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QT n. 3, marzo 2019 Servizi

Artisti in prestito

Un’intervista impossibile a Dosso Dossi, che nel 1531 il Duca di Ferrara mandò “in prestito” al Cardinale di Trento

“Fu il Dosso molto amato dal duca Alfonso di Ferrara, prima per le sue qualità nell’arte della pittura, e poi per essere uomo affabile molto e piacevole: della qual maniera d’uomini molto si dilettava quel duca”.

(Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, scultori e pittori italiani, 1568)

Sala Grande , fregio dei Dossi , particolare
Dosso Dossi,finta statua mutila. Stua de la famea.
Dosso Dossi,  Mercurio, Andito al Magno Palazzo
Romanino, Mercurio, “Revolto” sotto la Loggia
Un soldato a  colloquio con una prostituta. “Revolto” sotto la Loggia.
Dosso Dossi, Autoritratto. Firenze, Uffizi

Protagonista di questa fantasia è il pittore Dosso Dossi che, con la collaborazione del fratello Battista, decorò venti ambienti nel Castello del Buonconsiglio fra il 1531 e il 1532. Erano gli anni in cui vi lavoravano anche il Romanino e il Fogolino.

Il testo è un’”intervista impossibile” sul modello di quelle fatte a grandi personaggi della storia da scrittori come Eco, Arbasino, Ceronetti, Calvino sulla metà degli anni ‘70 e trasmesse alla radio. Sono state raccolte e pubblicate in volume con il titolo “Le interviste impossibili”. Un’intervista impossibile, ma verosimile. Al cardinale di Trento il Dosso venne concesso, diremmo “in prestito”, per circa un anno dal suo principale committente, il duca di Ferrara, che però era impaziente di riaverlo con sè per nuovi lavori.

Il dialogo fra l’intervistatore e il pittore si svolge lungo la ripida scala che scende dalla Sala Grande alla Loggia del Romanino, con Dosso che è agitato, di fretta, e il giornalista che lo trattiene per farlo parlare.

Maestro Dosso, perdonatemi, vorrei parlarvi, anche se mi sembrate molto di fretta ed inquieto…

Per la verità questa è una giornata particolare per me, la peggiore da quando, l’anno passato - era l’estate del 1531- venni da Ferrara a Trento.

E perché mai?

Ho appena ricevuto una lettera del duca che mi ordina di tornare a Ferrara senza indugio.

Il duca?

Lattanzio Gambara (?), Ritratto di Girolamo Romanino. Budapest, Museo di Belle Arti

Sì, l’illustre Alfonso d’Este, mio protettore e gran mecenate… ma a questo punto dovrei chiamarlo solo “mio padrone”! Ma voi chi siete, come osate trattenermi, che volete da me?

Sono un intervistatore.

Che cosa siete?

Sì, faccio interviste; sono uno di quelli che inseguono le persone importanti - o ritenute tali specie dal volgo - cercando di mettere il naso nei loro affari, di carpirne qualche confidenza, qualche segreto e che poi fanno sapere a tutti, urbi et orbi, quel che hanno raccolto… in genere senza riguardo nei confronti della verità.

Se è così, codesti intervistatori son da fuggire più che la peste e il mal franzese!

No, maestro, no, vi prego! Io non sono come tanti altri… prometto di esser onesto con voi… e sincero!

A questo patto, ditemi: che volete saper da me?

Avete fatto cenno a una certa lettera del duca d’Este che, lo si vede bene, tanto vi turba… e già questa è una notizia che, in quanto tale, non può rimaner segreta: il pubblico ha il diritto di sapere!

