Addio, Adriano Rizzoli
Ricordiamo il militante ambientalista che, fra l'altro, condusse con successo la battaglia contro l'inceneritore
Un cittadino esemplare
Sono molto addolorata per l’improvvisa scomparsa di Adriano Rizzoli. Lo conoscevo da tanto. Decenni.
Ho riletto in questi giorni alcune delle centinaia di e-mail che ci siamo scritti in questi ultimi dodici anni (altre sono in un altro pc) e fino a poco fa. Spesso di notte, lunghe considerazioni su ciò che accadeva e su ciò che si poteva fare, organizzazione di conferenze, interviste, scambi di nomi di esperti importanti, considerazioni.
C’era una forte sintonia. Lui c’era sempre. Impegnato nelle questioni ambientali e territoriali: l’inceneritore, dove lui ha vinto e i bolzanini hanno perso. Sul tunnel del Brennero, dove grazie a lui con enorme ritardo nel Trentino si è cominciato a capire le gravi conseguenze del passaggio della linea ad alta velocità in piena valle. Sulla speculazione edilizia, che ha cominciato a mordere a Bolzano con l’eufemismo della “densificazione” dentro il costruito e gli spostamenti e gli aumenti di cubatura a Firmian e a Casanova, presentati come modelli e poi esempi da spavento.
Era convinto che questi problemi si dovessero affrontare insieme, trentini e sudtirolesi.
Io volevo bene a lui e a Simonetta, perché con Nimby avevano saputo svelare anche nel nome il perfido gioco degli speculatori, ormai maggioranza non solo nei partiti della destra, ma anche nel centro sinistra e in alcune associazioni ambientaliste: l’accusa di egoismo a chi difende il proprio territorio fatta per depotenziare chi si oppone alla speculazione e alla distruzione del territorio e alle grandi opere di cui mai si valuta la necessità e intanto rubano il futuro a intere generazioni. Adriano era proprio il contrario di un egoista.
Era un cittadino esemplare, che si prendeva la responsabilità per sé e gli altri: impegnato per il bene comune, generoso, disponibile, non ideologico, mai scoraggiato, capace di individuare gli aspetti e anche le persone giuste, preparava tutto e poi mandava avanti altri a parlare in pubblico.
Vinta la battaglia contro l’incenerimento a Trento e anche quella per la raccolta differenziata, si preoccupava per Bolzano e si indignava per la debolezza della resistenza. Voleva far tradurre “BANKOMAT”, il libro di Christoph Franceschini, che racconta anche le oscure trame della costruzione dell’inceneritore di Bolzano.
Le ultime e-mail ce le siamo scritte e le ultime telefonata fatte perché non si rassegnava all’importazione di rifiuti da Trento a Bolzano, perché l’inceneritore così durerà ancora tanto tempo e perché il conferimento a Bolzano indebolisce la riduzione dei rifiuti nel Trentino. Quando gli ho scritto che l’assessora verde ai rifiuti è stata esautorata dalla competenza sull’inceneritore, mi ha scritto: “Singolare che anche qui quando Aldo Pompermaier diventò assessore all’ambiente gli venne ‘raccomandato’ di dedicarsi alla raccolta ma non all’inceneritore. Tuttavia Aldo si fece in 4 per avviare il ‘porta a porta’ (giugno 2007 a Gardolo e Meano) che pian piano cominciò a dare i frutti dovuti! Può fare altrettanto l’assessora verde di Bolzano”?
Speriamo di sì. Ma Adriano ci mancherà tanto.
Alessandra Zendron
Un antieroe
Non ricordo di preciso quando conobbi Adriano Rizzoli. Era il 2005, o forse il 2006. Io, cremonese neolaureato a Reggio Emilia, gravitavo da poco in Trentino, cercando di farmi largo nel difficile mondo del giornalismo. Avevo già capito, in poco tempo, che i luoghi dove fare “giornalismo per davvero” erano pochi. Questotrentino, allora quindicinale, era uno di questi. Forse l’unico. Erano i tempi della grande battaglia contro l’inceneritore di Ischia Podetti. E su quel fronte il periodico diretto da Ettore Paris era in prima linea.
