Guerra nucleare in vista?
Il nostro futuro è nelle mani di leader come Biden, Putin e Netanyahu. Speriamo bene…
A fine 2022 le prospettive sulla sopravvivenza del nostro pianeta si sono oscurate, ma non tanto per la paventata irreversibile compromissione della salute dell’ambiente, che pare rimandata ancora di qualche decennio, e forse potrebbe essere persino scongiurata. Il pericolo più immediato viene da tutt’altra direzione ed è strettamente connesso con l’esistenza al vertice di tre paesi - USA, Russia e Israele - di personaggi pericolosi, espressione di élites per le quali la guerra nucleare non è una ultima istanza o una scelta disperata.
Gli USA da tempo hanno modificato la dottrina sull’impiego delle armi nucleari tattiche, ammettendo la possibilità di impiegarle ogni volta che gli interessi nazionali (formula piuttosto vaga) siano messi in pericolo da un attore esterno. La Russia recentemente ha precisato la sua dottrina: impiego dell’arma nucleare consentito solo quando per il Paese esista un “pericolo esistenziale”, in concreto una minaccia diretta al suo territorio e alla sua integrità. Qui il margine di interpretazione è più ristretto, è vero, ma il “pericolo esistenziale” si presta pure a varie letture, a prescindere dal fatto che il territorio minacciato del Paese potrebbe o meno comprendere le province della “Nuova Russia”, recentemente conquistate dai russi ma ancora sotto attacco degli ucraini passati alla controffensiva. Israele, dal canto suo, non ha mai pubblicato una dottrina sull’impiego dell’arma nucleare, per il semplice motivo che non ha mai ammesso di possedere bombe e/o missili a testata atomica, benché tutti sappiano che possiede un sofisticato arsenale di qualche centinaio di queste armi pronte all’impiego. Va da sé che questo gli consente di avere mani libere da qualsiasi vincolo che non sia il mero giudizio sulla convenienza/opportunità di usarle. E questo è preoccupante se si pensa che, dopo la parentesi dei governi pragmatici di Bennet e di Lapid, ora è ritornato al timone un personaggio discusso, Benjamin Netanyahu, che non fa mistero di volere attaccare i presunti siti atomici dell’Iran. Di questi tre paesi, il primo ha notoriamente sulla coscienza l’unico bombardamento nucleare dichiarato della storia, quello avvenuto sulle città giapponesi del 1945; Israele, secondo certe fonti, avrebbe sperimentato una versione soft dell’atomica, la cosiddetta bomba a neutroni, che può distruggere un intero quartiere senza rilasciare troppe radiazioni. Secondo alcuni, la distruzione del porto di Beirut nel 2020 sarebbe stata opera proprio di un ordigno di quel tipo, che sarebbe stato usato per dissuadere il partito Hezbollah libanese dall’impiegare il suo cospicuo arsenale di missili contro Israele. L’allora presidente Trump commentò a caldo: “Hanno lanciato la bomba”, per poi tacere e non tornare più sull’argomento, mentre i suoi consiglieri militari e il Pentagono si affannavano a smentire o sminuire. Solo la Russia di Putin sarebbe al momento libera anche solo dal sospetto di avere impiegato questo tipo di bombe atomiche tattiche, ma incombe da qualche tempo la previsione che, a seguito di una presunta malattia inguaribile, la sostituzione di Putin con Medvedev sarebbe questione di mesi. E Medvedev nei suoi discorsi non perde occasione di minacciare apertamente l’uso di armi nucleari. Tra il “moderato” Putin e il bellicoso Medvedev sarebbe in atto solo un gioco delle parti? Forse, ma non è detto.
Ma dove potrebbe innescarsi un conflitto di tipo nucleare?
Oggi si parla di un attacco cinese a Taiwan come la possibile Serajevo della terza guerra mondiale, timore gonfiato oltre misura dai media, ma che sembra in parte esagerato: la Cina, un gigante economico, è militarmente ancora indietro rispetto agli USA e non avrebbe interesse ad anticipare un conflitto che pure non pochi osservatori danno per inevitabile a medio termine.
