Frutto avvelenato?
Sempre più residenti in Val di Non manifestano il loro disagio: “I fitofarmaci usati per le mele ci tolgono la libertà di vivere”. Di fronte a documenti che provano le irregolarità e gli eccessi nell’uso delle sostanze chimiche, gli amministratori rispondono timidamente. E i produttori fanno spallucce.
Le origini del loro legame si perdono indietro nei secoli. Fatte l’una per l’altra. La mela e la Val di Non. Un territorio che, grazie a una ideale combinazione di caratteristiche fisico-chimiche e climatiche, offre ai suoi abitanti la possibilità di produrre mele di gran pregio. E loro, gli abitanti, questa possibilità non se la sono lasciata sfuggire. Tutt’altro.
Oggi in Val di Non, su poco meno di 40 mila residenti (l’8% della popolazione trentina), oltre 2700 sono i coltivatori iscritti all’albo provinciale delle imprese agricole (il 31% degli iscritti trentini). Uno ogni 14 abitanti. Un dato senza paragoni rispetto al resto del Trentino, dove la media è di uno ogni 58. E di quei 2700, il 90% coltiva mele.
Il binomio tra mela e valle è forte, fortissimo, pressoché indissolubile all’apparenza.
All’apparenza. Già, perché da un certo momento di questa storia, diciamo all’incirca dagli anni Settanta, qualcosa si è rotto, nell’idillio tra le mele e gli abitanti della valle. O almeno alcuni di loro.
Proprio quando la coltivazione della mela iniziava a soppiantare progressivamente tutte le altre, un problema cominciava a causare disagio. Un disagio che a tratti si acutizzava, per poi tornare a covare sotto la cenere. Un disagio che proprio oggi è tornato a farsi più forte che mai. Perché, da quando si è presentato, il problema che lo causa non è mai stato risolto.
Quel problema si chiama fitofarmaci.
Prigionieri in casa
"Faccio credere ai miei figli che sia un gioco: quando passeggio con loro e ci imbattiamo in un agricoltore che irrora, dico ai bambini di chiudere la bocca e di correr via da lì". Francesca è insegnante e vive a Tuenno, in una delle tante abitazioni del paese a stretto contatto coi campi di mele. Avverte il problema soprattutto da quando è diventata mamma. "Prima il disagio era minore. Ma ora, con due bambini, è dura accettare di dover starsene chiusi in casa. A volte mi sento prigioniera. Ho timore persino di stendere i panni sul poggiolo".
"Spesso, d’estate, mentre mangiamo fuori in veranda, ci tocca tornarcene dentro di corsa, col piatto in mano, perché arriva il coltivatore di turno a spargere veleni con l’atomizzatore. In primavera arrivo ad averne attorno a casa anche otto contemporaneamente…". Raffaella non ha figli, ma il disagio lo avverte lo stesso. "Ci stanno togliendo la libertà in casa nostra. Viviamo con l’incubo che arrivi la primavera. È assurdo".
Campi. Mele. Veleni. Disagio. Una sequenza da incubo che negli ultimi tempi ha cominciato a interessare un numero sempre maggiore di abitanti della bassa Val di Non. Come spesso capita in certe situazioni, è bastato un passo affondato con più decisione degli altri a provocare la valanga.
"Per molto tempo - confida Raffaella - io e mio marito abbiamo avuto la sensazione di essere gli unici a provare disagio. Ci chiedevamo come mai nessuno parlasse, nessuno facesse niente. Poi ho visto quella lettera, e ho tirato un sospiro di sollievo".
"La lettera al Sindaco ho deciso di scriverla dopo l’ennesimo caso in cui, denunciata l’infrazione al Comune, la denuncia non aveva il seguito che doveva". L’autrice della lettera è Francesca, il Comune quello di Tuenno. "Ho subito trovato una, due, tre, fino a 30 persone disposte a firmarla".
È l’aprile 2007. Nella lettera i firmatari chiedono al Sindaco di far rispettare l’ordinanza comunale che regola l’uso dei fitofarmaci, soprattutto riguardo al divieto di usare gli atomizzatori a meno di 50 metri da case, orti, giardini.
