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QT n. 6, giugno 2019 Servizi

A27 e A31: autostrade parallele

Ovunque governi, la Lega è sponsor del cemento

Matteo Salvini e Luca Zaia

In Autobrennero ormai da tempo ci si confronta sui temi dell’inquinamento, della necessità di limitare i transiti del traffico privato e delle merci e si individuano delle soluzioni. Non solo, ci si sta preparando alla mobilità di un futuro, vicinissimo, cinque-dieci anni. Il nostro modo di muoverci sul territorio cambierà radicalmente con la diffusione delle auto senza pilota, della mobilità elettrica. È anche immaginabile, se non già sicuro, che abbandoneremo la proprietà di quella seconda casa che ci ha accompagnati per diversi decenni, l’automobile.

Mentre in Europa si discute su temi simili, in Italia siamo ancora costretti a confrontarci su progetti vecchi di cinquant’anni: nuovi corridoi autostradali, ulteriore cemento, gallerie infinite. In Trentino come nel Veneto, guarda caso in ambiti governati dalla Lega.

A sostegno del prolungamento della A31 verso Rovereto o Besenello ci sono i soliti potentati dello sviluppo distruttivo: Confindustria, Associazione artigiani, Camera del commercio. Organismi sindacali che faticano a confrontarsi con l’innovazione e soprattutto incapaci di proporre una visione del vivere e del lavorare proiettata su tempi medi e lunghi. Stesso schieramento troviamo in Veneto nel sostegno del prolungamento della A27, l’autostrada che dovrebbe sfregiare il Cadore.

Sergio Costa

In Veneto, però, la Lega si trova ad affrontare una recente difficoltà imprevista. Come già accaduto nel prolungamento della A31 verso Sud (Rovigo), la magistratura si sta interessando della Pedemontana veneta, una superstrada che taglia quella regione in modo orizzontale. Grazie a denunce di cittadini (come era avvenuto per la A31), sembra che in Veneto rientri nella normalità delle cose utilizzare questi nuovi tratti stradali come mezzo per riciclare rifiuti speciali. Residui di fonderie nella A31 e ora un po’ di tutto, mescolando alla ghiaia e agli asfalti dei materiali inerti e ogni cosa abbia costi per lo smaltimento in discarica. Zaia e Salvini se la sono presa con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, dei Cinque Stelle, accusandolo di “vedere malaffare ovunque” e confermando la miope politica leghista secondo cui “le opere fanno bene alla salute”.

Protagonisti delle denunce, come abbiamo detto, sono i cittadini, che vogliono sapere cosa esce dalla montagna, da dove vengono i materiali imposti nei viadotti, cosa si sprigiona nelle esplosioni notturne (visto che operai e residenti si ritrovano con occhi e gole che bruciano), perché le acque dei torrenti si trovino “imbrattate” per decine di chilometri. Il ministro Costa c’entra poco; certo, tutela la salute dei cittadini girando le informazioni che gli arrivano alla magistratura, al nucleo ambientale dei carabinieri del Noe: ma il blocco dei lavori su queste opere ha come origine solo ordinanze della giustizia.

Ma ritorniamo a noi. È risaputo che il prolungamento della A31, qualora realizzato, non risolverà alcun problema di traffico fra Veneto e nord Europa. Infatti non viene reso noto alcuno studio nel merito. Contribuirà invece a consolidare criticità di traffico già presenti in Autobrennero e disincentiverà, anche se in piccola parte, il trasporto merci su ferrovia. Risulterà invece indispensabile alla Serenissima per ottenere senza gara una nuova lunghissima concessione nella gestione della A4, nel tratto Padova-Brescia, quello più redditizio e più trafficato d’Italia.

Herbert Dorfmann

Per la A27 il discorso è più complicato. L’Alto Adige mantiene l’opposizione a far passare il prolungamento in valle Pusteria. Ma Herbert Dorfmann, europarlamentare della SVP, durante la campagna elettorale in Veneto si è detto possibilista in merito al prolungamento verso il Comelico e Lienz. Purché non si tocchi la sua terra, poco si cura dei temi ambientali, come nello stile e nella cultura politica del suo partito.

In Veneto lavora alacremente a favore della autostrada un comitato, “Vivaio Dolomiti”, sostenuto fra gli altri dal primo segretario della Fondazione Dolomiti UNESCO (allontanato con poca gloria), l’architetto Giovanni Campeol.

Questi è stato nominato dalla Regione Veneto come suo rappresentante nel progetto della macroregione alpina, EUSALP, ora guidata dalla presidenza italiana in Lombardia. Il suo unico tema nelle diverse sedute programmatiche riguarda il prolungamento della A27. Essendo stato sbugiardato nel 2017 dal Parlamento europeo con lo sbocco verso la Val Pusteria, ha inventato una nuova tipologia di autostrada, quella regionale. A suo dire l’A27 dovrebbe fermarsi a Lienz passando per la conca del Comelico.

Giovanni Campeol

Non è che Campeol trovi grandi entusiasmi in EUSALP, viene sopportato perché rappresenta una regione alpina strategica. Ma riesce comunque a far perdere tempo e ad inserirsi con la sua proposta, priva di un qualunque valore strategico nella mobilità fra la pianura padana e il centro Europa. Anche in questi giorni si è ritagliato un angolo di palcoscenico nella assise sulla mobilità che si sta tenendo a Verona. Le sue invenzioni sembrano proprio innovative, almeno sotto il profilo lessicale “autostrada regionale”, “autostrada tecnologica” (perché vi si farebbe scorrere sotto l’asfalto la banda larga) e sbocco verso i Land austriaci, dallo stesso definiti marginali sotto il profilo economico, a dispetto del fatto che Ost Tirol e Carinzia siano inseriti fra le dieci zone più sviluppate delle Alpi).

Anche se questi progetti non hanno alcuna possibilità di trovare realizzazione, riescono tuttavia a imporre all’ente pubblico uno sperpero di denaro con delle progettazioni costosissime (quali studi professionali saranno protagonisti dei progetti?), impegnano comitati e associazioni nel contrastare l’avanzare politico delle idee, mantengono le associazioni imprenditoriali ancorate alla storia del passato invece di seguire gli studi e le prospettive aperte da Autobrennero e dall’Unione Europea.

Anche in questo campo, dal Veneto al Trentino per passare alla Lombardia (Pedemontana), ovunque governi la Lega ci si incontra con la cultura dello sviluppo conservatore, che affonda le sue radici nei bisogni sociali degli anni ‘60 e ‘70. In tutti e tre gli ambiti regionali vi è un altro passaggio che “lega” questa politica di misero profilo: l’inchino ai grandi poteri e il disprezzo verso il valore del territorio e la salute dei cittadini.