Perdiamo anche SEAC?
Timori per la ricca società di software (in crisi?) dell’Unione Commercio. Sta per essere messa in vendita? Un evento da scongiurare.
È una realtà di cui il Trentino può andare orgoglioso Seac Spa, una società di servizi alle imprese che opera in tutto il nord e centro Italia. Una società in buona salute, 6,2 milioni di utile del bilancio consolidato 2016, 224 dipendenti. Una macchina da soldi per la proprietaria Unione Commercio e Turismo, “la gallina dalle uova d’oro” come spesso è stata definita.
Eppure anche sulla Seac aleggiano incertezze: si insinua il vago sospetto che il Trentino, dopo aver malamente perso la sua Mutua - Itas - rischi di perdere anche la sua società informatica - Seac.
Per cercare di capire la complessa situazione, dobbiamo ripercorrere la storia di questa società.
L’azienda nasce nel 1969, ad opera del direttore dell’Associazione Commercianti (partigiano e primo questore di Trento) Ivo Perini che, assieme ad altri direttori di Ascom soprattutto del nord est, crea un ramo dell’associazione che gestisce Iva, paghe e contabilità degli associati. Una gestione centralizzata delle procedure, operata con macchine elettrocontabili (leggono nastri perforati) efficiente e produttiva, ottima soluzione sia per le Ascom che per le aziende.
L’idea iniziale si espande: si gestiscono anche le dichiarazioni dei redditi, e da tutta Italia arrivano i clienti, le associazioni commercianti delle varie province con relativi iscritti. I prodotti sono validi, si offre la garanzia di costi concorrenziali e puntualità del servizio; le associazioni più grosse, quella di Milano e la stessa Confcommercio nazionale, provano a fare concorrenza, ma poi desistono, e anzi Confcommercio entra in Seac. Sì, perché nel frattempo il ramo dell’associazione è diventata una società controllata, Seac appunto, che amplia ancora l’attività (centro di formazione, pubblicazioni su fisco e normativa del lavoro) e si costruisce una ampia sede con ristorante, ecc.
Dagli anni ‘80 a Seac uomo forte è diventato Franco Bolner, amministratore delegato e direttore generale: ottimo manager, grande lavoratore, capace, dinamico, volitivo, abile anche nel tessere relazioni a suon di alberghi e vacanze di lusso ai clienti importanti. Fa sempre più crescere la società. Diverse Ascom, in crisi per via delle società di servizi mal gestite, le cedono a Seac, che le riorganizza, le risana e così aumenta il proprio business, fidelizza il cliente, e cedendo proprie secondarie quote azionarie alle Ascom ne fa sedere i direttori nel proprio cda, aumentando il peso politico in Confcommercio nazionale, che a sua volta acquista i programmi Seac.
Franco Bolner è anche un padre-padrone: non vuole che nessuno sotto di lui gli faccia ombra; e non vuole nemmeno che quelli sopra di lui, i padroni veri, cioè i burocrati dell’Unione Commercio, lo intralcino. Anzi, spesso manifesta un’evidente supponenza verso costoro, che ritiene – non del tutto a torto – mantenuti da Seac, cioè da lui.
Frattanto gli utili della società iniziano a costituire una massa finanziaria consistente. E Bolner si mette a seguire sempre più anche l’aspetto finanziario: introdotto da Dario Depretis (per inciso, padre di Daria, ex-rettrice ed attuale giudice costituzionale, ma di suo era presidente di Seac, e della Banca di Trento e Bolzano e di tanto altro, uno degli uomini che in Trentino contavano) entra nel gotha della finanza trentina, a iniziare da Isa, diventando amico e sodale dell’uomo simbolo della finanziaria vescovile, Giorgio Franceschi.