Nel giro di pochi mesi, quelle 30 persone diventano 700. E firmano una nuova lettera, in cui questa volta manifestano preoccupazioni e rimostranze direttamente al Presidente della Provincia e agli Assessori provinciali competenti.
E’ il settembre 2007: nasce così il Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non. Per battersi contro l’uso irregolare ed eccessivo dei fitofarmaci, visti come una fonte di rischio per la salute, da limitare o eliminare in nome del "principio di precauzione" (v. box nella pagina seguente).
Il Comitato non si limita a inviare lettere, ma inizia anche a produrre documentazione. Viene avviata dagli aderenti un’estesa azione di monitoraggio sull’uso dei fitofarmaci da parte degli agricoltori nonesi. In pochi giorni vengono fotografate centinaia di infrazioni alle varie ordinanze comunali (ne pubblichiamo alcune in queste pagine). Al tempo stesso si rileva, in apposito dossier prodotto nell’ottobre 2007, l’inefficacia dei controlli spettanti ai Comuni.
L’infrazione che più preoccupa - chiaramente documentata dalle fotografie - è il mancato rispetto della distanza minima dalle abitazioni a cui irrorare con l’atomizzatore. La paura è che, a causa del cosiddetto "effetto-deriva", le varie sostanze chimiche usate dagli agricoltori finiscano negli orti, nei giardini, sui poggioli. Forse anche dentro le case.
Per levarsi ogni dubbio in proposito, il Comitato commissiona analisi chimiche a laboratori accreditati. Le indagini più significative sono due. Una viene condotta su una abitazione di Tres nell’arco di un anno, da settembre 2007 a settembre 2008. L’altra viene condotta in più comuni della valle nell’arco di un solo giorno, il 24 giugno 2008.
Nell’abitazione di Tres vengono riscontrati residui di prodotti fitosanitari prelevati fino anche a 70 metri di distanza dai campi: nell’erba del giardino, sulla verdura dell’orto, nella polvere dei poggioli. Persino in sala da pranzo. Per chi abita in quella casa, non c’è libertà di vivere senza venire a contatto con le sostanze chimiche usate dagli agricoltori.
Ancor più rilevanti sono i risultati della seconda indagine. La giornata del 24 giugno 2008 arriva dopo giorni di pioggia prolungata, che ha dilavato suolo e vegetali e ha impedito l’effettuazione dei trattamenti fitosanitari: gli ultimi sono avvenuti una ventina di giorni prima. Qualcuno del Comitato propone di rinviare i prelievi, ma alla fine si decide di rischiare. Spormaggiore, Flavon, Tuenno, Tassullo, Cles, Tres e Sfruz. Giardini, finestre, davanzali, poggioli, orti. Non solo abitazioni private: si fanno prelievi anche dalla siepe del parco di una scuola materna a Tassullo e dall’erba di un parco confinante con un asilo nido a Cles. Il risultato lascia increduli i committenti delle analisi: dei 12 campioni analizzati, sono ben 10 quelli che risultano contaminati dai principi attivi dei fitofarmaci.
Richieste precise, risposte timide
Ciò che segue è storia recente. Sulla scorta di quanto documentato, il Comitato ha chiesto a voce ancor più alta che al problema si trovi finalmente un rimedio. Gli amministratori a vario titolo coinvolti non hanno più potuto ignorare la questione.
Promosso dal Distretto Sanitario Val di Non, è stato costituito nel 2008 un gruppo di lavoro interistituzionale incaricato di affrontare il problema tenendo conto del punto di vista di tutti i soggetti coinvolti. L’obiettivo principale è quello di arrivare alla definizione di un regolamento comprensoriale sull’uso dei fitofarmaci che sappia uniformare le regole, ora sparpagliate nelle numerose ordinanze dei singoli Comuni (una ventina), spesso anche molto diverse tra loro nei contenuti.
Le richieste del Comitato sono precise. La più incisiva prevede di vietare l’uso dell’atomizzatore a meno di 100 metri da abitazioni e campi adibiti a biologico. Sul lato dei controlli, il Comitato propone di renderli più sistematici e severi, e chiede che ne vengano svolti a campione almeno 10 per ogni trattamento. Si richiede inoltre di inasprire le sanzioni ai trasgressori, rilevando come il coltivatore rischi 3.000 € di multa se non usa i fitofarmaci quando vengono prescritti dal quaderno di campagna, e solo 500 €, nel peggiore dei casi, se li usa contravvenendo alle ordinanze comunali. In Val di Non, osserva il Comitato, un melo vale oggi più di una persona.
