Acqua, ultima spiaggia
È sempre più concreto il rischio di dover mettere sul mercato le nostre centrali idroelettriche. Grazie a cinque anni di pasticci di Fugatti & Co.
Tra fine ottobre e i primi di dicembre scorsi, mentre il centrodestra si trastullava per settimane su Gerosa vicepresidente sì, Gerosa vicepresidente no, sotto i ponti è passata un’acqua scura e nefasta.
Occupati con la telenovela della giunta da incastrare come un cubo di Rubik, in piazza Dante nessuno si è ricordato che stiamo arrivando ad un redde rationem esiziale per quanto riguarda le nostre grandi centrali idroelettriche.
Lo stato dell’arte, al momento, è che, a meno di un miracolo, 17 nostre grandi centrali idroelettriche nel giro di pochi mesi andranno a gara per assegnare le nuove concessioni che passeranno di mano al 31 dicembre prossimo. Si tratta dell’80 per cento della produzione idroelettrica trentina. E di svariate decine di milioni all’anno che rischiamo di perdere, per non parlare del controllo delle acque.
Dovremo metterle sul mercato, perché tutti i tentativi pasticciati degli ultimi cinque anni per mantenere in modo surrettizio il controllo del settore nelle mani degli attuali gestori parapubblici (Dolomiti in primis) hanno portato ad un nulla di fatto e quindi, al momento, siamo obbligati a seguire pedissequamente le regole della concorrenza dettate da Bruxelles.
Sulla questione sono state fatte e dette le peggio cose dalla precedente (e purtroppo anche attuale) giunta Fugatti. Per non tediarvi con i dettagli riassumiamo la linea politica che Fugatti e Tonina (assessore competente nella scorsa legislatura) avevano adottato: cianciare di centrali in mano ai trentini e fare il contrario, emanando norme timide e servili alla regola della concorrenza con qualche trucchetto che, secondo lorsignori, poteva favorire Dolomiti Energia. Norme che poi sono state comunque regolarmente impugnate da qualunque governo fosse in carica.
L’ultima che ci hanno rispedito al mittente è la genialata dell’ultimo minuto. Una legge provinciale che, visti i tempi ormai agli sgoccioli, prorogava la data di scadenza delle concessioni attuali dal 2024 al 2029.
Quella legge - illegittima perché non sta nelle nostre competenze statutarie - avrebbe concesso semplicemente del tempo. Tempo per prendere le decisioni che non erano state prese nei cinque anni precedenti, tempo per trovare il modo di non farsi scippare con una gara internazionale uno dei capitali più preziosi che abbiamo: l’acqua, il suo controllo a tutto campo e l’energia idroelettrica che ce ne viene.
La favola che a fine 2022 ci avevano raccontato Fugatti e Tonina era che “adesso c’è un governo amico” e figurarsi se ci avrebbero negato questo piccolo regalo. Detto fatto, la legge viene rispedita al mittente perché cozza, come tutte le precedenti anche se in modi diversi, contro le regole della concorrenza dettate da Bruxelles. E non si tratta solo di questioni formali: c’è la regola molto concreta per la quale i soldi del PNRR sono vincolati proprio all’obbligo di mettere sul mercato una serie di attività economiche, e la produzione idroelettrica è tra le più importanti. Il governo amico avrebbe dovuto spendersi molto per darci questa proroga.
A fine novembre scorso la nostra proroga avrebbe dovuto essere inserita in un decreto del governo. Ma, guarda te, Roma ne ha parlato in via preventiva con Bruxelles che ha detto l’ennesimo no. Quindi niente decreto del governo a salvarci e ritorno alla dura realtà.
Del resto noi siamo in controtendenza. Le nostre centrali sono formalmente in mano a soggetti di diritto privato - Dolomiti Energia e Dolomiti Edison - ma di fatto ricadono sotto il controllo del pubblico, perché il capitale azionario delle due società è al 70 per cento di Provincia e Comuni di Trento e Rovereto, più qualche altro piccolo azionista come Acsm Primiero.
