“Fondi di confine”: una solidarietà interessata?
I comuni lombardi e veneti che volevano passare con Trento e Bolzano vennero tacitati con elarginazione di fondi. Ma ora l’assessore Gottardi nicchia: “Quei soldi servono a noi”.
Ci si può scherzare o anche piangere. Certo è che la gestione dei cosiddetti fondi di confine, per come distribuiti annualmente dalle province di Trento e di Bolzano ai 48 comuni confinanti, alimentano polemiche.
Eravamo nel 2009, in piena crisi economica. Lo Stato chiedeva sacrifici a tutte le realtà regionali, compresi Trentino e Alto Adige. I comuni limitrofi alle realtà autonome protestavano e con referendum dai risultati indiscutibili chiedevano il trasferimento dalle loro regioni storiche (Lombardia e Veneto) alle due province autonome (Lamon, Sovramonte, Pedemonte, Vestino, gli 8 comuni dell’altopiano di Asiago); erano stati anticipati nel 2007, in analoga iniziativa, dai comuni bellunesi ladini (Livinallongo, Colle di Santa Lucia e Cortina d’Ampezzo), che chiedevano l’adesione alla provincia di Bolzano, ritenuta più affidabile,
Nel 2007 l’allora presidente Lorenzo Dellai aveva provati a mantenere calme le acque stanziando per i comuni confinanti 10 milioni di euro più 4 della Regione Veneto.
Nel 2009 le due province autonome unite assieme al governo e al presidente del Veneto Giancarlo Galan sottoscrivevano l’accordo di Milano, dal quale nacquero i “fondi di confine”. Che non erano soldi rubati alle due autonomie, in quanto quei soldi sarebbero comunque confluiti nella finanza statale. Era un significativo e corposo atto solidaristico a sostegno di realtà quasi dimenticate.
I fondi vennero distribuiti dal 2011 in poi; e mentre serpeggiavano polemiche, seguirono aggiustamenti ritenuti migliorativi ai regolamenti di distribuzione. Un punto è sempre rimasto fermo: si è evitata la trasparenza e il confronto pubblico.
Degli 80 milioni annui distribuiti oggi ogni comune confinante riceve un assegno a fondo perduto di 500 mila euro per un totale di 24 milioni (i comuni sono 48). Altri 55, 2 milioni vengono destinati a investimenti su un'area vasta senza spiegare cosa si intenda con questo: si intuisce che debbano avere una ricaduta su più ambiti amministrativi. 800 mila euro all’anno riguardano infine le spese di segreteria e gestione amministrativa.
Ai comuni bellunesi spetta il 48,6%, dei fondi, più di 26 milioni, a quelli vicentini il 14,6% (8 milioni), ai veronesi il 9,20% (5 milioni) e infine a quelli lombardi di Sondrio il 12,8% e a Brescia il 14,8%.
A scatenare l’ultima bufera ci ha pensato l’assessore trentino agli Enti locali Mattia Gottardi. Non trovando nel bilancio provinciale un euro da distribuire ai comuni trentini sul fondo degli investimenti liberi (circa 40 milioni, guarda caso) e visto che lo Stato non trasferirà per il 2023 i soliti 100 milioni dovuti dal fisco, ha pensato bene di chiedere a gran voce la messa in discussione dei fondi di confine.
Un gesto incosciente. ? stato come infilare una mano nell’alveare.
A pungere sono stati i sindaci delle regioni limitrofe (silenzio diplomatico da Bolzano, uno spettacolo gratuito inatteso), offesi da tali dichiarazioni mai concordate e nemmeno accennate ai tavoli di confronto. Per l’assessore trentino questi soldi “Servono prima a noi“. Perché samo sempre più poveri con immense competenze da gestire (a dimostrazione delle difficoltà o dell’incompetenza di questa giunta nell’amministrazione la realtà trentina). Poi, l’indamani, l’assessore cerca di recuperare: se rinunciamo a quei soldi - dice - che almeno le diverse progettualità abbiano una ricaduta economica anche sul Trentino e non si mettano in concorrenza con le economie delle nostre periferie.