Queste richieste verranno accolte? Abbiamo interpellato in proposito alcuni degli amministratori coinvolti: i Sindaci di Tuenno e Nanno, l’Assessore all’ambiente di Cles e il Presidente del Comprensorio. Nessuno di loro ha potuto negare che vengano commesse infrazioni alle ordinanze, ma tutti le imputano a una esigua minoranza di coltivatori. Ci è sembrato che per gli amministratori siano già sufficienti le regole contenute oggi nelle varie ordinanze, e che non sia necessario renderle tanto più stringenti: i 100 metri di distanza chiesti dal Comitato sono considerati eccessivi. E in ogni caso, ci è stato detto, non si può ridurre tutto a una questione di metri. Piuttosto, si deve puntare a rafforzare i controlli. Ma nemmeno in tal caso si concorda con le indicazioni del Comitato: chi, tra gli interpellati, si è sbilanciato ci ha detto di puntare a un controllo al mese. Segno che oggi non si arriva nemmeno a quello. E le sanzioni? Sono considerate l’extrema ratio: "Meglio puntare sull’educazione e la sensibilizzazione degli agricoltori". Che però, evidentemente, fino ad ora non sono bastate.
Il Comitato, poi, non si limita alle richieste di interventi immediati alle amministrazioni locali. Si rivolge anche alla Provincia, per interventi di medio periodo. La petizione inviata a Dellai nel settembre 2007 - nel frattempo re-inviatagli sottoscritta da altre 300 persone - chiede uno studio aggiornato sullo stato dell’ambiente in Val di Non, con riferimento agli impatti dei fitofarmaci; uno studio aggiornato sullo stato di salute della popolazione nonesa esposta, con riferimento alle patologie legate all’uso dei fitofarmaci, soprattutto quelle che colpiscono i bambini; una distribuzione dei finanziamenti che premi ben più di quanto accada oggi le aziende agricole che non impiegano sostanze chimiche.
La Provincia ha parzialmente risposto alle richieste di monitoraggio ambientale e sanitario con la Delibera di Giunta 1154 del 2008, che ha definito un piano di controllo pubblico sugli usi e gli impatti dei fitofarmaci nelle zone di maggior uso. E’ stato poi affidato di recente all’Azienda Sanitaria uno studio sanitario specifico per la Val di Non, del quale però il Comitato ha già messo in discussione l’impostazione (v. box in questa pagina). Di maggiori incentivi all’agricoltura biologica, invece, per ora non se ne parla.
"I residui nelle case? Accettabili…"
Sembra in ogni caso evidente che l’azione amministrativa, da sola, non possa bastare a risolvere il problema. Servirebbe la collaborazione da parte degli agricoltori. E agricoltori, in Val di Non, significa Melinda.
Costituito nel 1989, il consorzio Melinda associa 16 cooperative, per un totale di 5200 soci coltivatori. La produzione annua è pari a circa 300.000 tonnellate di mele: il 60% della produzione trentina, il 10% di quella nazionale e il 5% di quella europea. Con un fatturato 2007 di oltre 187 milioni di € (ossia 73 centesimi per ogni kg prodotto), Melinda conferma di essere una potenza del settore. Per la quale ora un piccolo Comitato di cittadini rischia di diventare un problema serio, come nella storia di Davide contro Golia.
Abbiamo provato a interpellare il direttore generale di Melinda, Luca Granata, che però ha declinato l’intervista "girandoci" al direttore di APOT - l’associazione dei produttori ortofrutticoli trentini della quale Melinda fa parte - "persona ben più qualificata di me a rilasciare interviste su un tema di così elevata specificità tecnica". Granata ha voluto comunque puntualizzare: "Il regolamento del nostro consorzio prevede sanzioni anche molto pesanti in caso di mancato rispetto del protocollo disciplinare per la produzione integrata".
