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QT n. 1, gennaio 2023 L’editoriale

Macroregione e debolezza strategica

Irrilevante periferia in una macroregione padana, oppure partner di un'Euregio alpina?

Avevamo scritto della realtà che presenta i conti a Fugatti, su tutta una serie di forzature: il concerto di Vasco, la PiRuBi, i rifiuti, e poi ancora il NOT, l’ospedale di Cavalese, l’Ice Ring di Pinè... Tutti progetti in cui il presidente si è gettato a capofitto, scriteriatamente, provocando gravi ritardi e veri e propri danni.

C’è però ora un’ulteriore velleità che emerge, e questa sarebbe molto pericolosa, per il Trentino strutturalmente devastante. E’ l’ipotesi di macro-regione. Il Trentino dovrebbe unirsi a Veneto e – sembra- a Emilia-Romagna, in una nuova entità amministrativa, più grande e quindi di maggior peso.

E’ una sciocchezza totale, non a caso stroncata da vari commentatori. Infatti, oltre a tutti i dubbi sulla proposta leghista delle macroregioni, dagli esiti molto incerti, che terremoterebbe l’assetto nazionale, sollevata più che altro per tentare di arginare al nord l’emorragia di voti dalla Lega a FdI, non ci si capacita della ragione per cui si vorrebbe far annegare il Trentino in una realtà molto più ampia. A questo aggiungiamo una riflessione più di fondo: il Trentino è montagna, Veneto ed Emilia sono in massima parte pianura. Sono due territori che abbisognano di politiche diverse: perché le risorse sono diverse, e così le distanze e i collegamenti, l’ambiente ed altro ancora.

Lo si è visto negli scorsi anni, con la pressione dei comuni montani veneti, Cortina in testa, e dell’intera provincia di Belluno, per staccarsi dal Veneto ed aggregarsi alla nostra regione. Anche perchè abbagliati dal mito (ora di molto affievolito) dei soldi dell’Autonomia, ma soprattutto perchè in una regione di montagna si fanno politiche per la montagna, a Venezia invece la montagna è un lembo periferico, dal trascurabile peso economico, demografico e quindi elettorale. Di qui la spinta bellunese verso Trento e Bolzano, poi in varie maniere ammortizzata.

Ora non si capisce perché mai Fugatti aspiri a trasformare Trento in una nuova Belluno, residuale e negletta, fagocitata nella pianura veneto-emiliana. Follia?

Forse più semplicemente è sudditanza culturale e politica. La dipendenza dal Veneto e dal suo governatore Luca Zaia l’abbiamo già vista su innumeri fronti: il suicida tentativo di far nascere una Scuola di Medicina incardinata non nell’Università di Trento, ma in quella di Padova; l’avere spudoratamente favorito nell’appalto del NOT una scalcinata azienda di Rovigo; l’appoggio alla PiRuBi (almeno, fino a che il progetto interessava a Zaia, che adesso ha cambiato convenienze ed ha lasciato il discepolo trentino con il cerino in mano). Stupisce allora fino a un certo punto che tale sudditanza si sia allargata anche a livello istituzionale: diventiamo una provincia veneta, e non se ne parli più.

Fugatti sta quindi facendo grossi danni. Ma passerà. Il punto è non rendere i danni irreversibili.

E proprio come contrasto alla stupidaggine della macroregione non vediamo sorgere un’adeguata chiarezza di idee. Perché la motivazione di fondo – non lasciare il Trentino piccolo e solo – ha la sua plausibilità. In questi anni è stata lanciata la proposta adeguata, l’Euregio. E’ stata lanciata, con forza, da Innsbruck, che coltivava il progetto di fare dell’asse Innsbruck-Bolzano-Trento un’area omogenea per interessi turistici, ambientali, trasportistici, che doveva diventare lo snodo dei collegamenti europei Nord-Sud. E Innsbruck contava proprio su Trento, per prendere in mezzo Bolzano, che preferiva vagheggiare collegamenti preferenziali con Monaco. Ma Trento non ha avuto coraggio: ha balbettato, si è dato vita a un ufficietto dell’Euregio a Bruxelles, ogni tanto si riuniscono i Consigli provinciali di Bolzano, Trento e Tirolo.

Ma è troppo poco. Bisognerebbe prendere questa strada con decisione, non limitarsi a incontri di facciata, preparatori del nulla.

Quando poi non si fa di peggio: si devia sulla macroregione padana. Il Trentino deve decidere cosa vuole essere, nell’Europa del duemila. Per ora sembra di vedere, oltre le sciocchezze di Fugatti, una grave debolezza strategica..