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QT n. 1, 10 gennaio 1998 Servizi

Rifiuti: a che punto siamo?

La raccolta differenziata: rimedio universale? Mah... E comunque se ne fa ancora troppo poca: il confronto fra il Trentino e le province vicine...

Dalbosco Marco

Negli ultimi anni, la questione dei rifiuti è uscita dalla marginalità in cui tendenzialmente ciascuno di noi la collocherebbe - quasi che la natura stessa della 'cosa' sporca e residuale, implicasse il rifiuto mentale del rifiuto - e si è imposta brutalmente, con la forza greve della sua materialità di massa, come una delle questioni epocali, agli albori dell'età della globalizzazione. Dopo un primo tempo, negli anni Sessanta e Settanta, quando fu soprattutto la qualità dei rifiuti a destare preoccupazione (il tema emergente era allora quello dell'inquinamento), successivamente sempre di più si è imposta alla riluttante coscienza di cittadini e amministratori la nuda e semplice presenza quantitativa dei rifiuti, di quelli solidi urbani in particolare.

Una presenza semplice solo in apparenza, però, e per questo tanto più irritante, perché in realtà intimamente connessa alle complessive modalità di produzione e consumo delle merci, per cui è giusto riconoscere, come fa Guido Viale nel suo illuminante "Un mondo usa e getta", che "i rifiuti sono l'altra faccia delle merci", e tirarne tutte le conseguenze, impresa che è e sarà tutt'altro che semplice. In effetti, è solo nell'ultima decina di anni che si è iniziato a costruire un insieme di enunciazioni di riferimento e di leggi significative.

Si parte dalla risoluzione 44/228 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove si afferma che "una sana gestione dei rifiuti costituisce uno dei problemi di maggior rilevanza per conservare la qualità dell'ambiente terrestre". Da tale risoluzione, e alla luce del rapporto Brundtland sullo sviluppo sostenibile (1987), prende poi le mosse la "Agenda 21". Si tratta del programma di azione a lungo periodo scaturito dalla Conferenza di Rio de Janeiro del giugno 1992, il quale riconosce che all'origine del problema ci sono modelli di produzione e consumo insostenibili che, se non corretti, porterebbero a moltipllcare per quattro-cinque volte la quantità di rifiuti prodotti entro l'anno 2025. Le raccomandazioni di massima dell'"Agenda 21" si articolano in quattro aree programmatiche, a loro volta declinate in obiettivi; minimizzare i rifiuti, massimizzare il riuso ed il riciclo compatibile, promuovere uno smaltimento ed un trattamento ambientalmente compatibile, sviluppare i servizi di raccolta e smaltimento.

Non si ripeterà mai a sufficienza che la realizzabilità dei quattro capisaldi dell'approccio integrato al problema esposto da "Agenda 21" non solo richiede un coordinamento interno fra le diverse fasi della gestione in senso stretto dei rifiuti ma anche, e soprattutto, esige il coordinamento esterno con l'organizzazione dei processi di produzione e la tollerabilità delle forme di consumo.

In parallelo con tali enunciazioni, e in parte anche in anticipo, si sono sviluppati gli indirizzi generali della Comunità Europea, contenuti in alcune direttive quadro ed in una risoluzione del Consiglio. Si tratta di indirizzi che finalmente, anche se non senza problemi, sono stati recepiti nel nostro ordinamento nazionale, dopo anni di farragine normativa, giusto un anno fa con l'emanazione del decreto Ronchi, il 5 febbraio 1997. Anche le leggi italiane, quindi, riconoscono ormai l'urgenza e la necessità di promuovere la prevenzione, il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti all'interno di una "gestione integrata" degli stessi. In tale quadro complessivo, e certamente non in posizione isolata e a sé stante, trova posto la problematica della raccolta differenziata (RD) dei rifiuti solidi urbani (RSU).

Troppe volte, infatti, la fase più importante della raccolta differenziata viene caricata di aspettative improprie, e non va scordato che essa non è un fine in se stessa, ma ha carattere solo strumentale. Non ha senso, per esempio, organizzare formidabili strumenti di RD se poi, a valle, i materiali-rifiuti raccolti non trovano veramente i luoghi fisici, ma anche il contesto amministrativo, culturale, pubblicitario, che ne permettano il ritorno in circolo. Inoltre, e troppe volte lo si dimentica, le stesse procedure di raccolta differenziata non sono a costo zero, né in termini finanziari, né ambientali, né sociali.

Anche le RD possono risultare diseconomiche rispetto ad altre soluzioni, possono generare effetti psicologici indesiderati (quanto è liberante, si dice, per i tedeschi venire in Italia...), possono avere impatti ambientali elevati. E' poi così conveniente che i cittadini di Augsburg in Baviera eseguano la raccolta differenziata spinta delle plastiche - come ho visto nel corso del sopralluogo con la commissione ambiente del Consiglio provinciale - per poi spedirle, aggravando il traffico transalpino, a seicento chilometri di distanza nell'hinterland milanese per il successivo riciclaggio? Per rispondere, in questo come in tutti gli altri casi simili, si dovrebbe stilare un bilancio complessivo, evitando semplicistiche idealizzazioni, ed individuando per ciascuna tipologia di rifiuti il più piccolo ambito conveniente di trattamento. Senz'altro una delle voci da inserire in tale bilancio è la "mobilità" dei rifiuti, che dovrebbe venire diminuita in modo consapevole e sistematico. Si tratta di un principio orientativo importante, contenuto anche nel decreto Ronchi: i rifiuti devono muoversi il meno possibile.