Come si legge sul sito web di Melinda, "le tecniche di produzione integrata sono finalizzate alla drastica riduzione dei trattamenti chimici e alla sostituzione di questi con ritmi biologici naturali". Peccato che anche riguardo al protocollo per la lotta integrata il Comitato non abbia mancato di rilevare e documentare, come per le ordinanze comunali, numerose infrazioni: scarsa salvaguardia di muri a secco, arbusti e cespugli; raro impiego di varietà resistenti alla ticchiolatura (una delle più gravi malattie del melo) e del metodo della confusione sessuale (tecnica naturale di difesa dagli insetti); uso non conforme degli erbicidi.
Abbiamo seguito il suggerimento di Granata, interpellando in proposito il direttore di APOT, Alessandro Dalpiaz. Il quale rispedisce al mittente le accuse che riguardano il mancato rispetto del disciplinare per la lotta integrata, sostenendo che le regole previste dal disciplinare sono osservate dalla stragrande maggioranza degli agricoltori.
Nonostante la lotta integrata, però, i residui dei principi attivi arrivano fin dentro le case, come rilevato dalle analisi commissionate dal Comitato.
"La deriva è un fenomeno gestibile ma ineliminabile. Prove condotte scientificamente da istituzioni specializzate dimostrano che i trattamenti eseguiti correttamente in condizioni normali consentono di ridurre di un 80% la deriva anche a soli 20 metri".
Sì, ma i residui trovati dalle analisi del Comitato non sono un’invenzione...
"Il residuo eventualmente rilevato, quando entro i limiti di legge, è da ritenere più che accettabile per la popolazione. Il residuo massimo ammesso è infatti un limite legale che, anche se superato, non determina rischi particolari per la salute".
Su questo la comunità scientifica non è affatto concorde: ci sono medici che, in nome del principio di precauzione, chiedono di non usare affatto sostanze che contengono determinati principi attivi, tra cui alcuni di quelli trovati nelle analisi del Comitato.
"Le sostanze attive impiegate dagli agricoltori in Val di Non sono quelle autorizzate dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, dalla Direzione Generale del Consumatore della Commissione Europea e dal Ministero per la Salute italiano. APOT non può che ritenere corrette le valutazioni fatte dalle istituzioni preposte".
Le posizioni delle parti in campo, come si vede, sono parecchio distanti. Come ci ha detto il dottor Livio Dolzani, medico di base in Val di Non e membro del Comitato per il Diritto alla Salute, "da parte non solo degli agricoltori ma addirittura delle istituzioni sanitarie il problema legato all’impatto dei fitofarmaci sui residenti è tuttora negato. Fino a che ci sarà questo atteggiamento, sarà difficile uscire dall’impasse".
E fino a che non si uscirà dall’impasse, Francesca, Raffaella e centinaia di altre persone come loro continueranno a scegliere di restare chiuse in casa, a convivere col loro disagio. E questo, al di là di ogni altra considerazione, non è certo un gran risultato. Per nessuno.
Fitofarmaci in Trentino
In Trentino, nel 2006, sono stati venduti 54,96 kg di sostanze attive contenute nei fitofarmaci (+6,79% sul 2005), gran parte delle quali di sintesi chimica. Il dato è inferiore solo a quello del Sudtirolo (58,81). La terza regione, la Liguria, segue con ampio distacco (20,87). La media nazionale è di 9,14 kg.
Sempre nel 2006, l’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente ha cercato sostanze attive su 77 campioni di frutta e verdura (41 di origine trentina). Solo 29 sono stati trovati privi di residui. Tra i campioni trentini, solo 13 su 41. Per un solo campione, tuttavia, il residuo superava il limite di legge. Dei 24 campioni di mele analizzati (tutti di origine trentina), solo 5 sono risultati privi di residui. Anche se in nessun caso sopra i limiti di legge, in 4 campioni sono state rilevate 3 sostanze, in 6 2, negli altri 9 una.
Situazione migliore per quanto riguarda le analisi delle acque: su 259 campioni trentini analizzati nel 2006, solo 9 recavano tracce di residui, il 3,5% (contro una media nazionale del 20,4%).
Precauzione, principio calpestato
"Se è ancora valido il principio di precauzione certi fitofarmaci andrebbero banditi senza perdere altro tempo". Lo sostiene Livio Dolzani, medico di base noneso e membro del Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non.