La scivolata dell’assessore ha un pregio: sulla gestione dei fondi si è aperto il confronto. Finora questi sono stati gestiti nei sotterranei delle diverse amministrazioni, in assenza di dibattito pubblico. Solo misere quote sono finite nel recupero delle reti di acquedotti o nei collettori dei reflui, nel recupero di plessi scolastici o a sostegno dell’assistenza sociale. In positivo possiamo sottolineare le collaborazioni fra il Primiero e la bassa Valbelluna: la necessaria strada in galleria Schener definita “la Pala Rossa” (8 milioni), i rapporti con gli ospedali di Feltre e Lamon per un totale in tre rate di 7,6 milioni, i rapporti conl gruppo dell’energia Acsm. Tutte opere che hanno portato vantaggi ai comuni oltre confine, ma anche in modo diretto al Primiero e al Tesino.
Ma sono troppe le ombre che oscurano l’insieme della gestione e che alimentano le critiche sull’uso anche spregiudicato di questi fondi. Partiamo da una scelta minuscola: la strada dei Larici ad Asiago, asfaltata come un tappeto e poi privata di ogni manutenzione tanto da portare il sindaco locale ad evidenziare con vistosi cartelli che chi la percorre lo fa a suo rischio. O, più in grande, lo sfascio paesaggistico causato dalla ciclabile di Limone (7,6 milioni) e ancora non conclusa. E peggio ancora, quella proposta a Malcesine, (17 milioni.
Se a Livinallongo (comune non certamente povero) si è investito nella casa di riposo, vi fanno da contraltare i soldi regalati ad un centro welness. Ha dell’incredibile il recupero della casa di riposo di Sovramonte costata 5 milioni e dopo 5 anni ancora chiusa perché la Asl del Veneto non investe adeguate risorse nell’arredamento (ad oggi spesi soli 300 mila euro).
Milioni pubblici regalati allo sci
Nel settore dello sci è scandalo e sarebbero auspicabili diversi interventi della Corte dei Conti. Qui i soldi vengono regalati direttamente alle società private, a volte compartecipate in quote minime dai comuni.
Il nuovo centro dello sci nordico di Canale d’Agordo, lo sviluppo dell’area sciabile dei Fiorentini, 16 milioni.
All’area sciabile de “le Melette” ad Asiago, in concorrenza diretta con Lavarone, si sono regalati 7,9 milioni più altri 500 mila euro per l’acquisto di generatori di neve per il monte Kberiaba.
E arriviamo agli scandali più clamorosi, primo fra tutti i 26 milioni destinati al collegamento passo Monte Croce-Padola nel Comelico, un regalo diretto alla società dell’imprenditore Senfter, la Drei Zinnen, o al collegamento fra Pocol e le 5 Torri sopra Cortina, 14,7 milioni su una spesa totale di 19,6 milioni, propedeutico allo sfascio del cuore paesaggistico delle Dolomiti, Passo Giau-Alleghe.
E ancora, 1,7 milioni per il rinnovamento dell’impianto innevamento ad Alleghe, 3,15 milioni destinati al bacino accumulo acque, 1,5 milioni per la cabinovia di Recoaro. Basta recarsi sul posto per comprendere la insostenibilità della proposta, 500 mila euro per l’innevamento ad Auronzo della pista Fedo e altri 500 mila per Monte Agudo (il comune di Auronzo incassa oltre 2 milioni dal pedaggio della strada delle Tre Cime di Lavaredo).
Nel calderone privo di qualunque programmazione, razionalità e ogni minima attenzione ai cambiamenti climatici in atto, questi fondi finiscono perfino nel calderone olimpico: milioni di euro per una presunta nuova viabilità a Cortina d’Ampezzo, 1,7 per lo stadio del ghiaccio di Cortina più un milione per la nuova pista di curling.
Ora, in rapida serie, troviamo 2,8 milioni per piscina e campo di tennis a Rivamonte agordino, altri 4 per la centrale idroelettrica a Carpanè, 5 milioni per le aree sportive ad Asiago, sempre ad Asiago per le malghe altri 2,4 milioni, le strade a Recoaro, presentate come mobilità dolce, oltre 5 milioni (andare a vedere lo stato delle strade). E altri soldi ancora gettati nella città dello sport a Calalzo, nella passeggiata lungo il lago dello stesso comune, la ciclabile da Auronzo a Calalzo.
