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QT n. 5, maggio 2021 Servizi

Olimpiadi invernali 2026 ai blocchi di partenza

L’appuntamento che doveva essere sostenibile e a costo zero appare sempre più impattante e costoso

Con una serie di interventi iniziamo un percorso, inevitabilmente lungo, che illustra come e quanto si sta preparando per l’appuntamento delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. Quella data può sembrare lontana, ma le decisioni sulle opere, la loro qualità, i finanziamenti che le sosterranno o si sono già decisi o si completeranno in questi mesi. Offriamo ai lettori questo percorso perché, se qualcosa si potrà ridurre nell’impatto ambientale o nei costi, lo si deve affrontare oggi. Come? Intervenendo nelle valutazioni d’impatto ambientale nelle sedi istituzionali di livello nazionale e locale, e per quanto ci riguarda diffondendo informazione in un contesto di addomesticamento mediatico che non può non preoccupare.

Dopo una sintetica illustrazione generale cominceremo ad analizzare ogni singola opera, anche e specialmente quelle che vengono sostenute e finanziate con denaro pubblico, comprese le tante non funzionali all’appuntamento internazionale, come la grande viabilità e i nuovi collegamenti sciistici.

Da anni l’ambientalismo sostiene che i grandi eventi sportivi internazionali non sono compatibili con la fragilità del territorio montano, specie nelle Alpi, le montagne più densamente popolate al mondo, già oggi fin troppo sfruttate. Se questo era già evidente in situazioni di normalità, con l’aggravarsi delle conseguenze dei cambiamenti climatici in atto le attenzioni e le riflessioni su come intervenire sul territorio dovrebbero essere più approfondite, e anche maggiormente condivise.

Fino a pochi anni fa la lotta per accaparrarsi appuntamenti, mondiali e olimpici, era feroce: e a detta di esperti economisti anche oggi sembra che il ritorno in termini di marketing turistico abbia una ricaduta sui territori con effetto moltiplicatore: spendi uno e nel breve tempo recuperi quattro se non cinque. Su tutto, ieri come oggi, prevale un dogma: si deve sempre crescere, non ci si può fermare, men che meno in situazioni dove il turismo è forte, è diventato monocoltura.

Come vedremo, mentre in Europa questo fragile modello perde attrattività, in Italia la corsa ai grandi eventi sportivi è sempre più spasmodica. Altrove le riflessioni opposte sono ormai diffuse, più fra l’opinione pubblica che nel mondo politico (in Giappone il 72% della popolazione è contrario all’evento olimpico dell’estate).

A conferma di quanto detto, è sufficiente ritornare su come sia maturata la vittoria olimpica di Milano-Cortina 2026. Come già era avvenuto per l’appuntamento dei mondiali di sci alpino Cortina 2021, località rimasta unica candidata e quindi vincitrice dopo aver subito quattro consecutive sconfitte, anche per le Olimpiadi l’Italia all’inizio sembrava dover combattere contro competitori autorevoli. Un successo quasi impossibile. Ma il fronte dei concorrenti si è poi sfaldato: era rimasta in gara, assieme a noi, la sola Svezia, comunque reduce da una disastrosa edizione dei mondiali 2019, dunque una candidatura divenuta debole anche causa divergenze istituzionali nel paese. L’esito dei referendum che avevano bocciato le Olimpiadi aveva portato al ritiro delle candidature importanti: Calgary (Canada), Innsbruck (Austria), Graz (Austria), Sion (Svizzera), mentre Erzurum (Turchia) si era sfilata senza ricorrere alle urne. Anche St. Moritz si era ritirata non appena aveva rifatto i suoi conti: 2,8 milioni di franchi per l’organizzazione, 1,6 per le infrastrutture. Cifre ritenute, in Svizzera, insostenibili. Quella italiana alla fine è stata quindi una vittoria facile.

Torino 2006: una disfatta economica

A settant’anni dallo svolgimento delle Olimpiadi di Cortina (1956), e a venti da quelle di Torino, ci ritroviamo ad organizzare un nuovo evento, che dire complesso è dire poco. Diamo prima una veloce occhiata a quanto accaduto a Torino.

Il dossier era stato presentato al CIO nel 1998. Erano previste Olimpiadi sobrie: dovevano costare 500 milioni di euro, ma le spese sono poi lievitate a 3,5 miliardi. Certo, la città di Torino è rinata, gli interventi di recupero hanno portato qualità architettonica e maggiore efficienza nella mobilità della città. Ma chi ha amministrato Torino dal 2001 ad oggi ha avuto obbligatoriamente un solo obiettivo: ripianare un debito ancora mostruoso, una situazione impossibile da governare se non tagliando sui bisogni sociali, ed eludendo qualsiasi risposta ad una pervasiva depressione industriale.

Nelle valli intanto lo spopolamento è continuato, nulla è mutato nonostante si attendessero miracoli nel rilancio sciistico e turistico della valle di Susa. Il villaggio olimpico di Bardonecchia è ancora in attesa di una decisione su una sua destinazione. Le strutture del bob, dello slittino, i trampolini del salto sono abbandonati, in piena incuria. Le prime due opere avrebbero comportato una spesa di gestione annuale di 2 milioni, 1,5 milioni invece il costo annuale previsto per i trampolini.