Il principio di precauzione, adottato dall’Unione Europea, prevede l’eliminazione della fonte del rischio nei casi in cui si evidenzino effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, ma i dati disponibili non consentano una valutazione completa del rischio stesso. Il rischio legato all’esposizione ad alcuni principi attivi contenuti nei fitofarmaci di sintesi rientra in questa tipologia di situazione. Per fare solo l’esempio più eclatante, il clorpirifos, principio attivo trovato in 3 dei 12 campioni fatti analizzare dal Comitato con l’indagine del 24 giugno 2008, è messo da alcuni studi in correlazione con casi di microcefalia o di malformazioni dell’apparato genitale, soprattutto nei bambini.
"Per determinati principi attivi come il clorpirifos - aggiunge Roberto Cappelletti dell’Associazione Medici per l’Ambiente - ci sono già tutti i presupposti di applicabilità del principio di precauzione. La posizione di APOT in proposito è quella degli struzzi".
L’Azienda Sanitaria ha avviato da poco uno studio sull’esposizione dei residenti nonesi proprio al clorpirifos. Verranno effettuate analisi su campioni prelevati all’interno delle abitazioni e sui campioni d’urina di 25 persone tra i 20 e i 60 anni residenti nei comuni di Cles, Tuenno, Nanno e Tassullo. I risultati si conosceranno a giugno. "Uno studio epidemiologico già effettuato su scala provinciale lo scroso anno dall’Azienda Sanitaria - ci dice l’Assessore Provinciale alla Salute Ugo Rossi - non ha evidenziato particolari problemi di salute connessi con il vivere in aree agricole, Val di Non inclusa. Ciononostante, con questo nuovo studio specifico, vogliamo dare un segnale di attenzione alle richieste espresse dal Comitato".
Che però ha già provveduto a criticare l’impostazione dello studio: "Ci si concentra - osserva Dolzani - su una sola sostanza, senza tener conto che è il multiresiduo ad essere indiziato come causa dei danni maggiori. E soprattutto non si includono i bambini, ovvero la fascia potenzialmente più esposta. Non mi stupirei se alla fine l’esito portasse a concludere che non c’è nulla di cui preoccuparsi".
La chimica in agricoltura? "Una follia termodinamica"
"Una follia termodinamica". Lo dice a proposito della chimica in agricoltura Enzo Tiezzi, professore ordinario di Chimica fisica all’Università di Siena, autore di una ventina di libri tradotti in numerose lingue (l’ultimo e più importante è "La soglia della sostenibilità", Donzelli 2007). "I fitofarmaci sono come la droga: più ne uso, più me ne servono. E il terreno coltivato in maniera intensiva si impoverisce sempre di più".
Con la sua équipe, il professore ha di recente calcolato, con uno studio all’avanguardia, quanti ettari di terreno servono per produrre una bottiglia di vino tradizionale e quanti per una di vino biologico: 14 nel primo caso, metà nel secondo. Quegli ettari si chiamano "impronta ecologica". "Possiamo calcolarla anche per le mele - spiega il professore - e se qualcuno, magari la Provincia di Trento, mettesse a disposizione i fondi, lo faremmo ben volentieri. Il risultato non sarebbe tanto diverso da quanto rilevato per il vino. Questo perché l’agricoltura biologica, al contrario di quello che si pensa, dà prodotti meno costosi, perché nel complesso utilizza meno risorse. Solo che la mentalità industrialista affermatasi in agricoltura e la scarsa cultura del consumatore medio fanno sì che i prezzi dei prodotti sullo scaffale non riflettano affatto questa situazione, ma anzi la ribaltino".
Sul punto la posizione di APOT è chiara, e molto diversa: "APOT - c’informa il suo direttore - non condivide le iniziative tendenti ad incoraggiare il passaggio al biologico come tecnica risolutiva dei problemi ambientali e di salubrità del prodotto".
I produttori di mele bio, in Trentino e in particolare in Val di Non, restano così una esigua minoranza. Ma poco più a nord, in Sudtirolo, i "grandi" della produzione di mele si comportano in tutt’altro modo: Bio Südtirol produce ogni anno 20mila tonnellate di mele, e anche Bio Val Venosta nel 2008 è arrivata alla stessa quota (+21% sul 2007). A quando il salto anche per Melinda?