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Trump ha gettato la maschera

Dall’“Olocausto Silenzioso” dell’Irak agli odierni crimini contro l’umanità in Medio Oriente

Donald Trump

Da un lato, la durissima politica di sanzioni attuate dagli USA contro l’Irak di Saddam dagli anni ‘90; poi le trentennali sanzioni a carico dell’Iran sospese con l’accordo nucleare del 2015 e reintrodotte unilateralmente da Trump nel 2018; e ancora, la minaccia di strangolamento economico del Venezuela di Maduro. Dall’altro, la politica di pesanti sanzioni economico-finanziarie alla Russia di Putin, l’elevazione di dazi inusitati sui prodotti dell’industria cinese e l’ostracismo a Huawei, con l’Europa che si accoda sotto la spada di Damocle di dazi minacciati sulle auto europee.

La politica estera americana con l’avvento di Trump ha gettato la maschera attraverso due azioni che sovvertono il tradizionale approccio soft delle amministrazioni precedenti nel perseguimento degli interessi nazionali: 1. Aperta guerra economico-finanziaria alla Cina e alla Russia, con coinvolgimento “obbligato” degli europei; 2. Strangolamento dei nemici e “stati canaglia” di volta in volta individuati (ieri l’Irak di Saddam, oggi l’Iran di Khamenei, con la Corea del Nord in bilico tra i buoni e i cattivi e il Venezuela di Maduro new entry tra i cattivi)

Cominciamo dal primo punto. Gli USA da tempo sanno che la loro potenza economico-finanziaria e tecnologica (reti informatiche, in primis) consente di fare la guerra con mezzi non-militari e con effetti devastanti sui “nemici” presi di mira. Sia pure con diverse motivazioni, Russia e Cina sono oggi sotto tiro. La Cina, potenza crescente e ormai in piena espansione a livello planetario (in Africa e persino in America Latina), deve essere contenuta, frenata con ogni mezzo, imponendo agli alleati europei scelte drastiche: o con noi o contro di noi.

Gli osservatori più pessimisti, che sostengono la validità della cosiddetta “trappola di Tucidide”, paventano una corsa al riarmo nucleare delle due superpotenze ormai inarrestabile, in vista di un probabile scontro militare tra quella crescente, ossia la Cina, e quella declinante, ossia gli Stati Uniti, che avrebbero ormai pochissimi anni di vantaggio militare-tecnologico da sfruttare a proprio favore. I più ottimisti pensano che lo scontro si svilupperà invece essenzialmente attraverso le armi della guerra economico-commerciale. E i dazi recenti, il bando a Huawei e la lotta per la supremazia tecnologica nelle nuove frontiere della Intelligenza Artificiale e delle comunicazioni a 5G, ne sono solo l’avvisaglia.

La Russia, viceversa, sta subendo da decenni un manifesto accerchiamento: dopo la fine del comunismo, a uno a uno gli stati dell’Europa orientale sono entrati nella NATO allineandosi agli interessi americani. Ma quando gli USA si sono spinti fin nel ventre molle dell’ex-impero sovietico, ossia l’Ucraina, la reazione russa è stata determinata: contrasto anche militare alla dirigenza ucraina filoamericana e sua punizione con l’occupazione della Crimea che veniva riassorbita nella santa madre Russia.

Quale occasione migliore per gli USA per lanciare, in nome della libertà e della lotta a tanto sopruso, un programma di pesantissime sanzioni che, inevitabilmente, ha colpito le aziende esportatrici europee, non certo le americane che con la Russia di Putin non facevano molti affari? E quale migliore strumento per bloccare quello che agli USA appariva un pericoloso avvicinamento tra Russia e Europa a trazione tedesca, capace in prospettiva di dar luce a un blocco in grado di sfidare la supremazia americana sull’Occidente?

I cattivi

Riguardo il secondo punto, si dirà, nulla di nuovo. Una politica delle sanzioni è cosa vecchia, persino l’Italia di Mussolini la conobbe a suo tempo. Ma la novità c’è. Prima gli USA si servivano della foglia di fico della “difesa dei diritti umani” e dell’ONU, chiamato di volta in volta a legittimare questo tipo di azioni. Quel che si è visto con l’Iran stravolge però il quadro.

Gli USA, come sopra ricordato, si sono ritirati dall’accordo 5+1 del 2015 con l’Iran, ossia siglato col paese degli ayatollah dalle cinque potenze con diritto di veto all’ONU più la Germania, nonostante queste ultime sulla base di verifiche ONU avessero certificato il pieno rispetto dell’accordo da parte iraniana. Dopo di che, senza indugio, gli Stati Uniti hanno dato inizio a sanzioni unilaterali, in barba all’accordo depositato presso il Consiglio di Sicurezza, e - ulteriore abnormità su cui vale la pena di riflettere - hanno minacciato di sanzionare le aziende di tutto il mondo che volessero continuare a commerciare con gli iraniani. E con grande successo, perché gli americani controllano alcuni gangli vitali del commercio, del sistema dei pagamenti internazionali e delle comunicazioni (dai satelliti a Internet) sicché, per fare un esempio concreto, l’azienda europea che non si attenesse al diktat americano non potrebbe più avere accesso al mercato USA, né fare pagamenti telematici attraverso le banche e via dicendo.

