Una sostenibilità di facciata
Mondiali di Cortina: doveva essere un’edizione “verde”, ma le cose sono andate in tutt’altro modo.
I media nazionali, 2016: “I mondiali di sci alpino 2021 di Cortina d’Ampezzo saranno i primi ecosostenibili delle Alpi”. Forti di questa certezza, appena vinta la candidatura i politici veneti e lombardi esultavano. Si potevano dimenticare anni di delusioni, le tre candidature fallite e un fatto non proprio marginale: la scelta era caduta sulla nobile cittadina dolomitica solo dopo le rinunce delle altre località pretendenti.
Per dimostrare il suo impegno “verde”, la FISI promuoveva nel gennaio 2016 la Carta di Cortina, un documento che indicava delle linee guida sulla sostenibilità dell’appuntamento: lo firmavano il Ministero dell’Ambiente, la Regione Veneto, il Comune di Cortina, ANCI, Coni e Fisi, e ANEF (la Confindustria degli impiantisti). Ma già l’avvio risultava zoppo: la Carta veniva strutturata senza partecipazione, perfino senza coinvolgere le Regole ampezzane proprietarie dei territori che avrebbero ospitato le gare. La Fondazione verrà coinvolta solo all’atto della firma, all’ultimo istante utile. Prendere o lasciare.
L’ambientalismo definì subito la Carta di Cortina un documento vuoto, uno strumento utile come bancomat pubblicitario sull’ambiente. E otto associazioni locali e nazionali elaboravano un documento alternativo: la Carta verde di Cortina, un documento concreto che chiede che l’appuntamento sportivo consumi la minor quantità possibile di territorio, che ogni opera costruita mantenga una ricaduta sociale o di funzione sul territorio, che laddove vi siano dei danni vi sia un’adeguata compensazione.
Seguirono tre incontri con la Fondazione; sembrava si fosse instaurato un dialogo costruttivo, ma con l’arrivo alla presidenza di Alessandro Benetton, nel 2018, ogni apertura è scomparsa. Eppure alcune delle opere previste, attese da decenni, come le circonvallazioni di alcuni paesi attraversati dalla statale dell’Alemagna n° 51, erano condivise da tutte le associazioni. La contrarietà netta riguardava la circonvallazione di San Vito in quanto, dove prevista, invade aree oggi non urbanizzate; erano possibili alternative più leggere e molto meno costose. Era anche condivisa la necessità di rivedere l’attraversamento di Cortina e la costruzione di un nuovo parcheggio. La sensibilità ambientalista era quindi ben disposta al confronto. E invece la partecipazione è stata intesa come un’operazione ascolto, e non si è fornita alcuna occasione per condividere le scelte, intervenire con proposte per minimizzare i danni o esprimere contrarietà a scelte ritenute negative.
Come sempre accade in Italia, un grande evento è occasione utile per avviare procedure d’urgenza, commissariare i lavori, ottenere una semplificazione amministrativa, impedire la partecipazione e quindi il confronto sulla qualità delle opere, superare le garanzie imposte dalle leggi internazionali di tutela ambientale e infine sforare i costi. Infatti le opere dei mondiali violano ben 5 protocolli della Convenzione delle Alpi, la Carta del paesaggio Europea, le direttive europee sulla partecipazione e quelle di Rete Natura 2000, la legge Galasso del 1985, nonché la Costituzione italiana, negli articoli 9 (paesaggio) e 118 (partecipazione).
Forti delle esperienze di Bormio 2005, di Torino 2006 e di Saint Moritz, ma ancora più dopo aver assistito allo scempio di Cortina 2021, l’ambientalismo internazionale da tempo ritiene ormai insostenibili questi grandi eventi sportivi sulle Alpi. Il WWF ha ribadito alla FIS Internazionale le motivazioni di una simile drastica presa di posizione, senza venire ascoltato.
Si tratta di appuntamenti che in 15 giorni si esauriscono, portano su territori fragili, estremamente ristretti, un carico di persone impossibile da gestire, e che invece di arricchire i territori di servizi, lasciano gli enti locali sommersi da debiti che per essere pagati si protraggono per almeno due decenni (Bormio 2005 e Torino 2006).
Da tempo in Italia si discute su come ridurre l’impronta ecologica degli avvenimenti sportivi. Ben prima di arrivare alla Carta di Courmayeur del 2019, già nel 2012 la Regione Emilia-Romagna aveva definito, in collaborazione con UISP Comitato Emilia-Romagna, delle Linee Guida per gli Eventi Sportivi Sostenibili. Un tema maturo nella coscienza civile, ma ancora assente nella componente politica e in tante società sportive, come nel CONI, primo fra tutti l’intoccabile presidente Giovanni Malagò.
