Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

“Amundsen”

di Espen Sandberg. Troppa carne al fuoco.

“Amundsen”

Ha aperto l’edizione di quest’anno del Trento Film Festival “Amundsen”, kolossal norvegese sul grande esploratore, il primo a raggiungere il Polo Sud e, in dirigibile, il Polo Nord.

Realizzato con grande dispendio di mezzi – finanziari ma anche culturali, vedi le ricerche su molteplici materiali d’archivio - per ricordare uno dei simboli della Norvegia, il film non cade nella celebrazione. Anzi: dell’esploratore vengono indagate le asperità del carattere, la tenue consapevolezza del valore del denaro, l’urticante ruvidità nei rapporti familiari. Un uomo rude dunque: nell’esercitare la leadership sui compagni di avventura, come nel misurarsi con i partner (Umberto Nobile, sul cui dirigibile raggiunse il Polo Nord) o i concorrenti (Robert Scott, che battè nella corsa al Polo Sud); come pure nel misurarsi – qui più comprensibilmente – con le pretese egemoniche delle culture di riferimento dei partner-avversari: il fascismo per Nobile, l’imperialismo britannico per Scott.

Come si vede, tanta carne al fuoco, ben oltre il vigoroso tratteggio psicologico di una personalità dominante e difficile. Troppa carne al fuoco, hanno scritto i giornali norvegesi, che lamentano le troppe tematiche affrontate, purtroppo superficialmente. Concordiamo: il film va avanti per due ore senza alcuna idea guida, indugia su lunghi momenti che si vorrebbero intimisti, apre sempre nuovi temi che poi abbandona senza svilupparli adeguatamente.

“Amundsen”

Queste critiche però, pur giuste, ci sembrano ingenerose se tradotte in una stroncatura del film, come è avvenuto in patria (norvegese, è stata a Trento la prima del film fuori dai confini nazionali). “Amundsen” infatti ha comunque il merito di sollevare, attraverso una realizzazione di grande impegno e grande effetto, temi non scontati, e di tratteggiare sì una figura eroica, ma tutt’altro che convenzionale, dai fortissimi tratti in chiaro e scuro.

Per noi invece il film ha un altro limite, più evidente in una rassegna come quella trentina. Ed è il rapporto con l’esplorazione, con l’avventura, con la montagna. Tutte esperienze rappresentate in termini di sofferenze estreme, rischi mortali, dolori indicibili. Non c’è la bellezza della natura, la sensazione di immedesimarsi in essa, l’esserne pienamente parte, l’ebbrezza della scoperta del nuovo, dell’incognito, insita nell’esplorazione. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”: le poche parole di Dante spiegano l’intimo valore dell’esplorare più delle due ore del film e dei suoi effetti speciali.

In fin dei conti la primazia data alle continue sofferenze dei nostri eroi mette la sordina alla stessa bellezza degli incredibili paesaggi polari: ne ricordiamo solo due scene significative: il veliero che costeggia una lunga muraglia di ghiaccio cento metri a picco sul mare e le montagne antartiche che a un certo punto si profilano, stupende, all’orizzonte. Mi sento di scrivere quello che non si dovrebbe: i miei amici, nelle nostre gite scialpinistiche memorabili solo per noi, hanno scattato fotografie che trasmettono una immedesimazione con la natura di gran lunga più pregnante delle migliaia di fotogrammi del costoso “Amundsen”.

E questo è un punto topico del Film Festival. Il troppo spazio storicamente dato a una visione della montagna che, più che eroica, è masochista. La natura non amica e madre con cui riprendere un rapporto troppo trascurato, ma un’arcigna nemica da piegare, oppure una severissima giudice delle tue maschie capacità di resistere e soffrire.