L’abnormità dicevamo, dal punto di vista del diritto internazionale, della situazione che si è venuta a creare è sotto gli occhi di tutti. Un solo paese, in virtù della sua forza, impone il proprio diritto a tutti gli altri. È un rovesciamento totale dei principi giuridici che, tradotto con una nota formula, sostituisce alla forza del diritto il diritto della forza. Nulla di questa abnormità è emerso nei tg nazionali, e in particolare di un paese, il nostro, che a ragione si fregiava del titolo di “patria del diritto”; ma, a onor del vero, i tg degli altri paesi (o sarebbe più esatto dire delle altre provincie europee dell’Impero americano) non hanno fatto di meglio. La latitanza su questi temi degli organi d’informazione, la manifesta selezione delle notizie in funzione del padrone del vapore d’oltreoceano, non sono certo compensati dalle informazioni alternative pur presenti in rete, ma che non arrivano sulla tv degli italiani seduti a tavola.

La cattiva coscienza dell’Europa

L’Europa, in particolare i tre paesi europei del 5+1 (Germania, Francia e Regno Unito), ha tentato di aggirare il diktat americano con la creazione di uno speciale “veicolo finanziario” (SPV, Special Purpose Vehicle) che permettesse di continuare a commerciare con l’Iran, con ciò suscitando le ire di Trump. Il quale, alla fine, ha convinto Merkel e soci a limitare l’operatività di questo “veicolo finanziario” al solo commercio di beni essenziali, alimentari e medicinali. Ebbene, a tutt’oggi, neppure in questa versione ridotta, il “veicolo finanziario” suddetto ha potuto iniziare a operare.

In questa preoccupazione europea di mantenere in vita il commercio con l’Iran, almeno a livello di rifornimenti umanitari, c’è forse un ricordo preciso, che pesa ancora sulla coscienza dell’Occidente e che purtroppo è stato da tempo rimosso. Si tratta del terribile olocausto silenzioso di oltre 500.000 bambini irakeni all’epoca delle sanzioni americane (col beneplacito dell’ONU) contro l’Irak di Saddam. Lesley Stahl, corrispondente della rete televisiva americana CBS, a proposito delle sanzioni americane contro l’Irak, aveva affermato: “Abbiamo saputo che sono morti mezzo milione di bambini, più di quanti ne uccise la bomba di Hiroshima. Valeva la pena far pagare un simile prezzo?”. Madeleine Albright, segretario di Stato dell’allora presidente Clinton, lapidariamente commentò: “Credo che sia stata una scelta molto difficile, ma quanto al prezzo, pensiamo che ne valesse la pena” (fonte: il programma tv “60 minutes” 12.5.1996).

Pare che la ineffabile Albright non avesse neppure negato il dato fornito da Stahl, che peraltro aveva citato per difetto una cifra del rapporto presentato dalla FAO (agenzia ONU per l’agricoltura e l’alimentazione) nel 1995 secondo il quale 567.000 bambini iracheni sotto i cinque anni erano morti per penuria di cure e medicinali a causa delle sanzioni. Un lungo olocausto silenzioso, che si dipana dall’Irak di Saddam degli anni ‘90 fino alla Siria e lo Yemen di oggi, martoriati senza pietà e svuotati di milioni di rifugiati.

Potremmo chiederci: ci sarà mai una Norimberga 2 per i responsabili di questo sterminio continuato? A Norimberga si processarono i tedeschi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma questo genere di processi si fanno sempre e soltanto contro i vinti?

Tentiamo, per concludere, di vedere il nesso tra le sanzioni a Russia e lo strangolamento degli stati-canaglia di oggi. Iran, Siria e Yemen, sono paesi che in varia misura si sono avvicinati alla Russia di Putin, la quale, in Medio Oriente, persegue certamente i suoi scopi di superpotenza.

La Siria ha offerto alla Russia i suoi porti nel Mediterraneo in cambio di difesa e aiuti alla ricostruzione; e l’Iran da tempo vagheggia la costruzione di un lungo gasdotto che colleghi al Mediterraneo, attraverso Irak e Siria, alcuni suoi giacimenti, tra i più grandi al mondo, e inoltre usa per le sue centrali tecnologia nucleare russa. Tanto è bastato per giustificare, secondo certi osservatori, la devastazione di Irak e Siria di questi anni con la guerra per procura dei vari ISIS, al-Nusra e al-Qa’ida, e per spiegare la reazione di due attori regionali fermamente decisi a bloccare l’espansione degli iraniani: Arabia Saudita e Israele.

Entrambi questi paesi non a caso sono stati tra i solerti organizzatori della recente Conferenza di Varsavia, in cui gli USA e i loro fedeli alleati dei Balcani, ex sudditi dell’URSS, hanno tentato di legittimare la guerra senza quartiere ad Assad e al suo alleato iraniano. Successivamente il principe saudita Bin Salman, socio d’affari di lunga data della famiglia Trump e noto difensore dei diritti civili, ha fatto il giro delle capitali asiatiche, in particolare di Pakistan, India e Cina, per proporre accordi miliardari a quei paesi che commerciano ancora liberamente con l’Iran.

Che dire? Le vie della diplomazia (e del dio Denaro) sono infinite. Quelle della pace e della giustizia, si fatica ancora a intravederle.