Ed è sulla finanza, cioè sui soldi, che entra in crisi il rapporto tra Bolner e il presidente dell’Unione Commercio, Gianni Bort. Forse Bolner imputa a Bort di considerare Seac come la cassaforte cui attingere per sostenere la propria personale politica, dentro l’Unione, dentro Confcommercio nazionale di cui diventa vicepresidente con ampie deleghe, e dentro la politica locale (con vicinanza a Marcello Carli, Mario Malossini tuttora presente in Unione, e Walter Viola). Tra i due il casus belli diventa il mancato acquisto della vecchia sede della Cassa Rurale di Rovereto, che Bolner ritiene a prezzi del tutto fuori mercato, ma che Bort cerca di effettuare comunque, venendo però messo in minoranza.
Nel frattempo Bolner è sempre più assorbito dal mondo finanziario e dedica molto meno tempo alle altre attività aziendali, ad iniziare dall’aggiornamento dei software. Per alleggerirsi il lavoro lascia la carica di direttore generale alla sua segretaria Annamaria Nicolussi, che evidentemente ritiene persona fidata e – senza nemmeno il titolo di scuola superiore - incapace di fargli ombra e meno che mai di sostituirlo.
Ma si sbaglia.
Infatti Gianni Bort, che probabilmente ritiene Bolner un ostacolo non più sopportabile, lo estromette, sostituendolo con Nicolussi, perfettamente consenziente. E Bolner? Mandato a casa, non si ribella, non fa fuoco e fiamme, non tira fuori scheletri dagli armadi: ormai nel giro dei potenti trentini, della finanza che conta, si dedica a tale – molto meno defatigante – attività, per la quale peraltro è richiesta discrezione. Se medita vendette, non lo dà a vedere.
Ma i problemi ora sono tutti di Seac.
Il rinnovamento
E qui arriviamo all’oggi. Come naviga ora l’azienda senza più la ferrea mano di Bolner, per 35 anni al timone, passato nelle mani di Annamaria Nicolussi, che a prima vista non sembra avere titoli e qualifiche adeguati?
“Nicolussi era direttore generale anche prima del pensionamento di Franco Bolner – ci dice Mario Oss – Diciamo che con il suo avvento si è dato inizio a un rinnovamento”.
Del rinnovamento ci parla la stessa Nicolussi: “Il nostro piano industriale prevede la riscrittura di tutti i gestionali, e l’assunzione in un triennio di 38 persone nel settore architettura e sviluppo del software. E puntiamo pure a un rinnovamento delle modalità di vendita, ora indirizzato anche verso l’e-commerce: il 14 maggio abbiamo raggiunto il milione di vendite on line nell’editoria…”.
“Vendite che non sostituiscono, ma si aggiungono a quelle in libreria” - precisa il responsabile Nicola Clauser.
“Sì, è un vero cambiamento, con l’inserimento di nuove persone, che abbiamo portato via a Telecom e Vodafone, e che sovrintendono all’innovazione dei software. Ora si sta separando chi progetta i software e chi li testa. Dell’ultimo software abbiamo dato la versione beta a dei clienti, perché trovassero eventuali errori: ebbene, non ne non hanno trovato alcuno – ci spiega, entusiasta, il nuovo direttore del settore informatico, Rodrigo Padovan.
E qui entriamo in due universi paralleli: da una parte l’ottimismo ufficiale dei massimi dirigenti (temperato, se vogliamo, da un’involontaria gaffe della stessa Nicolussi: “Le incertezze sul nostro nuovo percorso…” “Quali incertezze?” “Incertezze? Chi ha parlato di incertezze?” “Lei, appena adesso…” “No, si sbaglia” Sarà...) e anche l’entusiasmo di giovani da poco assunti e promossi. Dall’altra invece malumori che covano nella società. E che si sono espressi in ben tre lettere anonime recapitate ai consiglieri di amministrazione di Seac e dell’Unione.
In queste lettere, che pretendono di essere scritte da dei clienti esacerbati, si lamenta la progressiva inadeguatezza dei prodotti Seac, un tempo all’avanguardia e da anni non più rinnovati, se non nell’estetica. Un declino iniziato nell’era del Bolner finanziere, e accelerato nell’era Nicolussi, il cui “rinnovamento” non sarebbe assolutamente all’altezza. Per dire, aggiungiamo noi, a tutt’oggi Seac prevede solo in alcuni casi la compilazione della modulistica direttamente on line. Insomma, più indietro di tanti ministeri romani, mentre la concorrenza – un nome su tutti: Zucchetti – corre, anzi galoppa.