L’altro scenario da incubo si è aperto da un anno in Ucraina, dove non passa settimana senza che all’Orso russo siano imputati progetti di bombardamento nucleare. Cosa altamente improbabile per varie ragioni di ordine politico: la Russia mira sin dall’inizio a domare l’Ucraina e a riportarla nell’alveo delle nazioni amiche o soggiogate tipo Bielorussia, non a distruggerla; gli stessi bombardamenti a tappeto sulle strutture elettriche, idriche e di trasporto ucraine sono cominciati molto tardi, da ottobre in poi, e solo quando Putin ha perso definitivamente la speranza che Zelenski imbaldanzito dalle vittoriose controffensive estive venisse a patti.
Ma pare che anche motivi militari sconsiglino l’uso di armi atomiche su un territorio in cui gli ucraini evitano con cura grandi concentramenti di truppe e di mezzi, i soli che giustificherebbero da un punto di vista militare l’uso di armi atomiche tattiche, altrimenti controproducente. Resta lo scacchiere del Medio Oriente e l’incognita di Israele, alle prese col suo infinito scontro con l’Iran, portato avanti con mezzi ibridi: attentati nel paese degli ayatollah (compreso l’assassinio di scienziati atomici), cyber-attacchi, fomentazione di disordini (tra cui, secondo Teheran, anche quelli recenti legati alla rivolta per l’abolizione del hijab) e bombardamenti sistematici delle colonne di rifornimento d’armi che giungono dall’Iran alla Siria, alleato storico di Teheran nella regione. L’Iran risponde come può, periodicamente bombardando siti del Kurdistan irakeno dove gli israeliani avrebbero stabilito basi e centri di spionaggio; rafforzando con la loro assistenza tecnico-militare il regime di Assad, altro acerrimo nemico di Israele; persino con la guerra cibernetica in cui l’Iran ha fatto progressi enormi. Ma soprattutto, consapevole di dovere controbilanciare il potere nucleare di Israele, l’Iran ha costruito in questi anni il più grande e moderno arsenale missilistico del Medio Oriente, fatto testimoniato anche dal recente massiccio aiuto prestato alla Russia di Putin, a cui l’Iran ha fornito migliaia di droni micidiali e forse anche missili balistici a breve-medio raggio. Israele, che vede in ciascuno dei paesi che lo circondano (Libano e Siria in primis, ma anche le milizie di Hamas e Hezbollah) una longa manus di Teheran, si affanna a dichiarare che l’Iran mira a costruire la bomba atomica o a caricare i suoi missili con testate nucleari, e minaccia un giorno sì e uno no di procedere a un attacco preventivo sui suoi centri di ricerca nucleare e sui siti di arricchimento dell’uranio (ufficialmente attivi solo a fini civili o di ricerca).
L’aspetto tragicomico è qui quello del ladro che grida: Al ladro!, perché tutti sanno che Israele è l’unico paese della regione mediorientale a possedere armi nucleari, nella totale omertà dei suoi alleati occidentali, USA e Europa in testa. Israele sospetta che l’Iran non abbia mai cessato di continuare la ricerca nucleare anche a fini militari, cosa plausibile benché mai dimostrata. Allo stesso tempo è noto che tra la produzione di uranio arricchito al 90% e la preparazione di una bomba o di una testata miniaturizzata caricabile su un missile, possono trascorrere diversi anni. Insomma, è largamente condivisa tra gli osservatori l’idea che l’Iran non rappresenti nessuna minaccia nucleare concreta e tanto meno immediata. Ma allora perché tante tensioni e minacce, destinate con Netanyahu al potere ad aumentare ulteriormente?