Un anno fa o poco più, era la primavera del 1531, il duca volle compiacere alla richiesta del cardinal di Trento di aver me, mio fratello Battista e tutta la bottega qui nel suo castello, per opere di pittura assai considerevoli. Ho ancora qui la lettera del cardinale al duca: “Essendome di bisogno in alchune mie occurrentie el servitio et l’opera de maestro dosso pictore, né possendomi prevalere di lui senza licentia di Vostra Eccellenza, mi è necessario ricorrere da quella et supplicarla si voglia degnare concedermi el predito maestro Dosso per qualche giorno, promettendoli ad ogni sua requisitione liberarlo del servitio mio, anchora che restasse l’opera imperfetta: il che mi serà di grande contento et ne restarò obligato a Vostra Eccellenza…”.

Insomma voi sareste un artista “in prestito”, qui a Trento…

Ma come potete! I pittori di corte son forse cose che si prestano per un po’ di tempo, per quel che serve, e di cui poi si reclama la restituzione, come fossero sacchi di fiorini o di ducati?

Maestro, non volevo certo offendervi! Perdonate. Sappiamo bene che si usa, nelle corti, inviare gli artisti presso altri Signori, marchesi, duchi, monarchi, persino al papa, per ragioni di diplomazia, per far mostra di magnanimità, per calcolo politico, per compiacere i grandi…

Quanto andate dicendo posso confermarlo, certo, sono anch’io uomo di mondo; però, di grazia, non parlate mai più di artisti in prestito, perché il modo assai m’offende!

Vorrei tornare al punto, a quella lettera; che vi si legge?

Eh, già lo sapete! Vi sta scritto che debbo tornare a Ferrara perché il tempo del prestito di me e della bottega è ormai scaduto… pardon… la benevolenza del duca verso il cardinal di Trento non può protrarsi oltre in merito alla concessione della mia stimata e desiderata opera di pittore. E così sono finito fra l’incudine e il martello: tra il cardinal Cles che mi ha voluto qui nella sua dimora, mi tratta con ogni riguardo, mi ha affidato tutto il lavoro possibile nel gran palazzo costruito accanto al Castello Vecchio con grande impiego di denari e che da quando sono al suo servizio quasi ogni giorno chiede, nelle sue lettere, il mio giudizio ed i miei consigli sul da farsi in sì gran fabbrica…

Nelle sue lettere, dite ?

Sì, nelle sue lettere… ma questo, se proprio volete, lo spiegherò più avanti. Insomma, se l’incudine è il cardinale, il mio martello è il duca, con la sua smania di voler terminate in gran fretta le sue fabbriche… di pretendere dipinti un dopo l’altro per sé e per farne dono al papa, ai Signori di Mantova. Insomma vuole i suoi artisti e letterati e indovini e medici e nani e buffoni sempre intorno a sé e passa con loro quasi tutto il tempo libero dagli affari di governo che lo premono assai di questi tempi calamitosi per l’Italia.

Comprendo bene il vostro stato d’animo e l’umor nero: obbedendo al duca potreste scontentare il gran cardinale, Supremo Cancelliere di re Ferdinando d’Austria e consigliere fidatissimo dell’imperatore…

Ma non vi è altra via! Assai mi duole però dover lasciare a Trento la mia opera di pittura imperfetta!

E non potete lasciare qualcuno della bottega?

A questo punto rimarrà Battista, mio fratello, che lavorerà secondo i miei disegni, ma sarà di necessità per poco tempo.

Ma cosa rimane ancor da fare? A me il Castello pare ormai tutto ornato in modo conveniente…

Eh, no! Altri fregi ancor vuole il cardinale, e ovunque stemmi di Casa de Cles, di principe, di cardinale, di vescovo, mitre, cappelli rossi, emblemi, aquile, leoni, le sette verghe in fascio, fronde d’alloro e palma… ovunque le vuole, e non ne ha mai abbastanza… E poi la Sala Grande!

Cosa manca alla Sala Grande? Ha un gran soffitto di legno ad intaglio ornato di bianco, azzurro ed oro, splendente come il cielo… un bel camino di marmo…

Il friso! Il friso!

Cosa intendete?

