Elogio del riciclaggio
Le nuove tecnologie per combattere lo spreco.
Chiudere il cerchio " è il felice titolo di un caposaldo ella letteratura ambientalista, scritto nei primi anni '70 da Barry Commoner, un libro da leggere se ancora non lo si è fatto (ma non farà davvero male rileggerlo). Ricco di esempi, convincente, "Chiudere il cerchio" esorta a ripristinare circoli nei flussi della materia e dell'energia che abbiamo spezzati: il che non vuole dire ne ritornare all'età della pietra ne, senza retrocedere così lontani nel tempo, vagheggiare antiche irrecuperabili civiltà contadine. Riscoprire, piuttosto, in forme nuove e raffinate una logica antica, che è incorporata da miliardi di anni nella logica dei viventi e che non possiamo negare, se non a gravissimi prezzi e alla lunga letali: procedere oltre la natura (antica aspirazione, non idealizziamola troppo, l'antica grande nemica), recuperandone la logica circolare a vantaggio della nostra storia, che circolare non è. Come nello jujitsu, dove la forza dell'avversario si trasforma nella tua forza non viene negata, ma resa alleata occorre fare leva sulla vocazione ciclica della natura, per non esserne preda.
Riutilizzare il riutilizzabile e riciclare il riciclabile: si tratta davvero, ormai, di darsi da fare per cambiare modelli di produzione e consumo lineari (la natura miniera da cui estrarre quanto serve per produrre le merci da trasformare in rifiuti da gettare nella natura discarica), ed instaurare circuiti di consumo compatibili con la comprovata e sempre più stretta limitatezza dell'ambiente.
Non conosco l'origine di questo antico prefisso, nel le sue due forme alternative. Sta di fatto che mai come oggi furoreggia in capo ai diversi frequentissimi termini: "riciclaggio", "recupero", "riutilizzo", spesso usati in modo confuso e sovrapposto (spero che lo schema nel riquadro faccia un po' di chiarezza).
Il fatto rilevante è che oggi questi termini non appartengono più al mondo delle utopie e delle critiche radicali al sistema economico, ma sempre più capillarmente si calano nel mondo delle cose per designare processi produttivi, forme intelligenti di riuso delle risorse, modificazioni profonde dei cicli dell'economia.
Un capitolo a parte è costituito dal riutilizzo, a cui ancora viene prestata troppo poca attenzione. Nel mondo del riutilizzo le cose durano. Purtroppo, in società opulente che ancora non riescono a liberarsi dalla sindrome della miseria, come osservava esattamente quarant'anni fa Gaibraith, riutilizzo è sinonimo di penuria; un domani, riutilizzo significherà sapienza tecnologica (e, speriamo, etica).
Per questa volta, fermiamoci un poco sul riciclaggio, gettando un rapido sguardo su alcuni esempi emblematici, diversi da quelli più comuni e noti (rifusione del vetro, reimpasto della carta, riciclaggio dell'alluminio, trasformazione delle bottiglie di PET in giubbotti). Si tratta in realtà di un campo di attività che comincia a diventare sterminato, come sterminata è la varietà delle sostanze e dei materiali oggi in circolazione: a conferma che davvero i rifiuti sempre di più vanno mostrando il Il lorovero volto e rivelano di essere l'altra faccia delle merci. Ne è prova il fatto che le filiere dell'economia sempre di più si volgono ad attività di riciclaggio dei rifiuti, degnandoli di attenzione pari a quella di cui circondano le tradizionali materie prime. Ma alcuni esempi saranno più eloquenti di molti discorsi astratti.
Mobilio. Dove mettere i mobili che non servono più? Da noi, degradati bruscamente da prìncipi del salotto o della cucina a "rifiuti ingombranti", terminano ingloriosamente e promiscuamente sepolti nelle patrie discariche. Altrove, i materiali che li compongono rientrano nei cicli produttivi. La ditta del Canton Ticino "Mobili Pfister", per esempio, opera in tutta la Svizzera fornendo un servizio completo che comprende, assieme alla consegna di mobili nuovi, lo smontaggio di quelli vecchi nell'appartamento del cliente, il trasporto, la separazione dei materiali. Al termine del processo, legno, metalli, vetro, gommapiuma, sono stoccati provvisoriamente in attesa di rientrare nei cicli produttivi. Ovviamente, il servizio ha un costo. D'altronde, lasciare i mobili vecchi in discarica procura una multa assai salata, gli inceneritori sono al limite di saturazione, e le cantine di casa sono piccole...
Beni durevoli. Tra i "beni durevoli" un termine dal sapore ironico, considerata la loro rapida obsolescenza i frigoriferi sono del tutto particolari, per la presenza, nei modelli più vecchi, dei gas CFC distruttori della fascia di ozono e attivi nel produrre effetto serra. (Per inciso, il regolamento CEE 3093/94 prevede l'obbligo del recupero delle apparecchiature frigorifere sia domestiche che industriali).
In Italia vengono dismessi circa 110.000 pezzi ogni anno, una vera e propria miniera di materie prime secondarie, considerato che un frigo della capacità nominale di 200 litri incorpora: 24 chili di ferro, 1,6 di alluminio, 1 di rame, 1 di vetro, 5 di plastica, 0,5 di olio, 0,8 di CFC, 4,2 di schiuma poliuretanica e, infine, solo 1,4 di scarti non riciclabili su un totale di circa 40 chili!
