverchiano e fanno impallidire la percezione di solidali affinità economiche e culturali che d’altra parte, come è giusto, è presente nella popolazione di tutta la regione.
A questo stato delle cose sembra assai più appropriato un ordinamento della Regione di modello confederale, piuttosto che l’attuale. Non mi pare che si possa dire, come scrive Alessandra, che il modello confederale sia fallito dappertutto: ha preparato storicamente la nascita di prosperose e solide federazioni, è quello stesso che oggi sta facendo maturare le condizioni per la nascita della federazione degli Stati d’Europa. Il punto è che un ordinamento, per essere fecondo, non deve forzare la realtà, ma rispecchiarla e accompagnarla nella sua evoluzione. Un modello confederale è anche il più dotato per svilupparsi in dimensioni territoriali più vaste, in parallelo con il processo di unificazione europea.
Quanto ai lineamenti del nuovo assetto, pare anche a me che le idee che circolano siano piuttosto confuse. Bisognerà rimediarvi in corso d’opera.
Ma Alessandra Zendron solleva un altro problema, assai serio: che accadrà della democrazia sudtirolese? A me pare che questa sia minacciata non tanto dalla ventilata revisione dell’attuale ordinamento della Regione, quanto piuttosto dal permanere, ed eventuale aggravarsi, delle condizioni politiche che caratterizzano l’Alto Adige. Rivedendo lo Statuto, anzi, sarà possibile affinare ed integrare i meccanismi di varia natura già ora esistenti e finalizzati alla salvaguardia dei diritti naturali dei gruppi linguistici e dei singoli cittadini che li compongono. Ma il fatto che la SVP raccolga il 56% dei voti non può essere modificato per legge. Un gruppo linguistico, che già per sua indole e cultura è incline a non differenziarsi, se inserito dalla storia in uno Stato di diversa nazionalità, esalta il suo istinto gregario e si compatta attorno alla propria identità etnica. Lo stesso è accaduto perfino al gruppo italiano, per indole e cultura propenso invece a frammentarsi, nel momento in cui, con lo Statuto del 1972, si è trovato in una provincia con vasti poteri a maggioranza sudtirolese; è questa la spiegazione della fortuna elettorale del MSI, ora di AN.
Da questi due speculari fenomeni, pur di diverse dimensioni, deriva che la società che vive nel territorio della Provincia Autonoma di Bolzano è una società bloccata, chiusa.
Il secondo Statuto ha fatto uscire il Sudtirolo da uno stato di guerra calda per farlo entrare in uno stato di guerra fredda; non ha ancora creato una società aperta, secondo la nozione popperiana. E’ stato un grande progresso, ma il messaggio di Alex Langer, oggi raccolto soprattutto dai Verdi di Alessandra Zendron, è ancora una profezia. Non più un’utopia, però, se proseguirà il cammino verso l’unità europea e se ne terremo conto nel riorganizzare la nuova Regione.