Detto questo, è evidente che oggi il problema non è l'eccesso di raccolte differenziate, ma ancora la diffusa inerzia degli amministratori, ancora la pigrizia dei cittadini, e la sottostante povertà culturale, che ostacolano e rallentano l'avvio di programmi di raccolta ben progettati, preparati, coordinati, e quindi efficaci ed economici. Il decreto Ronchi fissa gli obiettivi di RD al 15%, 25%, 35% sul totale dei RSU rispettivamente per la primavera del 1999 (fra un anno!), del 2001 e del 2003.

Ma nella provincia di Trento arranchiamo attorno al 7%, e non solo siamo partiti in ritardo e in modo frammentario, ma tuttora scontiamo la debolezza della regia provinciale. Questa dovrebbe programmare la politica dei rifiuti .con concretezza, muoversi con tempestività; promuovere e coordinare con convinzione l'azione degli enti locali, comunicare gli obiettivi con chiarezza e, non ultimo, trasmettere passione.

E così succede che persino nel comune di Trento, dove pure la nuova amministrazione si sta attivando con iniziative significative, nei primi otto mesi del '97 la raccolta differenziata è passata, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, da 1.816 tonnellate di RSU a 2.510: ma è sterile vanagloria sostenere che ciò ha significato un aumento relativo del 38%, mentre è sano realismo dire che il dato assoluto è cresciuto di poco più del 2%, passando dal 5.38% ad un 7.54% ancora ben lontano dagli obiettivi di legge.

Ben diverso è lo scenario che ci circonda. Fanno meglio di noi tanto la provincia di Bolzano, quanto le confinanti regione ordinarie del Veneto e della Lombardia; meglio di noi fanno realtà metropolitane come Milano (attivatasi dopo lo choc da immondizia seguito alla chiusura della discarica di Cerro, ed oggi capofila in Lombardia con percentuali di RD superiori al 25%), ambiti alpini come il Burgraviato e molti altri dell'Alto Adige, cittadini come Mestre, padano-rurali come i comuni tra Padova e Treviso, ove la RD raggiunge percentuali stratosferiche.

Certo, occorre esaminare anche la qualità della raccolta. Ma ciò non sposta i termini della situazione attuale: il Trentino, i nella politica dei rifiuti, è attorniato da realtà più scattanti e più capaci di buona amministrazione; e se l'autonomia non serve alla buona amministrazione, a cos'altro dovrebbe servire?

Vi sono però anche in Trentino segnali molto promettenti. Primo fra tutti ad attrezzarsi veramente in maniera "integrata" è il comprensorio della Val di Sole. In particolare, in tema di RD, va segnalato come un vero e proprio modello il comune di Ossana, dove lo scorso giugno, è stato aperto il primo centro di raccolta zonale (CRZ) trentino che, a sua volta, trasferisce da noi il modello del "recyclinghof ' che così bene funziona in Sud Tirolo.

Si tratta di strutture molto leggere, tipicamente al servizio di un migliaio o di poche migliaia di abitanti, consistenti in aree recintate, pavimentate, possibilmente dotate di tettoia, custodite ad orari fissati, ove vengono collocati un certo numero di container scarrabili, ognuno destinato a ricevere un singolo tipo di materiale, in vista del suo riciclaggio.

L'accesso ad un CRZ di questo tipo è mirato non solo alle attività produttive del comune, ma principalmente agli stessi cittadini, che rapidamente si abituano a conferire presso il "loro" centro gran parte dei materiali (non dei "rifiuti") secchi, opportunamente puliti, passati per le loro mani. I centri di raccolta così pensati sono molto efficienti, in grado di raccogliere "in economia" praticamente tutta la frazione secca dei RSU prodotti da una comunità, oltre ai pericolosi e agli ingombranti (dovrebbe far pensare, per contrasto, la relativamente scarsa efficienza della raccolta attuata con le varie campane e cassonetti per il vetro la carta, ecc.). I centri di raccolta materiali si collocano bene nell'ambiente circostante, non sono discariche né vengono percepiti come tali dalla popolazione. Anzi, capita che un comune diventi così fiero del suo centro da considerarlo come un fiore all'occhiello.

Un ultimo aspetto vorrei sottolineare. Se comune a tutti è l'obiettivo della riduzione, raccolta, riutilizzo e recupero dei rifiuti, ogni realtà deve trovare la sua specifica strada, in funzione delle sue specificità. Ora, non è forse vero che la popolazione del Trentino per due terzi vive in piccoli e sparsi comuni, da Concei a Spera, da Vallarsa a Bocenago? Quasi 300.000 trentini vivono in insediamenti dove la raccolta porta a porta avrebbe costi elevati e dove lo stesso sistema dei cassonetti per RD è relativamente costoso e poco efficente.

Ecco, allora, che sul modello di Ossana dovrebbero riflettere attentamente le tante piccole realtà territoriali di cui la nostra provincia è così ricca: i centri di raccolta materiali sembrano fatti apposta per valorizzarne le potenzialità, anche per il senso della comunità che vi persiste, proprio grazie alla loro configurazione. Veramente, se c'è un caso in cui il vecchio detto ambientalista "piccolo è bello" appare valido, è questo.

La realizzazione dei centri di raccolta, dunque, passa sì alla Provincia (che con i proventi della ecotassa sulle discariche approvata lo scorso aprile già mette a disposizione cinque miliardi all'anno), ma in special modo ai sindaci e alle amministrazioni comunali, dalla cui sensibilità, volontà e tenacia dipende in buona parte il futuro della raccolta differenziata in Trentino.