Intendo il fregio, quel gran fregio a fresco sotto il soffitto che deve cingere tutta la Sala e donarle gran maestà…il cardinale lo vuole prima della mia partenza. Pochi giorni orsono ha scritto, irato, in una lettera al soprastante Andrea Crivelli: Similmente del friso de la sala grande, per contento nostro vorressemo che già el se li fusse dato bon principio; il che se li haveria possuto fare, se et ti et li altri nostri havessero usato la diligentia sua...”. (1)

E come pensate di poter dare soddisfazione al principe?

Lo farà Battista, s’intende secondo i disegni e i cartoni miei, che proprio ieri ho terminato.

Anche questa è una notizia! Ci potete anticipare come riuscirà il lavoro?

Non è mio costume mostrare i disegni ad altri prima che l’opera sia compiuta.

Ma, maestro Dosso… cercate di comprendere! Per noi intervistatori è prezioso tutto ciò che fa notizia! Qualcosa potrete pur confidare… far sapere come intendete rendere onore e gloria al principe vescovo di Trento in questa sala, la più maestosa del Castello!

Vi si vedrà un’invenzione mai vista di bambini in gioco con leoni e aquile, di gran divertimento e spiritosa assai… ma altro dir non voglio.

Diteci almeno come avete passato quest’ anno a Trento… a proposito, che uomo è il principe?

Tarchiato, di complessione flemmatica, di poche parole, si muove con lentezza, ma rapidissimo è il moto degli occhi e ancor più il volger del suo pensiero: prima che apra bocca sovente accade comprenda già l’animo di chi gli parla! A dire il vero solo due volte l’ho incontrato perché da Trento è sempre lontano, percorre quasi senza sosta le terre teutoniche a settentrione delle Alpi, al servizio del re Ferdinando e di Carlo imperatore. Per questo corrisponde con lettere con i suoi soprastanti e con gli artisti… ed è la disperazione di tutti… anche di altri pittori che mi sono compagni in questa gran fabbrica, soprattutto di maestro Girolamo bresciano.

Intendete Girolamo di Romano, detto il Romanino?

Sì, proprio lui.

Non ne parlate con entusiasmo, mi pare.

È un solitario… a me rivolge di rado la parola; ma non è certo una mala persona, è così la natura sua.

Ma come pittore, come lo giudicate?

Non sono solito dare giudizi sui colleghi, soprattutto, come in questo caso, quando mi ritrovo insieme a loro al servizio del medesimo Signore …e padrone.

Ma non si tratta di giudicare l’uomo, maestro Dosso, si parla solo della sua arte!

La sua arte… la sua arte. Nella pittura a fresco è impareggiabile. Basta vedere come ha compiuto la gran Loggia del cortile, qui al piano di sotto… ora sta lavorando alla scala, ma non si vede ancora nulla perché è tutta ingombrata dai palchi. È un maestro valente, ha fatto opere di pittura laudabili: ma secondo la sua maniera.

Mi par di cogliere, da parte vostra, delle riserve sulla sua arte…

Non posso nasconderlo: per un verso lo ammiro per la sua prestezza: mostra una sicurezza e una spavalderia… che lasciano senza parole. Ma proprio non sa - o non vuol sapere, dico io! - cosa sia il decoro: molte delle sue figure mancano di venustade e proporzione, come bene ha scritto il principe qualche mese fa ai soprastanti, che mi hanno subito mostrato la sua lettera, chiedendo consiglio; ma io che ci posso fare?

Certo lavora forte maestro Girolamo e qui a Trento ha reso un buon servizio al cardinale, ma a Ferrara, a Mantova, a Venezia non avrebbe fortuna la sua arte. Noi invece teniamo per maestri il dottissimo Andrea Mantegna, il dolce e morbido Correggio, il superbo Vecellio, il sommo Raffaello d’Urbino e persino il Buonarroti. Questa è la buona via della pittura: messer Ludovico, intendo l’Ariosto, nel suo Orlando Furioso al canto trentesimoterzo lo ha pur detto… laddove, o grande onore, menziona anche me e il fratello, insieme a tali artisti, come i più valenti dell’età nostra: Leonardo, Andrea Mantegna, Giambellino / duo Dossi e quel ch’a par sculpe e colora, / Michel, più che mortale, Angel divino / Bastian, Rafael, Tizian, ch’onora / non men Cador che quei Venezia e Urbino …”

Mi è stato detto che il lavoro della Loggia grande, qui in castello, il cardinale da principio l’avrebbe voluto affidare a Voi, maestro Dosso, e che poi vi avrebbe preferito il Romanino… non è stato un affronto per voi, pittore del duca di Ferrara?

