Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

“Il coro di Babele”

Storie e domande da Babele

"Il coro di Babele"

Quello dei migranti e delle migrazioni è un tema caldo da anni, soprattutto se si parla di migrazione in entrata. C’è però tutto un intreccio di storie da raccontare riguardo ai giovani migranti occidentali che lasciano la loro terra d’origine alla volta delle grandi città d’Europa. È lo spaccato che intende portare alla luce “Il coro di Babele”, spettacolo scritto e diretto da Claudio Zappalà e interpretato da cinque giovani attori di diversa formazione e provenienza, costituitisi nella compagnia Barbe à Papa proprio grazie a questo progetto. Il lavoro è andato in scena venerdì 12 aprile al Teatro di Pergine, all’interno del Festival Bellandi, rassegna intensiva (ben 7 spettacoli in 10 giorni) con la quale ariaTeatro ha voluto dare voce al teatro contemporaneo; “Il coro di Babele” è uno dei due progetti selezionati tramite bando.

Cosa si prova quando, per scelta o per necessità di vita, si vive lontano da “casa”, magari in una grande città, in un Paese straniero in cui si parla un’altra lingua? Quali sensazioni ed emozioni vivono a questo crocevia i giovani migranti occidentali? Cosa lasciano dietro di sé, cosa trovano davanti? Cosa significa per loro casa, vita, qualità della vita? Quali sono le loro priorità, quali compromessi sono disposti ad accettare, quali scelte sono pronti a compiere per cercare la loro propria felicità?

La drammaturgia di Zappalà narra di una migrazione che riguarda in pieno la generazione dei ventenni/trentenni di oggi. Attualmente – come ci ricorda lo spettacolo – sono quasi cinque milioni gli italiani che hanno deciso di trasferire la loro residenza all’estero, senza contare tutti i giovani che, sfuggendo alle statistiche ufficiali, cercano fortuna a Londra, Parigi, Berlino, e in moltissime altre città d’Europa e del mondo. Mete tutte racchiuse – o, meglio, confuse – in un’unica grande metropoli cosmopolita: Babele, la città simbolo di tutte le migrazioni. Alcuni restano, altri tornano, altri ancora continuano a errare (nel senso sia di “camminare”, “vagare”, sia di “sbagliare”) alla ricerca di una nuova terra da poter chiamare casa.

La scena è vuota, con pochi oggetti essenziali ed evocativi: una valigia, simbolo del viaggio e dell’assunzione di responsabilità, colorata con un collage di cartoline delle capitali europee, di Pechino, di New York; cinque paia di scarpe, emblema del cammino.

Chiara Buzzone, Federica D’Amore, Totò Galati, Roberta Giordano e Pierre Jacquemin vi si calano con le storie dei loro coetanei, con le loro voci e i loro corpi sincronizzati in un ritmo sostenuto, con sincerità, ironia e partecipazione, con la loro freschezza, spigliatezza ed energia.

Un coro di più voci che si alternano in monologhi, controscene, scene corali che fanno emergere l’ambivalente condizione dei giovani migranti. Un misto di sogni e paure, di speranze legate alle immense attrattive e alle infinite possibilità che Babele offre (già nel Settecento Samuel Johnson scriveva che “Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire”), ma anche di disagio per una vita caotica e sempre di corsa, per la difficoltà di tessere relazioni di qualità, di avere uno spazio proprio, di gestire il tempo, per la nostalgia di casa e l’illusione di indipendenza.

Come diverse storie si intrecciano in un’unica grande storia, così ogni singolo attore mette le proprie capacità al servizio di un coeso e affiatato coro di voci e anime.

C’è narrazione, ma anche molto movimento; una voglia, attraverso la grammatica teatrale (la schiera, il cerchio, la scacchiera, il triangolo), di comunicare con tutta l’energia che si ha in corpo, comune anche ad altre giovani compagnie (viene da ripensare, ad esempio, ad “Atti di guerra” dei Guinea Pigs). Una sana irruenza giovanile che il regista Claudio Zappalà è bravo a guidare verso un esito fresco ma mai eccessivo.

Due sono gli elementi che più rimangono impressi de “Il coro di Babele”: primo, la freschezza e l’energia degli attori; secondo, l’attualità della tematica e la modalità con la quale viene comunicata.

Usciti dal teatro, nell’immediato si ha ancora in testa la performance senza cedimenti degli interpreti, e ci si augura che questa prima prova abbia presto un seguito. Svanito questo ricordo, dello spettacolo rimangono le domande lasciate volutamente aperte: cos’è “casa”? Partire o restare? Rimanere nella comfort zone o tentare la strada nuova? Le soluzioni spettano alla coscienza di ciascuna persona..

Parole chiave:

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.