Euregio: chi l’ha vista?
Cooperazione transfrontaliera in stato comatoso?
Pare esista, ma nessuno (o quasi) l’ha vista. L’Euregio Alpina – malgrado abbia da alcuni anni un solido fondamento giuridico, e cioè il Trattato Europeo sulla Cooperazione Territoriale che fa parte del diritto comunitario europeo – non si è radicata né nella società politica né nella società civile. Ogni tanto qualcuno ne parla, specialmente nei discorsi ufficiali celebrativi, ma i risultati tangibili, nella vita quotidiana della gente, tardano a farsi vedere. Così, nessuno o quasi si rende conto dell’esistenza di questa fantomatica entità, e nemmeno delle opportunità perdute.
L’ultima riunione del “Dreierlandtag”, cioè dei tre Consigli provinciali riuniti in seduta comune, pare sia stato un mezzo disastro. E non per colpa dei colleghi trentini, si affretta a precisare chi vi ha partecipato; i lavori preparativi delle tre amministrazioni provinciali, si sussura, erano ben poco entusiastici e ambiziosi, i risultati dunque non potevano che essere magri e deludenti.
Funzionano – questo sì, e in modo tangibile e soddisfacente – le cooperazioni bilaterali tra il Tirolo e il Trentino o il Tirolo ed il Sudtirolo che esistono già da prima dell’Euregio: ad esempio i gemellaggi fra le scuole, lo scambio fra alcuni dipartimenti delle diverse amministrazioni, la cooperazione fra le università e fra le Camere di Commercio per facilitare le attività delle piccole e medie imprese (e senz’altro continua a crescere la galleria di base del Brennero, anche se fra i due amministratori delegati e fra le diverse culture manageriali e amministrative, settentrionale e meridionale, la comunicazione viene definita come “un pochino difficile”.) Riusciamo perfino ad avere dei carabinieri in uniforme che assistono i nostri poliziotti sulla Mariatheresienstrasse per controllare e aiutare decine di migliaia di turisti italiani che visitano il nostro famoso mercatino di Natale. Ma l’Euregio come soggetto politico e come progetto per un futuro più sostenibile non riesce a camminare.
Le sole notizie che riescono ad emergere sulle prime pagine dei giornali sono quelle sulla riesumanzione dei sacri confini della Patria, ora in versione popolare-socialdemocratica, confini da rafforzare per difenderci dalle fantomatiche orde di profughi e immigranti illegali che metterebbero in pericolo la sicurezza dei cittadini e le strutture sociali dell’Austria. Lacrime di coccodrillo per rimpiangere la memoria delle frontiere cadute nell’Unione Europea, e per la “Landeseinheit” dello storico Tirolo multietnico e multilingue, ma - à la guerre comme à la guerre - bisogna adeguarsi alle dure necessità della fortezza Europa, con buona pace del buon Renzi, e se ci vuole un muro per contenere le ondate di stranieri, un muro va costruito.
Però. Forse, uno dei pochi risultati dell’ultima seduta a tre, a Trento, servirà a rianimare la comatosa Euregio. I consiglieri delle tre Provincie hanno votato una mozione che impegna le amministrazioni a preparare e sottomettere all’esame dei consiglieri rapporti sugli esiti e le conseguenze delle comuni decisioni.
Vi pare poco? Riflettere insieme sui progetti votati e poi dimenticati potrebbe sia mettere le decisioni su un concreto, tangibile, sia incentivare nuovi progetti.
“E poi, concentrarsi un po’ sui protocolli della Convenzione Alpina, far vivere questi protocolli nel quotidiano lavoro sulle politiche dell’energia, del trasporto, del turismo, sarebbe utile, potrebbe incentivare un nuovo spirito di cooperazione transfrontaliera e perfino creare un nuovo ruolo per l’Euregio come soggetto politico” - ci dice Gabriele Fischer, membro dell’apposita commissione del Consiglio nord-tirolese che si occupa delle politiche europee e della cooperazione nel quadro dell’Euregio. E poi, basandosi su questi protocolli (che ugualmente fanno parte del diritto comunitario) e sul lavoro concreto, l’Euregio potrebbe crearsi anche un ruolo di leader nell’ambito della Macroregione Alpina.
Con i grandi centri dinamici di Milano e Monaco come forza propulsiva, e con l’Euregio Alpina come cuore e coscienza sostenibile, l’istituzione moribonda potrebbe guadagnarsi nuova vitalità.
La speranza è l’ultima a morire.