Non parliamo poi delle ciclabili che dovrebbero collegare le sponde destra e sinistra del Piave, o quelle impattanti dello Schener.
Mancava una goffa perla sul lago di Garda: il tentativo di imitare in piccolo il Mose di Venezia. A Tremosine vengono investiti 2 milioni per la protezione dai capricciosi venti da nord di una spiaggina dove approdano le barche a vela. Vengono postati dei galleggianti ancorati a pali fissi per mitigare i venti. Fallimento totale. Nel 2019 altri moli galleggianti invece di proteggere la spiaggia finiscono al largo: era stata sbagliata la valutazione del moto ondoso. Mancava solo Alberto Sordi per trasferire questa sceneggiata in uno dei suoi film che ironizzano sull’italiano cialtrone: certo è che tutto è finito nei mani dei giudici causa contenziosi sollevati da privati.
Le reazioni
Come si è reagito in Veneto? Molto male è dir poco. De Carlo, sindaco a Calalzo di Cadore, Fratello d’Italia, senatore e presidente della Commissione industria, commercio e agricoltura, definisce il tutto una boutade: coinvolgerà subito il ministro leghista Calderoli.
Lo affianca Roberto Padrin, presidente della provincia di Belluno, nel frattempo diventato vicepresidente della Fondazione Dolomiti Unesco nel sostegno contro il collega di Trento. Il Bard, il movimento autonomista bellunese, chiede acriticamente che questi fondi vengano implementati. I sindaci bellunesi, colpiti dal fulmine a ciel sereno, invitano l’assessore trentino a leggersi per bene le norme.
Forse è solo il sindaco di Gosaldo Stefano Da Zanche, anche perché lavora in stretta collaborazione col comune più periferico del Trentino, Sagron-Mis, a chiarire il vero problema veneto e lombardo: il fatto che le terre periferiche sono dimenticate dalla loro regione: “Non esitiamo - continua il sindaco - 500 anime, una farmacia e un bar da terminare con fondi di confine del 2018. Forse ci arriveremo nel 2024. Abbiamo 7 studenti alla scuola elementare che va tenuta aperta, altrimenti è la fine definitiva, con i soldi 2020 si sono rifinite le coperture - anni ’60, quando il paese contava tremila abitanti. Oggi ci sono solo 9 bambini all’asilo”. Bravo assessore Gottardi! In modo scomposto il problema è almeno stato sollevato.
I comuni di confine soffrono lo spopolamento perché non vengono curati i parchi del paese o non invece perché mancano servizi essenziali, a partire dal trasporto pubblico verso il centro? Come investire in nuovi lavori, che attraggano i giovani? Come recuperare nei comuni del personale che possa almeno seguire l’iter di questi fondi, visto che gli uffici tecnici sono smembrati? Come garantire una ricaduta di utilità dei fondi investiti nel tempo?
Oppure, è proprio come denunciano anche i sindaci trentini, che con questi fondi ci guadagnano solo alcune imprese edili e artigiane? Hanno innescato una nuova cordata clientelare?
Un meccanismo da rivedere sostiene il PATT trentino. Giusto, ma non certo per distribuire piaceri anche alla imprenditoria trentina come si intravvede nella lettura del comunicato autonomista.
L’assessore, per rimediare al fatto che la Provincia non ha trovato nel bilancio annuale i 40 milioni da distribuire ai comuni per investimenti, ha sostenuto la richiesta dei comuni di utilizzare gli avanzi di amministrazione delle Comunità di valle.
Questi soldi sono sempre serviti ad affrontare progetti sociali di ambito largo. Si tratta di una delle poche flessibilità operative rimaste alle Comunità. Ora ne vengono private. Dovranno sminuzzare queste risorse in una miriade di interventi privi di utilità complessiva dei territori.
Un’ulteriore occasione utile a dimostrare quanto sia caotica e quindi fallimentare la riforma delle Comunità di valle targata Lega.