Nei mesi che hanno preceduto l’appuntamento la Fondazione Mondiali 2021 ha investito notevoli risorse per presentarsi come esempio “verde”. L’ultimo capolavoro l’abbiamo letto in una intervista rilasciata su Repubblica da Susanna Sieff, Sustainability Manger di Cortina 2021: “La Carta di Cortina diventerà un esempio per tutte le località di montagna..., un’impresa corale..., una mappa che traccia il virtuoso percorso per garantire la green economy a un territorio particolarmente votato alla tutela ambientale, senza risultare follemente ambiziosa. La concretezza è, infatti, un punto chiave di questa impresa”.
La realtà: uno scempio ambientale
Le associazioni ambientaliste ritengono che a Cortina peggio non si poteva fare. Tutte le opere dovevano essere terminate entro l’autunno del 2020. Invece per alcune sono stati solo aperti i cantieri, subito sospesi dall’intervento della magistratura in quanto sembra siano preda di attenzioni mafiose o per ricorsi ai tribunali amministrativi. Si tratta di lavori con costi superiori ai 250 milioni di euro. Sono invece state completate le opere che riguardano le gare mondiali. Per potenziare le piste esistenti, favorire l’accoglienza del pubblico e fare spazio alle tribune, la Tofana di Mezzo è stata sconvolta. A impressionare, più che l’ampliamento delle piste, sono stati i cantieri di lavoro. In pratica tutto il piede della montagna, diversi chilometri, in prossimità di Gilardon, è diventato un intreccio di nuove strade, piazzali, murazzi in cemento alti fino a 8 metri. Alcune di queste strade corrono parallele, vicinissime ad altre preesistenti, larghe fino a 12 metri. Si sono abbattuti migliaia di alberi secolari in zone già sconvolte dalla tempesta Vaia e cancellate aree umide per far posto a inutili parcheggi. In meno di due anni l’intera montagna ha cambiato volto anche in alta quota, per fare posto alle opere contro il pericolo valanghe sulle piste. Inoltre si sono incisi i boschi verso le 5 Torri per una nuova seggiovia e relativa pista nera, impressionante, destinata a ospitare gli allenamenti degli atleti, ma che risulterà strategica a successivi collegamenti verso Superski Dolomiti.
Sostenibilità e certificazioni internazionali in realtà sono operazioni di “smacchiatura”. Le opere di compensazione, riguardanti il minor uso possibile della plastica, il riciclo dei rifiuti al 70% (nelle aree virtuose del nostro paese da anni si viaggia su percentuali vicine all’85%), hanno avuto un solo risultato: compensare la produzione di CO2 dovuta all’appuntamento sportivo. Per fare questo non si è stati però capaci di investire sul territorio ampezzano: 6.000 alberi saranno piantumati invece sull’altopiano di Asiago (più del 50% destinati a morte certa) e altri interventi di recupero della CO2 emessa riguardano opere di allevamento dei pesci sulla laguna veneziana! A Cortina ci si accontenta si vendere fumo (CO2), all’opinione pubblica e sportiva.
Il territorio inesistente
In un recente documento le associazioni ambientaliste hanno spiegato come il termine sostenibilità possa essere inteso in due modi, fra loro incompatibili: senza considerare il territorio, o con il territorio, in senso ampio, anche culturale.
Nel primo caso, si possono fare i bilanci ambientali come li propone la Fondazione Cortina 2021: un albero vale un albero, si può emettere CO2 in montagna purché se ne intrappoli altrettanta in sedimenti sotto una laguna, entrambe azioni virtuose.
È il principio del mercato dei diritti emissivi, che compra e vende diritti di inquinamento senza cessare di inquinare il territorio in cui risiede. I più forti mettono altri, anche molto lontano, a servizio delle loro arbitrarie libertà. Un concetto di economia in cui si fanno solo somme e differenze di quantità e “uno vale uno”, sempre e comunque.
Chi invece intende la sostenibilità con attenzione al territorio considera le comunità e i sistemi che ne risultano (socio-economici, ecologici, meteo-climatici) nella loro unicità e peculiarità. Ogni territorio è diverso e prezioso e una valutazione richiede attenzione sulla misura degli interventi e dei loro effetti diretti, indiretti e cumulativi. In breve, la sostenibilità che non tiene conto del territorio è facilmente misurabile, ma è inconsistente, esteriore, una contabilità cartacea calcolabile meccanicamente e per parti separate, mentre quella con il territorio è strutturale, di provenienza storica e di misurata proiezione al futuro.