A parte i problemi connessi alla raccolta, una tecnica idonea al riciclaggio è stata brevettata in Germania, e realizzata in un impianto per la lavorazione di 200 frigo al giorno, per complessivi 44.000 pezzi all'anno.
Il processo meccanizzato prevede dapprima l'asportazione delle parti mobili (ripiani, cassetti, contenitori, ecc.) deposti in contenitori diversificati. Quindi vengono estratti, separati e recuperati, l'olio e il liquido refrigerante. L'olio viene conferito ai centri del consorzio obbligatorio oli usati, il liquido riciclato, se abbastanza puro. La carcassa viene triturata, recuperando il gas che si libera dalla schiuma di poliuretano. Si separano per via elettromagnetica i metalli ferrosi, con metodo gravimetrico la schiuma poliuretanica, ecc, ecc. Nelle fasi in cui ciò è necessario si provvede sempre ad isolare il gas CFC.
Il tutto regge anche dal punto di vista economico, e rende ragione anche sotto questo profilo alle scelte operate da altri Paesi europei in materia di recupero e riciclaggio di beni durevoli. E, a onor del vero, anche il ministero dell'ambiente italiano da due anni ha avviato un progetto mirato al riciclaggio di questo elettrodomestico.
Rifiuti pericolosi di provenienza domestica. Ne sono un esempio i tubi fluorescenti, dispositivi energeticamente efficienti, ma contenenti mercurio e fosforo, sostanze molto pericolose se rientrano nei cicli degli organismi. Le quantità di mercurio che possono entrare nei nostri corpi attraverso l'ambiente o il cibo di solito non hanno effetto letale, però possono danneggiare i tessuti cerebrali e provocare demenza, mal di testa, problemi di circolazione, nausea e altre malattie. Fin dalla metà degli anni '80 la vicina Austria ha avviato dei progetti di raccolta differenziata e riciclaggio dei tubi al neon, ed oggi è in funzione vicino a Enns, in Austria settentrionale, un impianto in grado di trattare mille tubi all'ora, capace di fare fronte allo scarto dei circa tre milioni di pezzi che ogni anno vengono scartati nella intera Austria.
Autoveicoli. Come premessa, occorre dire che la strada del futuro è costruire auto molto più leggere degli odierni pachidermi motorizzati, senza perdere in resistenza. Già esistono prototipi di "iperauto", come la familiare realizzata dal Rocky Mountain Institute, peso 400 chili, vincitrice nel 1993 del premio Nissan e in grado di consumare solo 0,41,6 litri di benzina per 100 chilometri, a seconda del percorso.
In attesa che questi prodigi diventino comuni, e con un pizzico di sana prudenza verso i "miracoli tecnologici", è bene che siano sviluppati processi di recupero e riciclaggio di quanti più materiali è possibile nei processi di produzione e demolizione dei veicoli. La Fiat già oggi ricicla gran parte dei materiali metallici dei veicoli da demolire e i materiali plastici e metallici derivanti dal processo di produzione. Il problema che più di recente è stato affrontato è quello del riciclaggio dei materiali non metallici delle vetture da demolire (circa 25% del peso totale del veicolo). Le plastiche, in particolare, sono oggi recuperate e utilizzate "a cascata", cioè per usi sempre meno impegnativi; i paraurti, 15.000 tonnellate all'anno di materiale vergine, vengono progressivamente "decidati" e trasformati in parti che necessitano di plastiche meno nobili. Oggi il progetto FARE (Fiat Auto REcycling) è uscito dalla fase sperimentale ed è stato esteso sul territorio creando una rete di demolitori convenzionati. Dai veicoli prodotti 1015 anni or sono vengono estratti i paraurti e altri componenti plastici estremi, gli schiumati dei sedili, i vetri, i CPC, le marmitte catalitiche, e riciclati ciascuno secondo il canale di riciclo appropriato.
Inerti. Le dimensioni del problema inerti (i rifiuti da costruzione e demolizione) sono enormi, e ne sanno qualcosa anche i comuni trentini, di quando in quando alle prese con questa o quella discarica per inerti esaurita: qualcuno calcola che essi siano pari in peso a circa il doppio dei rifiuti solidi urbani (l'altra faccia del problema è la forsennata attività estrattiva, causa di dissesti del territorio e, non di rado, primo passo di quella filiera di attività criminali che passa anche per il mattone illegale e le discariche abusive, come ha dimostrato il recentissimo Rapporto della Lega Ambiente sulle ecomafie in Italia).
Vi è però una crescente sensibilità verso il riciclaggio di tali rifiuti. Vicino a noi, da qualche anno la Provincia di Bolzano ha avviato un sistema integrato di frantumazione e recupero di tali materiali, ma nel complesso l'Italia è ancora arretrata. Di nuovo, un esempio di quanto si dovrebbe fare viene dalla Svizzera, dove gli uffici federali, di concerto con le associazioni di categoria degli ingegneri, degli architetti, degli impresari costruttori, con il sindacato edilizia e industrie, ecc., da anni realizzano un articolato ed efficiente programma di riciclaggio e smaltimento dei rifiuti edili, dal polietilene alle finestre in PVC, dai vetri vecchi agli isolanti in cellulosa, e via dicendo. Così, i cantieri di demolizione divengono ordinate fabbriche che preparano la ricostruzione.
E così, "risanare è meglio che demolire" diventa un principio cardine di una economia che, a sua volta, è sana quando non demolisce il mondo.