“Queste lettere abbiamo ritenuto doveroso commentarle in consiglio, anche se anonime, perché evidentemente esprimono un disagio – replica Bort – Però sempre lettere anonime sono, non le ritengo significative. E poi, se fossero di un nostro cliente, magari di un socio, via, potrebbe molto più produttivamente parlare, apertamente, nelle sedi ufficiali”.
Il fatto è che non ci sono solo le lettere anonime. Oltre a diffusi malumori c’è anche, molto pesante, con analoghe critiche e firmata, firmatissima, la lettera di un alto dirigente, consegnata a mano al diretto superiore perché si riflettesse sulla china intrapresa dall’azienda. Cosa si è fatto? Si è subito licenziato il dirigente. Un comportamento che a noi sembra patologico.
Un sospetto fondato?
Eppure tutto questo non è catastrofico. La società, grazie al fatto che i clienti sono Ascom e quindi molto fidelizzati e magari soci, riesce a reggere. Il bilancio 2016 presenta ancora, come dicevamo, utili molto ricchi.
Quindi, se le cose non vanno, se finiti i 35 anni del padre-padrone non si è riusciti a trovare un nuovo equilibrio, lo spazio per intervenire e correggere c’è. Sempre che la proprietà, cioè Confcommercio Trentina (così ora si chiama l’Unione Commercio) sappia e voglia farlo. Noi abbiamo sempre avuto riserve sulle capacità dei vertici delle associazioni: “culi di pietra” li abbiamo chiamati, un ceto attaccato alle poltrone in cui si fa poco e si guadagna molto. Questo frangente invece rappresenterebbe l’occasione per Gianni Bort (e per Mario Oss, che di Seac è l’influente presidente onorario) per dimostrare di essere presidenti veri, non professionisti della poltrona.
Il grosso timore è un altro. Che Bort e sodali, invece di prendere in mano l’azienda, progettino una via di fuga. Molto redditizia. La vendita di Seac.
Che è una società decisamente appetibile: fa (ancora) tanti utili, ha tanti clienti. Un’acquisizione che per le altre società del settore – Zucchetti anzitutto, ma anche Twin System, e il bolzanino DedaGroup della famiglia Podini – rappresenterebbe l’inglobamento di un ostico concorrente e un incremento dell’attività decisamente interessante.
“Non abbiamo alcuna intenzione di vendere la società” ci risponde categorico Bort.
Bene. Solo che all’ultimo cda, una sua proposta di scorporare le attività finanziarie di Seac da quelle di informatica, ha incontrato decise opposizioni ed è stata ritirata. Perché è stata vista come operazione prodromica appunto alla vendita di Seac Informatica: prima separiamo i soldi dall’attività industriale, poi questa la vendiamo. E i soci Seac non la vogliono vendere.
“Nemmeno noi – assicura Bort – Non abbiamo spiegato bene la proposta, che rappresenta solo un momento di razionalizzazione. E il cda ci ha risposto che non è il momento di una tale operazione, ora dobbiamo concentrarci nel riportare il software ad essere concorrenziale”.
Insomma il presidente (mentre conferma – forse a sua insaputa – che il software non è più concorrenziale) assicura che Seac rimane trentina. E che lui, di fronte al compito di rimetterla in carreggiata, non ha intenzione di svignarsela, realizzando un bel gruzzolo.
Lo prendiamo in parola; e vigileremo. Perché la vendita sarebbe una soluzione disastrosa. L’acquirente, che presumibilmente sarebbe un concorrente, nel giro di poco tempo provvederebbe allo smantellamento della società. Che vorrebbe dire non solo la perdita di posti di lavoro, ma anche di un know how e di un capitale sociale tuttora cospicuo e invidiabile.
Il Trentino, dopo aver perso Itas, non può permettersi di perdere anche Seac.