Turismo invernale: il troppo che fa male
Le piste da sci congestionate, quelle nuove distruttive ambientalmente e irrilevanti sciisticamente; e intanto si aumentano i posti letto. Lo squilibrio del turismo invernale trentino, che sembra volersi fare male da solo. Ma, finchè i turisti arrivano...
Il documento di Italia Nostra che pubblichiamo nelle pagine a seguire, invia un chiaro allarme: attenzione, il turismo invernale sta soffocandosi da solo.
Non è un concetto nuovo. Che per insulsa avidità si finisca con il mettere in pentola la gallina dalle uova d’oro, è un rischio più volte denunciato. E, si sa, a forza di gridare al lupo, non si viene creduti; ma poi, spesso, il lupo viene per davvero.
Infatti l’analisi di Italia Nostra è particolarmente allarmante, perché mette in discussione la base, il cuore stesso dell’economia turistica invernale, lo sci. Attenzione, si dice: ogni sciatore ha bisogno di una porzione di pista libera per poter scendere in tranquillità (circa 200 metri quadrati, secondo gli standard più accreditati); in Trentino, soprattutto in alcune località, c’è un eccesso di posti-letto, cui vanno aggiunti i pendolari; il rischio di insoddisfazione del turista incomincia ad essere concreto. Da una parte si continua ad aumentare l’offerta di posti-letto; dall’altra le possibilità di espansione delle aree sciistiche sono strutturalmente limitate. E questo è tanto più vero - scrive Italia Nostra - se si analizzano le recenti, contestatissime proposte di ampliamento da parte delle società funiviarie: proposte non solo dirompenti dal punto di vista ambientale, ma soprattutto (ai fini di questo ragionamento) irrilevanti sul piano sciistico, trattandosi di piste brevi e con pendenze inadeguate.
Insomma, se tutto quello che gli impiantisti sanno proporre è questo, sembra si stia raschiando il fondo del barile. Non è semplice trovare pendii tra i 1500 e i 2500 metri, collegati tra loro, non esposti a sud, con pendenze non inferiori al 15% (altrimenti si scivola e basta) e non superiori al 40% (affrontabili solo dagli sciatori provetti). Se non trova questo insieme di condizioni, lo sciatore - giustamente sempre più esigente - storce la bocca; come pure inizia a contrariarsi, quando i suoi duecento metri di pista libera via via si riducono.
Eppure si continua ad ampliare l’offerta: nuovi insediamenti a Daolasa, ampliamenti degli alberghi in tutta la provincia, prossime nuove strutture viabilistiche che faciliteranno l’afflusso dei pendolari.
"Attenzione con questi discorsi - ci dice Ettore Bonazza, consulente turistico - in Trentino c’è sempre stata una rincorsa continua tra posti-letto, posti-pista, posti-impianto e posti-auto. Di volta in volta si dice che occorrono più alberghi, poi più impianti, poi più strade. Il fatto è che le analisi non vanno fatte sul Trentino, ma realtà per realtà. Cercando di trovare il giusto punto di equilibrio."
Il problema insomma è la politica turistica. L’ultimo assessore (il noto Francesco Moser) proponeva incredibili e irrealizzabili (vedi a pag. 18) impianti nel Brenta; e poi spaccava lo specchio che gli rifletteva immagini sgradite, si inalberava con il Touring Club che metteva in discussione vivibilità e attrattività delle nostre stazioni.
Col prossimo assessore, si vedrà. Ma il problema è più generale: se c’è la consapevolezza dell’assoluta necessità di trovare questo benedetto equilibrio, e di trovarlo non con l’ennesimo rialzo (aumentando con nuove - improbabili e sempre più dirompenti piste - il numero di posti-pista) ma finalmente ponendosi dei limiti quantitativi.
Gli esempi, all’estero, non mancano: in Sudtirolo, e più in generale in Austria, Svizzera, Baviera, si è impostata una severa politica di limitazione quantitativa. E anche in Francia, dopo i grossi errori iniziali con le mega-stazioni dirompenti, si è raggiunto un buon punto di equilibrio (anche se lì tutto è più facile, dal momento che amplissimi spazi e declivi straordinariamente favorevoli rendono tutto più facile).
Noi invece arranchiamo. E le situazioni più congestionate (Val di Sole) e degradate (Folgarida-Marilleva) si salvano rivolgendosi a una clientela sempre meno ricca e quindi meno esigente: oramai i tedeschi sono solo un ricordo: per fortuna sono arrivati i turisti dell’est europeo.
Nego che il nostro turismo invernale sia in difficoltà - ci obietta il direttore dell’Apt, dott. Ernesto Rigoni - Ogni anno noi aumentiamo la clientela (vedi tabella n.d.r.). Questi sono i fatti, il resto sono chiacchiere."
Questo è il punto. Se l’Azienda di Promozione Turistica ogni anno fa i conti solo con le quantità, se la politica turistica è finalizzata a pompare, ad aumentare i numeri, viene subito in mente la favola della rana che si gonfiò fino a scoppiare.
"Noi abbiamo l’obiettivo di aumentare il valore aggiunto. Quindi a parità di posti letto - precisa Rigoni - aumentarne l’utilizzo, che oggi, nel periodo invernale, supera di poco il 60%; ed aumentare la spesa complessiva del turista."