In questi giorni assistiamo alle gare mondiali: è bene seguirle avendo presenti alcune fotografie di queste pagine. Oggi le ferite imposte alla montagna sono coperte dalle abbondanti nevicate. Ma non appena la primavera riesploderà, chiunque potrà verificare sul territorio quali costi ambientali e paesaggistici simili eventi lascino sulle Alpi.
Ma almeno sul piano economico qualcosa rimarrà ai residenti di Cortina? Senza dubbio un municipio indebitato per anni. Ma anche una cittadina che vive di mito e che dovrà riprendere percorsi di sobrietà nel ridefinire l’ospitalità da offrire, recuperare un patrimonio edilizio degradato, ridare significato culturale e identitario alle splendide montagne che la sovrastano, umiliate da interventi tanto invasivi. Rimarranno i costi insostenibili negli alberghi (in un anno +110% il soggiorno), che dovranno recuperare, anche causa Covid, un inverno devastante, come saranno insostenibili i costi di gestione delle strutture ristrutturate.
Rimarrà una vallata privata, ormai da decenni, di servizi sociali essenziali come l’assistenza sanitaria e agli anziani, la formazione scolastica e professionale, con conseguente fuga delle giovani generazioni. Se poteva avere un senso per questo territorio ospitare i campionati del mondo e le successive Olimpiadi invernali del 2026, questi erano i settori sui quali investire. Mai citati, in nessun programma di sviluppo del territorio.
La riforma contestata
Fra i temi che hanno mantenuto alta la tensione nella compagine governativa nazionale c’è la legge di riforma dello sport voluta dal ministro 5Stelle Vincenzo Spadafora (già presidente nazionale di UNICEF) e osteggiata da Italia dei Valori e dalle opposizioni. Ritenuta questione marginale, non è stata utilizzata sui media come argomento di scontro. Ma è una riforma da tempo attesa.
I rapporti fra CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e governo sono sul punto di rottura, una vera guerra. CONI e CIO pretendono di mantenere l’attuale totale autonomia: la legge Spadafora priverebbe invece il presidente del CONI Giovanni Malagò di poteri e personale trasferendoli a “Sport e Salute”, società per azioni del Ministero delle Finanze. A detta del CIO (un organismo chiuso, costituito da uomini d’affari, militari e burocrati), questo esautoramento viola il principio base della Carta olimpica che impone l’indipendenza dello sport dalla politica.
Da Losanna, sede del CIO, è arrivato un vero ultimatum, quasi un ricatto. L’ ingerenza dello Stato comprometterebbe gravemente i preparativi della squadra azzurra per i Giochi olimpici di Tokyo 2021 e quelli invernali di Pechino 2022, poiché l’Italia rischia (punto i 59.1.4 della Carta olimpica) la sospensione del CONI con conseguenze dirette sugli atleti, come il divieto di usare l’inno nazionale e la bandiera. Al momento, per ben altri motivi meno venali, il comitato olimpico ha sanzionato solo Russia e Bielorussia, due paesi nei quali la violazione dei diritti umani è quotidiana.
Malagò è arrivato a rifiutare un tentativo di mediazione in Senato sostenuto dal Presidente di Sport & Salute Vito Cozzoli. che proponeva di concedere al CONI la gestione diretta dei dipendenti e dei presìdi organizzativi, così da rendere superfluo l’intervento legislativo. Padronale la risposta di Malagò: “Affermazioni improvvide e ingiustificabili”. In pratica si vuole mantenere l’autonomia totale senza nulla dovere alla componente politica, se non l’onere di finanziare ogni capriccio del CONI.
Dal quale, peraltro, gli italiani stanno ancora attendendo trasparenza sul fenomeno doping, una attività illecita ignorata per anni dai vertici sportivi: nel 2014 l’Italia era la seconda nazione al mondo con casi di atleti squalificati per doping, solo alcuni medici, i più esposti, hanno pagato, mentre compiacenze, sostegni diretti e indiretti, diffusione del malcostume in troppi sport, sono stati finora occultati. Probabilmente la riforma proposta dal governo trova ottime ragioni, corporative e personali per essere tanto osteggiata. Da decenni intanto i veri sportivi aspettano la riforma del CIO e dei suoi referenti internazionali e locali: una oligarchia di potere, come detto, inaccessibile e inattaccabile.