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QT n. 7, luglio 2024 L’editoriale

Le Pen? Non è il problema

C’è in Francia la corsa ad arginare la “marea nera” mentre stiamo scrivendo: accordi, desistenze, ecc, i vari arnesi della tecnica partitica al servizio del tentativo di bloccare la destra sovranista, xenofoba, anti-ambientalista e quant’altro.

Siamo d’accordo. Ma assolutamente non basta. Anzi, cominciano ad essere un po’ grottesche queste ricorrenti corse a bloccare i Salvini, i Trump, le Le Pen e le Brexit.

Come mai non ci si chiede invece da cosa nascono? Perché non si risale alla fonte, invece di costruire sempre più malfermi argini a valle?

Fuor di metafora: forse il problema è che il 54% di coloro che si definiscono svantaggiati, hanno votato Le Pen, e così il 38% dei lavoratori (dati Ipsos). E da noi, i sindacati continuano a dirci che i metalmeccanici non votano a sinistra, ma Lega prima e Fratelli d’Italia ora.

Non vediamo molte riflessioni su questo, i politologi sono impegnati ad analizzare le sottigliezze delle “triangolazioni”, oppure gli svarioni di Macron, il declino neurologico di Biden, le impuntature di Conte. Fa eccezione Federico Rampini, che però attribuisce il disincanto operaio non all’inflazione che taglia le paghe e alla politica che taglia il welfare, bensì al buonismo delle sinistre verso gli immigrati.

Insomma, si parla d’altro, il toro non lo si prende per le corna. Perché il tema sono le disuguaglianze, crescenti. E le paure: non dello spacciatore sotto casa, ma della pensione che, per te quarantenne, non ci sarà mai, come pure l’assistenza sanitaria. Mentre tuo padre la pensione la ha, ed ha potuto vivere garantito da una sanità, gratuita, che funzionava. E allora ci si chiede perché. Come mai a me no? Perché alla mia generazione, non arriva niente di tutto questo, bensì un presente magro e un futuro fosco?

E allora nasce la rabbia. Che è una cattiva consigliera. Perché, se finora il ragionamento è assolutamente lucido, avvalorato da dati statistici e di fatto, la ricerca di soluzioni – obiettivamente ardua, e ancor più se rabbiosa – può deragliare. Ci si può affidare al pifferaio di turno, che la rabbia la sollecita, e la scarica su obiettivi di comodo: lo straniero (è un classico), l’Europa (che ha responsabilità, ma può essere parte della soluzione), in Trentino l’orso (e qui viene da ridere).

Il pifferaio è l’ultima soluzione perché finora il gioco democratico non ha funzionato. Con la destra, con la sinistra, con la Dc, Berlusconi, il Pd al comando, la nave è andata sempre nella stessa direzione. In Italia, ma più in generale in Europa e in tutto l’Occidente si sono contratti i salari, ridimensionato il welfare, crollate le pensioni. Insomma, l’alternanza a nulla è servita, la democrazia appare un orpello, o meglio, un sistema che ti difende dalla possibile oppressione di un dittatore, ma certo non serve a renderti decente la vita. Ed ecco quindi che anche gli strappi alle regole democratiche risultano sdoganati: si può votare Trump, o chi si richiama al Duce.

La corsa al peggio è avviata.

Mentre scriviamo non sappiamo l’esito della corsa per arginare Le Pen. Ma non sarà un esito decisivo.

Il punto è che occorre rifondare la politica economica dei nostri paesi. Non occorre andare sulla luna, né immaginare rivoluzioni bolsceviche. Basterebbe tornare alle politiche fiscali adottate nel dopoguerra, dal 1945 al 1975 dicono gli storici: anni in cui le tasse sulla ricchezza erano una cosa seria in tutto l’Occidente, ed arrivavano, per i contribuenti più facoltosi, anche a oltre il 90%. Furono gli anni più prosperi nella storia dell’umanità.

Quella strada è stata poi abbandonata. Con le nuove tecnologie si produce sempre più ricchezza, molta di più, ma non viene redistribuita, bensì regolarmente accaparrata dai più abbienti. Non c’è stato alcun golpe, ma una strisciante battaglia culturale che ha gradatamente creato un nuovo senso comune per cui le tasse sono il male.

E’ stata una vittoria totale, cui la sinistra, ansiosa di essere cooptata tra quelli che contano, si è sottomessa. Oggi il segretario del maggiore (e più combattivo?) sindacato italiano, proclama come auspicabile obiettivo di governo l’abbassamento – ulteriore - delle tasse.

Elly Schlein è diventata, contro gli auspici del suo stesso partito, segretaria del Pd, ponendo al primo punto dell’ordine del giorno la riduzione delle disuguaglianze. Ma non ha avuto il coraggio, o forse l’incoscienza, di affrontare il tema fiscale, senza il quale nulla di sostanziale si combina. Eppure è stata attaccata dal 95% della stampa, e mal sopportata dai dirigenti del suo partito, almeno finché non ha vinto le elezioni.

Questo è il tornante. Una lotta contro le disuguaglianze, e quindi per un fisco più severo con i ricchi (altre strade non ce ne sono), è oggi un’impresa molto difficile. Va oltre Elly Schlein, oltre il Pd, oltre l’Italia.

Ma non pensiamo che, nel medio-lungo periodo, sia impossibile. Ed è l’unica strada che può ridare speranza alla popolazione, senso all’Occidente e, come effetto collaterale, trasformare l’attuale china antidemocratica in un lontano, fastidioso ricordo.

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