(Fra sé: anche questo è venuto a sapere il ficcanaso! E chissà come!)

Vedete, ho rinunciato io alla decorazione della Loggia…non mi interessava: il cardinale, per risparmiare e far presto, si sarebbe accontentato di pochi ornati d’oro nella volta dipinta d’azzurro come un cielo, e di un fregio tutto intorno.. poca cosa insomma, non degna dell’arte mia.

E il Romanino allora?

Nel frattempo il principe cambiò parere o, meglio, glielo fece mutare, credo io, quel bresciano; taciturno e un po’ scontroso sì, ma anche abile nel persuadere il cardinale della bontà dei pensieri suoi!

Così la Loggia, che a noi pare tanto bella, alla fine fu ornata dal vostro rivale, in modo brillante, con tanta fantasia.

Ahimè sì! Quanto a fantasia però, badate bene voi, l’arte mia non è certo inferiore a quella del Romanino!

Su questo vi do volentieri ragione, maestro: basterebbe osservare cosa avete escogitato per l’ornato della Stua de la faméa: intendo quelle finte statue di marmo con le membra spezzate, ma tutte in movimento proprio come fossero vive e stessero discorrendo animosamente fra loro intessendo un’incredibile disputa marmorea…

Con sincero entusiasmo state descrivendo i miei affreschi! Certo di quel lavoro posso menar gran vanto; ma quando proposi un simile ornato al cardinale inviandogli anche molti disegni - era a Vienna a quel tempo, quando a tutti pareva prossima una nuova guerra contro il Turco - mi rispose dubbioso, secco secco come è sua consuetudine, dicendo parergli cosa nuova e poco adatta all’uso di quella sala, dove la gente di corte si raduna per il pranzo anche alla presenza del principe, quando c’è. Ma in una lettera di due settimane successiva, questa volta da Innbruck, mi disse di procedere secondo le mie intenzioni, facendomi capire che di me ancora una volta si fidava.

Ah…così andò la cosa! Questa è un’altra bella notizia, buona per i miei lettori. Ma, sentite maestro Dosso, mi è stato riferito che, finita l’opera di pittura e levati i palchi tutti rimasero sorpresi, sconcertati e molti, senza però farsi sentire dal principe, mormorando e mugugnando e brontolando, dicevano essere indecorose tutte quelle enormi figure bianche d’ uomini e donne, mutile chi di braccia, chi di gambe.

Vedo che siete ben informato …ma erano giudizi di ignoranti che avrebbero perfino voluto convincere il principe a farle emendare! A mia difesa intervenne tuttavia il medico fisico di corte, il Mattioli, che cura il cardinale dalla gotta, mal franzese e molto altro ancora, osservando, da vero uomo di lettere, pien d’amore per l’Antico, che le mie figure “dal natural son state pinte”; insomma che delle statue antiche che a Roma s’ammirano, specie quelle da poco dissepolte, non ve n’è una integra, ma son tutte rotte, spezzate, e che a tal verità occorre che il buon pittor resti fedele!