I due Paesi hanno invero una lunga storia di amicizia che affonda le radici nell’impresa di Ciro il Grande che, entrando da trionfatore a Babilonia nel 538 a.C., liberò gli israeliti dal loro esilio consentendo il ritorno nella Palestina. In tempi più recenti ottimi furono i rapporti di Israele con gli scià Pahlavi; e, persino dopo l’avvento della Repubblica Islamica, durante la lunga guerra Iran-Irak del 1980-88, furono gli israeliani che discretamente vendettero armi a Teheran nei momenti di difficoltà. Poi le cose precipitarono. Uscito dalla guerra, l’Iran si riprende alla grande, i tassi di sviluppo del paese persiano raggiungono le due cifre nei primi anni duemila e l’Iran sembra proiettato a diventare una delle grandi potenze economiche della regione accanto alla Turchia e alla stessa Israele. Ecco, secondo alcuni analisti, qui inizia il timore dei governi israeliani, rinvigorito dal vero o presunto disegno espansionistico dell’Iran in direzione del Mediterraneo con la costruzione dell’alleanza dei paesi della cosiddetta Mezzaluna Sciita: Iran, Irak, Siria, Libano. Il linguaggio del discorso politico si inasprisce di anno in anno, le minacce di Netanyahu trovano chi risponde per le rime nel focoso ex presidente Ahmadinejad. L’Iran costruisce nei paesi alleati summenzionati una cintura di sicurezza di fronte alla minaccia di Israele. Ma quest’ultimo, sentendosi accerchiato, reagisce con i recenti “Patti di Abramo” che consentono a Israele di spingersi con l’intelligence militare fino a due passi dall’Iran: Bahrein, Emirati Arabi, senza contare il predetto insediamento nel Kurdistan irakeno. Insomma, siamo di fronte a una guerra ibrida in atto tra due paesi l’un contro l’altro armati fino ai denti. Una mossa sbagliata potrebbe innescare una rappresaglia nucleare o missilistica senza limiti e, si può starne certi, i grandi protettori dei due paesi – la Russia per l’Iran e gli USA per Israele – non starebbero a guardare. Israele è il migliore cane da guardia degli interessi USA in Medio Oriente, più che mai oggi dopo la ritirata americana dall’Afghanistan; l’Iran è stato definito il ventre molle della Russia che mai tollererebbe la sua sconfitta o peggio la sua occupazione. Se scoppiasse un conflitto da quelle parti, ci troveremmo di fronte non a una guerra per procura tra le due grandi potenze, USA e Russia, ma verosimilmente a un loro scontro diretto dalle conseguenze imprevedibili.
Non è un caso che da quando è iniziata la guerra in Ucraina e gli iraniani aiutano i russi con droni e missili, nei media americani Iran e Russia appaiano spesso insieme, additati alla opinione interna e a quella esterna filo-atlantica come le due canaglie per antonomasia, nemici della democrazia e dei diritti umani.
Ma la propaganda in tempi di guerra non va per il sottile, e passa volentieri sopra a pecche e peccatucci del proprio campo, come per esempio l’apartheid che regna indisturbata in Israele a danno dei Palestinesi e il possesso non dichiarato di armi di distruzione di massa, in barba all’Accordo di Non-proliferazione nucleare che peraltro Israele, a differenza dell’Iran, non ha mai firmato. Così come la propaganda di guerra che passa sui nostri media ignora seraficamente che l’Ucraina del democratico Zelenski ha messo fuorilegge 12 partiti di opposizione (compreso il secondo arrivato alle ultime elezioni) e relativi giornali, ha bandito la lingua russa e buttato al macero i libri delle biblioteche scritti in quella lingua, ha inquadrato nel Ministero degli Interni (!) democratici del calibro dei neonazisti del Battaglione d’Azov e congreghe armate assimilabili. Oggi si denuncia giustamente la discriminazione delle donne in Iran, si condanna la repressione e le impiccagioni degli oppositori; si tace però sulle criminali sanzioni seriali americane che hanno affamato in questo primo ventennio del XXI secolo interi popoli in Irak, Siria, Yemen.
Insomma, impera sui media il doppiopesismo: siamo in guerra, la terza guerra mondiale a pezzi come diceva papa Bergoglio. Ma per fortuna le sorti del nostro futuro sono in mano a politici illuminati come Biden (in attesa del gran ritorno di Trump), Putin e Netanyahu. Auguri.