All’epoca la cosiddetta decrescita felice era un obiettivo condiviso in una certa area politico-sociale minoritaria ma agguerrita, che aveva ereditato il testimone dal movimento altermondialista ammazzato a Genova nel 2001. Ne facevo parte anch’io. Negli inceneritori, nell’idea che fosse meglio bruciare i rifiuti anziché riciclarli e soprattutto ridurli, vedevamo il simbolo della cultura dominante, produttivista, consumista e votata al demenziale culto della crescita infinita. Fu così che la mia strada incrociò naturalmente quella di Adriano Rizzoli, anima dell’associazione che sul territorio si batteva con più forza contro “il Camino”: Nimby Trentino.
Tra le tante cose che ricordo del mio intenso rapporto con lui in quegli anni ci sono soprattutto le telefonate. Chiamava sempre sul telefono di casa. A quel tempo si usavano ancora. Ma mai quanto li usava Adriano. Odiava i cellulari, anche se poi sarebbe stato costretto a farne uso: se gli era possibile, usava comunque il fisso. In genere, la sera. In genere, in determinati periodi, ogni sera. Telefonava per condividere con me tutto quanto riguardasse la sua lotta contro il Camino: idee, opinioni, dati, bozze di documenti. Di quelle me ne sottoponeva a decine. “Io scrivo male, tu bene: mettimele a posto, per favore”. Fu un po’ difficile convincere Chiara, la mia compagna allora e anche oggi, che valesse la pena star dietro a “quel matto che ti chiama tutti i giorni”. Poi lo conobbe pure lei, e da quel momento fu lei a raccomandarmi di farlo: “Stagli dietro, è importante”.
Adriano fu il primo che mi trattò non come l’ex studente che scribacchia, ma come un giornalista di professione, io che in fondo non lo ero. “Fossero tutti come te - mi diceva - i giornali si potrebbero anche leggere”.
Era uno che sapeva essere ironico, Adriano. I suoi avversari, gli inceneritoristi e per estensione chiunque non si schierasse contro il Camino, ne avevano conosciuto solo il carattere burbero, sanguigno, e la presa da mastino. Eravamo solo noi, i suoi compagni di lotta, ad avere il privilegio di coglierne i tratti gentili.
Quando la battaglia contro l’inceneritore, ormai chiaramente inutile e diseconomico agli occhi di tutti, s’avviò a essere vinta, le occasioni di contatto fra noi si ridussero. Anche perché fu proprio allora che io passai dalla scrittura giornalistica, sentendo che ormai non aveva più molto da darmi, a quella narrativa. Penso che Adriano non sia mai stato entusiasta di questa mia scelta. Lui mi avrebbe voluto sempre lì, credo, a fargli da interlocutore e sponda per le tante altre battaglie a favore della sua terra che aveva ancora voglia di combattere, contro l’arroganza d’un potere che, al tempo della cosiddetta “crisi”, si rivelava ottuso e autodistruttivo più di prima, più che mai.
Non commentò mai i miei romanzi. Non so nemmeno se li lesse. Per scriverli, insieme a un altro amico di Adriano, Mattia Maistri, scegliemmo uno pseudonimo: Tersite Rossi. Tersite perché, col suo atto di ribellione alla guerra di Achille e Agamennone, questo misconosciuto personaggio dell’Iliade di Omero ci è apparso come una sorta di pacifista ante litteram, il primo antieroe della storia letteraria, lui che per quel suo gesto ribelle finì malmenato e ucciso.
Già allora, quando pensavo all’antieroe, che è colui che non solo perde, ma perde con metodo sapendo di farlo, l’immagine che più nitida mi si stagliava alla mente era quella di Adriano. Che aveva lasciato il suo lavoro di geometra per combattere contro il Golia inceneritorista, e che alla fine al suo vecchio lavoro non era più potuto tornare: era questo il prezzo che aveva pagato, tornando a vivere nell’ombra, senza nemmeno pretendere d’essere ringraziato.
Lo rividi una volta, una delle ultime, in tuta da lavoro: aveva trovato impiego in una ditta di manutenzione del verde.
Non fui capace di dirglielo, quella volta come nessun’altra. Rimedio qui, anche se ormai è troppo tardi: Adriano, per me che ne ho creati tanti di carta e inchiostro, sarai sempre tu il mio antieroe di carne e ossa.
Marco Niro