Si dice che anche i vostri affreschi nell’atrio del Magno Palazzo, davanti alla Stua de la faméa, hanno destato perplessità e pensieri ostili non di poco conto…

Pensate a cosa arrivano le persone incolte! Non volevano che immagini profane, quelle degli dei dell’Olimpo, fossero dipinte nel volto d’ingresso della parte nuova del castello, che voi chiamate Magno Palazzo (bel nome, questo… ma chi l’ inventò?). Non volevano perché, dicevano, sono troppo vicine a un luogo sacro, alla cappella e paiono occupare con intollerabile impudenza tutto quel bel passaggio che porta nel cortile! E poi quella Venere nuda, quel Plutone con un mostruoso cane a tre teste, quel Nettuno e quel Vulcano pieni di agitazione che sembrano voler uscire dalle loro lunette e quel Mercurio giovane e bellissimo, tutto nudo che sta per spiccare il volo e che a taluni potrebbe ispirar pensieri poco onesti… dicevano…Insomma proprio all’ingresso della nuova dimora di un principe della Chiesa, secondo costoro non si sarebbero dovute dipinger simili cose!

Immagino che il lavoro sarà stato approvato per tempo dal cardinale!

Fui io a proporlo e subito accettò. Gli dissi: “Vostra Signoria, questo è luoco importante assai del palazzo nuovo; tutti di qui passano e a voi convien far comprender subito chi siete: ponendo un gran cappello da cardinale sulla volta, di stucco, recato in gloria nel cielo dagli angeli, e ornando il tutto con immagini tolte dall’Antico. Sarete così al pari di altri Signori amanti dell’arte come i Gonzaga a Mantova, il duca mio di Ferrara, i Della Rovere ad Urbino, a Firenze i Medici, i cardinali a Roma…”

Secondo la maniera moderna è ornato questo luogo! E ben lo comprese il Mattioli, che anche in tal evenienza intervenne in mia difesa.

Sappiamo bene che Pietro Andrea Mattioli, il medico di corte e poeta che avete appena ricordato, molto stima la vostra opera di pittore!

Uomo di gran sapere, toscano di nascita, di Siena, fu per lungo tempo a Roma, dove vide e studiò le cose antiche, tanto in voga oggi nell’ arti belle. Ed ora da qualche anno è a Trento. In tutto questo ha assecondato i desideri del principe e gli è stato buon consigliere. Per me ha avuto parole di lode tanto alte da pormi in imbarazzo: levati i ponti nella sala della biblioteca, dove ho dipinto il soffitto e le pareti, mi ha paragonato… non oso dirlo … al divino Michelangelo! E alle opere sue di pittura nella gran cappella del papa in Vaticano e al sommo Raffaello e all’opera sua nella villa d’ Agostino Chigi a Roma:

“O Dosso Tridentino… / in ver della pittura è questa l’opra / che va con l’eccellenza all’altre sopra (…) / mi ricordo della Magna Cappella, / opra di Michelagnol Fiorentino: / e trascorre la mente infino a quella / ch’l’ Chigio fe’ già far nel suo giardino / a Raphaello, e comparando il tutto / m’è parso il tuo sì buon come il lor frutto.”

“Dosso Tridentino”: ho capito bene? Perché mai il Mattioli vi chiama così?

Perché il padre mio era di Trento, di nome Nicolò; da Trento si trasferì nella terra di Mantova e passò poi al servizio del duca di Ferrara padre del duca mio, Alfonso.

Ora avrei ancora una curiosità, maestro Dosso…

No, davvero, non posso più rispondere alle vostre domande! Trento ormai appartiene al mio passato… e mi addolora, perché tanto di buon grado ho lavorato per il cardinale. Ma qui restano le opere mie di pittura. Se a coloro che verranno piacerà interrogarle, state pur sicuro: parleranno per me...

* * *

(1) Lettera del cardinal Cles al soprastante Andrea Crivelli, settembre 1531: “Quanto al friso della sala grande..tu ne disponerai sì como ne hai scritto, over cum qualche meglior modo che si potrà excogitar. Et considerando la bellezza e grandezza et altri adornamenti di essa sala,tu poi imaginarti di che sorte debba essere questo friso, conciosiaché molto desideremo che ‘l sia vago, grande, ricco di oro e che corrisponda al resto de la sala, a ciò che tutte le cose siano ben proporzionate di vaghezza insieme”.