Ma il resto del Nord Italia (Bolzano esclusa) vede ancora tutta la sua produzione idroelettrica controllata prevalentemente da Enel e pochi altri grandi concessionari. Ed è a questo grossissimo boccone che Salvini e la Lega puntano da anni.
I governatori del Nord vogliono fortissimamente evitare la proroga delle loro concessioni (che comunque scadono prevalentemente nel 2029) per fare cassa, stabilendo nuovi e molto più grassi canoni. Dare la proroga solo a noi era impensabile: si apriva la strada ad un caos giudiziario di ricorsi da parte di Enel e di chi altro attualmente controlla le concessioni delle regioni del Nord (parliamo solo di Nord Italia perché qui sta la parte preponderante della produzione idroelettrica nazionale).
Quindi difendere fino alla morte la nostra proroga non era nelle priorità del governo “amico”.
Adesso non abbiamo più tempo. Avremmo dovuto scegliere fin dall’inizio la via maestra: un progetto serio e strutturato per portare tutto il settore in mano pubblica. Progetto che certo avrebbe comportato un investimento economico importante (ma non impossibile), ma ci avrebbe dato il controllo sicuro di una delle risorse più importanti del Trentino, uno dei veri pilastri della nostra autonomia.
Adesso - repetita juvant - non abbiamo più tempo. E forse il problema principale è che non abbiamo nemmeno dei decisori politici che sappiano veramente cosa fare.
L’ultimo escamotage
Al momento la carta migliore che Fugatti si sta giocando è ancora e sempre quella della proroga. Non più in base ad una legge provinciale “impossibile” come quella della fine 2022, ma sempre per via “amicale”. Ci dice l’Aprie, Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia, a cui abbiamo chiesto lumi, che al momento “è in corso un confronto con lo Stato circa l'assimilabilità delle nostre concessioni a quelle di ENEL per le quali la scadenza è fissata al 1 aprile 2029”. Ci stiamo arrampicando sugli specchi e sembra che in piazza Dante siano convinti che a Bruxelles abbiano l’anello al naso. Dopo averci detto di no in tutte le salse, in Europa dovrebbero far passare questa furbata?
Nel frattempo la macchina amministrativa della Provincia si porta avanti e Aprie, ci dicono fonti non ufficiali, sta preparando i bandi di gara. Che non sono banali regolamenti: sono la vera cornice con la quale si stabiliscono condizioni, limiti e prezzi delle concessioni.
Se proprio dovremo andare a gara, sarebbe meglio che questa parte fosse preparata con la massima cura e attenzione. Quello che non sappiamo è se questa importantissima fase sia realmente seguita da Fugatti, che si è tenuto la competenza sulle grandi concessioni idroelettriche, o sia lasciata al buon senso e alle capacità dei funzionari.
Stando al programma di legislatura presentato da Fugatti il 21 dicembre scorso, abbiamo poco da sperare: alla questione il presidente dedica poche parole in cui semplicemente afferma che “stiamo giocando una partita strategica per la gestione delle grandi centrali idroelettriche” e dichiara di “pensare ad un assetto societario diverso, visto che all’orizzonte c’è il disinvestimento programmato dal fondo australiano che detiene il 40 per cento di Hydro Dolomiti”. Ora, pensare di dare un sacco di soldi agli australiani che comunque vogliono andarsene (e chissà come mai, eh? Forse perché hanno capito che la partita delle concessioni è probabilmente persa e il valore della società che controlla la produzione, Hydro Dolomiti del gruppo Dolomiti Energia, sta per crollare?) non vuol dire giocare strategicamente. Perché il problema non è chi detiene le quote della società. Il problema è se questa società, tra un anno, avrà ancora delle concessioni idroelettriche da sfruttare. Fugatti, stando alle sue parole, non sembra rendersene conto.
Ci resta una conclusione sconsolante: data la situazione, al momento la nostra migliore opzione è sperare che a Bruxelles si distraggano e non si accorgano che stiamo provando a far passare per la finestra quel che loro hanno ripetutamente buttato fuori dalla porta.