Se Beppe Grillo aveva definito le Olimpiadi piemontesi “una disfatta”, il più moderato Luca Mercalli le aveva marchiate come una “fiammata” subito spentasi. Nonostante questo, ancora oggi la Regione Piemonte, attraverso l’onnipotente presidente del CONI Giovanni Malagò, vede il rilancio dello sci al Sestriere centrato su una candidatura ai mondiali del 2029. Le prossime olimpiadi invernali (2022), intanto, si terranno a Pechino: sembra destino che questi appuntamenti, o finiscono in Italia o in paesi dittatoriali. Il giornalista Silvio La Corte nel suo libro “La bolla olimpica” afferma: “Se le conosci le eviti”. Triste esito di una festa mondiale dello sport degenerata in gigantismi ingestibili.

Il dossier della candidatura italiana: costi pubblici zero e opere sostenibili

In una fiammata di consapevolezza dei rischi cui questa degenerazione espone lo stesso movimento olimpico, nel dossier di candidatura presentato al Comitato Olimpico Internazionale il 19 gennaio 2019 erano raccolte le 40 raccomandazioni dell’Agenda olimpica 2020, approvata cinque anni prima dal CIO a Monaco di Baviera. Si chiedeva sostenibilità economica e sociale certa, costi da abbattere utilizzando possibilmente strutture esistenti: qualora se ne costruissero di nuove, era doveroso garantirne l’uso anche dopo l’evento.

Il CONI, i presidenti delle Regioni Veneto, Lombardia, il sindaco di Milano Giuseppe Sala sostenevano ovunque che le Olimpiadi per gli enti pubblici sarebbero state non solo sobrie, ma a costo zero, tanto che il presidente lombardo Attilio Fontana, mai moderato nelle esternazioni, su Il Giorno del 20.9.2018 dichiarava sicuro: “Il governo non metterà un euro”. Ma come sempre, i nostri politici e il presidente del CONI non sono riusciti a mantenere un minimo di coerenza.

Non appena garantita la vittoria, una prima legge statale (bilancio 2019, n°160) stanziava un miliardo di euro, altri 140 milioni venivano aggiunti con la legge di bilancio 2020 e 925 milioni li stanziava il CIO, ovviamente utilizzando altri 500 milioni provenienti dallo Stato. Nel frattempo, le Regioni e le Province autonome interessate impegnavano allo scopo i loro bilanci con cifre minori, ma consistenti, Non appena poi si è aperta l’opportunità del Recovery Fund, tutti gli enti hanno chiesto risorse per opere olimpiche o collaterali.

Vedremo nei prossimi servizi come e per quali scopi: non vi è un solo progetto che riconduca alla sostenibilità ambientale o ad una presunta economia green, o a interventi innovativi.

La Regione Lombardia, all’interno di un suo ambizioso piano Marshall datato 2016 (4,3 miliardi di euro previsti in investimenti), riconosceva all’industria dello sci contributi spalmati un po’ ovunque, anche nelle stazioni ormai da tempo in sofferenza, specialmente rivolti al rinnovo degli impianti di innevamento artificiale e alla costruzione di bacini di raccolta delle acque. Luca Zaia, geniale nella comunicazione, riusciva nell’impresa di anticipare un comunque spregiudicato Renzi: già nell’autunno del 2020 parlava delle Olimpiadi invernali come di un nuovo Rinascimento per le montagne bellunesi.

Governo Regioni rifiutano la Valutazione d’impatto ambientale strategica

Nel frattempo si è ancora in attesa della costituzione della società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 Spa. Una società che non solo dovrà valutare i progetti delle strutture, ma realizzarle. Nei diversi ambiti territoriali nascono tavoli di lavoro regionali-provinciali simili, un effetto a ricaduta moltiplicatore, un vero e proprio poltronificio. Il piatto infatti è appetitoso: sono 25 le opere ritenute essenziali, quelle connesse all’evento altre 13.

Nel dossier di candidatura i diversi attori avevano confermato un passaggio importante, innovativo per l’Italia: tutte le opere previste per l’appuntamento dovevano essere sottoposte ad una VAS (Valutazione d’impatto ambientale strategica) nazionale. Sembrerebbe cosa ovvia, visto che un programma olimpico per essere efficace deve essere raccolto in una cornice unitaria. Una valutazione delle opere e del loro impatto non poteva che rispondere ad una strategia complessiva, economica, ambientale e sociale. Ma questo impegno è già saltato, anzi, si sta facendo di peggio, si stanno cercando tutte le opportunità per evitare perfino Valutazioni d’impatto ambientale locali. Si invocano analisi sommarie, superando ogni altra considerazione su strutture che, come vedremo, già oggi sono fuori scala.