Ecco: a parità di posti-letto. Forse allora è il caso di fermarsi, di porsi limiti quantitativi.
"In Austria, da dieci anni, nelle più rinomate stazioni, Kitzbuhel, Sant Anton, Schladmig, ecc, si sono imposti limitazioni anche pesanti. Come il Betten Stop, blocco dei posti-letto: se ne possono creare di nuovi solo in quanto se ne dismettono di vecchi. Ma queste non sono decisioni che spettano a noi, bensì alla pianificazione urbanistica."
Ci sarebbe poi l’altra metà del cielo. Ossia i turisti non sciatori, oppure gli sciatori che non necessariamente devono stare sempre sugli impianti. Insomma, il mondo del turismo ecologico, naturista. Teoricamente sono, secondo alcuni rilevamenti, il 50% del totale. Ma sono considerati degli accessori, dei turisti a rimorchio, madri, bambini, lo zio anziano; oppure lo strampalato che va in giro con le ciaspole a cercare i camosci.
Il Parco di Paneveggio-San Martino ha attrezzato i propri centri-visitatori come punti informativi sul parco, flora, fauna con sala video ecc, registrando un certo regolare afflusso; e contemporaneamente organizza escursioni naturaliste le più diverse ("gufi, civette e stelle" dal tardo pomeriggio alla sera, nei boschi ad individuare i rapaci notturni; oppure a cercare e osservare i camosci dotati di collare trasmittente; o ancora a passeggiare per i masi della Val Canali, con l’illustrazione delle leggende locali).
Per non parlare delle attività più propriamente sportive, quali ad esempio le escursioni con gli sci e le ciaspole, organizzate dalle guide alpine.
Comunque non sono ancora iniziative di massa: globalmente il Parco di San Martino riesce a coinvolgere in un mese circa 500 persone, mentre una seggiovia quadriposto ne porta 3000 in un’ora.
"E’ vero, non abbiamo ancora i grandi numeri - ci dice il direttore del parco dott. Ettore Sartori - Soprattutto perchè si tratta di proposte nuove, non ancora entrate nella mentalità del turista. Eppure vediamo che i nostri visitatori sono molto soddisfatti. Così come gli operatori turistici più lungimiranti, che capiscono che così si amplia l’offerta. Non è un caso che i nostri visitatori provengano in massima parte solo da alcuni alberghi che distribuiscono il nostro materiale e propagandano le nostre iniziative."
"Si tratta di un turismo che molto probabilmente avrà interessanti sviluppi - ci dice il consulente Bonazza - Certo, basilare è la promozione, che su questo settore andrebbe incrementata.".
Però è un turismo che sembra muovere meno soldi (se qualcuno va a vedersi una cascata di ghiaccio, non paga il giornaliero) e che viene visto con sufficienza, con fastidio, quando non con intollerante opposizione.
Vediamo cosa arriva ad affermare Angelo Cazzetta (anche lui di San Martino) presidente della Sezione Impianti a Fune dell’Associazione Industriali, in un’intervista sul giornale della Confindustria locale: "Sempre più cresce la domanda di servizi ‘dopo sci’, come ad esempio animazione (...)
Quando questa tendenza viene assorbita o ispirata da amministratori e funzionari pubblici, od ancora peggio, dagli altri operatori interni alle stazioni turistiche, fino a partorire illusioni, ovvero progetti di sviluppo alternativo (...) spesso mascherati da una o più forme di ‘finto’ ambientalismo, allora non solo è il caso di preoccuparsi, ma credo ci siano tutte le opportunità per individuare forme di reazione..."
Vedremo prossimamente i picchiatori contro gli operatori del Parco?
Forse lo sviluppo turistico sta effettivamente diventando sempre più anche un problema culturale. A Bellamonte, alla partenza degli impianti del Lusia è situato il Rifugio-Ristorante El Zirmo, uno dei tanti storici edifici dell’escursionismo trentino. Ora a fianco sorge la "Zirmo’s Arena" (sì, con il genitivo sassone!), discoteca all’aperto (richiudibile a sera con apposito congegno) che inonda di megawatt un’area di diversi ettari, venti ore su ventiquattro; alle cinque, i ragazzi, lasciati gli snow-board a terra, affollano l’Arena all’inverosimile.
E’ questa l’immagine del Trentino? Senza alcuna identità, uguale a Rimini o alla periferia di Milano; tanto, da tutte le parti i giovani fanno le stesse cose, e gli adulti sopportano il fracasso. E nessuno si accorge che di fronte c’è il roseo tramonto sulle Pale di San Martino, che per essere apprezzato avrebbe bisogno di un po’ di silenzio.
"Ce ne sono diverse, in tante parti, di queste iniziative - commenta Rigoni - L’Apt su questo non dà giudizi. Certo, andrebbero evitate le iniziative che, per venire incontro a un settore di clientela, rendono difficile la vacanza ad altri turisti, che invece del rumore cercano la serenità. Ma anche le discoteche all’aperto sono aziende che operano: evidentemente con il consenso dei poteri pubblici."
E così il cerchio si chiude. Per quattro soldi sull’unghia si svende tutto. E poi tornare indietro, recuperare quanto si è perduto, è sempre lungo e difficile.