Un simile modo di procedere impedirà anche l’aspetto partecipativo, una interlocuzione dei soggetti interessati nell’apprendere informazioni, nel sostenere comunicazioni, nell’attivare un controllo efficace e tempestivo: non c’è tempo da perdere, dicono gli amministratori pubblici. Questo modo di procedere viene purtroppo favorito dall’immobilismo imposto all’Osservatorio ambientalista delle olimpiadi dalle grandi associazioni, prime fra tutte il CAI. Una situazione incomprensibile.

Il conto della spesa

Intanto la lista delle spese si gonfia. Abbiamo rilevato come lo Stato abbia già impegnato un miliardo e 145 milioni, come abbia già versato al CIO altri 500 milioni (decreto CONI, gennaio 2021). I ricavi invece sono tutti da definire: una parte dei fondi per l’organizzazione viene dal CONI, dagli Enti locali, dalle coperture provenienti dalla vendita di biglietti, diritti TV, merchandising, project financing (palazzo del ghiaccio di Milano a Santa Giulia) e sponsor vari. Ad essere ottimisti, potrebbero anche portare ad un pareggio finale.

Ma è la stessa Fondazione Milano Cortina 2026 a smentirci: già oggi ammette che i costi sono lievitati a 1,5 miliardi. A questi dovremo sommare i 231 milioni che Regione Veneto e Lombardia hanno stanziato per ristrutturare impianti esistenti e un ulteriore stanziamento, approvato su volere della Lega Lombardia di 145 milioni per spese impreviste e manutenzione degli impianti. E così abbiamo già superato i 2 miliardi di spesa.

Le somme le tireremo fra pochi anni, quando potremo sommare investimenti annunciati in Trentino e Alto Adige, ma nell’insieme ci si avvicina già oggi ad una previsione di spesa di 3,5 miliardi. Tutto questo mentre edizioni di giochi ormai prossimi (Tokyo 2021 e Parigi 2024) hanno tagliato le spese per centinaia di milioni, anche in considerazione dei disastrosi effetti della pandemia in corso.

Ma l’Italia deve sempre sbalordire. Anche nel metodo, imponendo ad esempio il metodo Morandi: si ritiene che quella procedura emergenziale permetta di accorciare i tempi di realizzazione delle opere, di spendere meglio, di avere più efficienza. Per concretizzare tutto questo non ci si accontenta di commissariare opera per opera, Veneto e Lombardia stanno chiedendo un super commissario, dotato di pieni poteri.

Scherzando, ma non troppo, a capo di tutto non ci ritroveremo mica il dispensatore di miracoli Bertolaso?

Lavori in corso

Terminati i mondiali di sci alpino di Cortina, gli organizzatori, il sindaco del paese, Luca Zaia e Confindustria cantano vittoria.

A loro dire tutto è riuscito alla perfezione, opere, organizzazione, gare. E in vista delle Olimpiadi 2026 si brinda: altri banchetti sono pronti.

Ma andando a vedere, vi sono state stecche importanti proprio sul terreno delle gare: una libera troppo impegnativa e comunque corta, confusione nella organizzazione degli slalom paralleli, assenza, anche causa la pandemia, di un contorno che evidenziasse l’evento.

Le frecce tricolori hanno senza dubbio lasciato le loro scie nelle Dolomiti. Ma anche questo evento è stato criticato: probabilmente inopportuno in una situazione di diffusa crisi e di fragilità economica e ambientale.

Ha del clamoroso il fatto che quasi tutte le opere non siano concluse, nonostante i vari commissariamenti. Le circonvallazioni tanto attese, Longarone, Tai di Cadore, Valle, San Vito, sono appena iniziate o, peggio, i cantieri sono chiusi: dovevano essere concluse per per il 2019, cioè prima delle finali gare di coppa del mondo di sci alpino poi sospese causa Covid marzo 2019.

Le frane, quelle di Borca e altre, continuano a minacciare la statale di Alemagna. La statale verso Fiames è ancora aperta al transito priva di manutenzione.

Sotto la Tofana si stanno oggi stendendo i cavi, o piantando i pali “intelligenti” della Smart Road (la tratta Belluno-Cortina trasformata in strada intelligente, che tiene tutti gli utenti collegati telematicamente tra loro).

I promessi e fortemente osteggiati impianti di Son dei Prade sono in stallo: si sono tagliate le piante, poi più nulla. Le strade del paese sono ancora tutte da asfaltare, devono essere ricostruiti i drenaggi provocati dai dissesti del transito dei camion.

Si pensi che sono strade costruite due secoli fa, in grado di sopportare carichi modesti. Durante l’inverno il servizio di pulizia del paese dalla neve è andato ripetutamente in crisi, come non accadeva da decenni.

Il by pass di Gilardon, che collega la strada del passo Falzarego alle zone delle gare, non è nemmeno iniziato. Le piste nuove o potenziate sono ancora tutte da inerbire. Si devono smontare le strutture sotto Punta Anna (partenza delle gare). I lavori previsti per i ponti sono appena accennati o sono stati sospesi (ponte Crignes e ponte su Bigontina).

A Cortina sono sempre più convinti: ci hanno gabbati, quanto promesso non è arrivato.

Sicuramente nelle tasse comunali e regionali.