Alberghi e contributi pubblici
Oltre 200 milioni di euro erogati: quali le ricadute economiche e sociali?
Durante lo scorso mese, con titoli a forte effetto emotivo, il quotidiano Trentino ha portato all’attenzione dei lettori il tema dei contributi pubblici elargiti nelle ristrutturazioni o ampliamenti delle strutture alberghiere attingendo alla legge provinciale n° 6 del 1999. I dati, pur nella loro incompletezza (non riportavano rifinanziamenti o recepimenti di successive deroghe), sono sbalorditivi. Dal 2001 al 2016 sono stati distribuiti oltre 232 milioni di euro. Si va dai quasi tre milioni (2.888.045) stanziati per la struttura Le Blanc sul Bondone ai 601.349 dell’Hotel ai Mughi di Pinzolo, per un totale di 651 erogazioni.
Dopo titoli tanto eclatanti ci si attendeva dal quotidiano un approfondimento, l’avvio di una inchiesta. Il cittadino meritava spiegazioni, almeno un minimo di analisi economica sulle ricadute che questi contributi possono aver portato all’economia della provincia, sulla quantità di posti di lavoro, se aumentati o diminuiti, sulla qualità del lavoro e dei servizi offerti. Chi si aspettava questo è rimasto deluso: dopo i soliti titoli urlati sul tema è calato il silenzio.
Un turismo forte e capace di portare sui territori ricadute di alto valore aggiunto non può che fare riferimento all’albergo e a categorie di accoglienza simili, come bed e breakfast e agriturismi; ne siamo da sempre convinti. Lo sviluppo delle seconde case sostenuto sia dalla politica provinciale che locale dagli anni ‘70 al 2000, oltre a consumare territorio e paesaggio, oltre ad imporre ai comuni l’erogazione di servizi non proporzionati alla popolazione residente, ha fatto crollare l’appetibilità turistica della nostra provincia. Troppe valli, dalla Rendena al Bondone, da Folgaria alle valli dell’Avisio, si propongono oggi come protesi delle città. Il turista viene in montagna per trovare diversità, aria pulita, serenità. I paesi delle periferie trentine sono invece zeppi di auto, in troppi casi hanno perduto la loro specificità e identità, la montagna offre caos e rumori fino alle quote più elevate, fino ai piedi delle rocce.
Le strutture alberghiere sono state le prime vittime di questa scellerata, lunga stagione politica e imprenditoriale. Eppure i rappresentanti della categoria degli albergatori in quegli anni sostenevano con determinazione il ruolo positivo delle seconde case nel turismo: solo dagli anni ‘90 in poi sono cominciati a serpeggiare dubbi e riflessioni opposte che hanno portato la Provincia, a bloccare la diffusione di questo tipo di edilizia speculativa.
Ma la domanda alla quale occorre rispondere riguarda la ricaduta che vagonate di milioni pubblici investiti in alberghi hanno avuto sull’offerta turistica e sulla qualità del settore nel suo insieme. I dati del servizio statistico della Provincia sono tutti problematici, o meglio, negativi. Gli incentivi hanno sempre favorito le grandi imprese e le ristrutturazioni più inverosimili. È sufficiente leggere le centinaia di deroghe urbanistiche e paesaggistiche che gli alberghi hanno ottenuto dai comuni, in pratica demolendo nel medio periodo ogni contenuto dei piani regolatori. Più un albergo presentava progetti ambiziosi, più posti-letto ricavava, più aumentava la percentuale del contributo. Invece di invitare gli albergatori a formare consorzi, o società per la gestione dei servizi più costosi, wellness, piscine, mobilità, si è esasperata l’iniziativa singola e privatistica. Ad oggi in Trentino la media di posti letto per struttura è di 62, a Bolzano nettamente inferiore a 50.
Questo dato non è positivo: più aumentano i posti-letto, più si deve fare ricorso a personale, aumentano i costi, la struttura da azienda familiare si deve trasformare in società, con la deresponsabilizzazione dei proprietari originari.
Un altro dato significativo è il tasso di occupazione dei posti letto: in Trentino, tranne pochissime eccezioni, si viaggia abbondantemente sotto il 40%. A Bolzano ci si avvicina con regolarità al 50% e in diverse vallate la percentuale viene superata. Nonostante i soldi investiti, le strutture alberghiere a 5 stelle in Trentino sono solo lo 0,4% del totale, i 4 stelle il 21,6%. La permanenza media dell’ospite, che nel 1985 era di 5,7 giornate, è crollata a 4. Sono numeri impietosi che dimostrano criticità importanti nel settore.
E arrivò la crisi...
È anche opportuno riflettere su quanto sta avvenendo nelle strutture alberghiere in conseguenza della crisi economica. Le sollecitazioni degli uffici provinciali a potenziare al massimo le strutture alberghiere hanno portato gli albergatori a dover sostenere indebitamenti gravosi. Fino a dieci anni fa tutto sembrava facile, si proveniva da anni di vacche grasse, ogni indebitamento veniva risolto o grazie all’inflazione galoppante della lira o comunque perché si viveva un’epoca di sviluppo. Dopo il 2008, con la crisi del sistema bancario, con l’impossibilità o la difficoltà di ristrutturare il percorso dei mutui, molti alberghi sono finiti nelle mani delle banche, di tante Casse Rurali, portando anche questi istituti in pesanti sofferenze. In tanti casi i proprietari oggi sono dei direttori di azienda che lavorano per conto della banca, una specie di commissariamento neanche tanto indiretto.
Si pensi a Folgaria (dove altri 50 milioni pubblici gettati nel potenziamento dell’area sciabile non hanno portato alcun cambiamento positivo), a Pinzolo, alla situazione drammatica di San Martino di Castrozza, e - perché no? - alla valle di Fassa. Un po’ ovunque, invece di investire in servizi collettivi al turismo (piscine, centri wellness, ritrovi serali per giovani), ogni albergo ha voluto la sua piscina, il centro salute, spazi bar eleganti. Nel frattempo la crisi si è abbattuta pesante sulle famiglie italiane, gli stipendi sono ormai fermi da quasi dieci anni, sia nel settore privato che pubblico, mentre tutti i costi dei servizi hanno avuto aumenti consistenti. Nel frattempo gli albergatori si accorgevano che la gestione delle aree wellness aveva dei costi insostenibili: personale, igiene, sicurezza. Con un tasso di occupazione dei posti letto tanto bassa risulta impossibile portare questi servizi a sostenibilità economica.
Ad oggi molte strutture alberghiere non riescono nemmeno a pagare i mutui sottoscritti nel corso degli anni: chi ha fatto il passo più lungo della gamba, tanti, riesce a fatica a ritagliarsi uno stipendio. Un po’ ovunque, anche in zone a turismo maturo come la valle di Fassa, molte strutture alberghiere sono in vendita e quelle di bassa qualità vengono abbandonate. Ma anche vendere è difficile. Risulta fortunatamente impossibile cambiare la destinazione d’uso di un albergo in edilizia speculativa o abitativa. Se si è costretti a cedere l’azienda la si deve svendere. E l’acquisto, a parte isolati casi, avviene per opera di cordate di società che arrivano dall’esterno. Un enorme patrimonio immobiliare che è stato basilare per lo sviluppo delle aree più periferiche del Trentino oggi sta passando da proprietà dei residenti a soggetti esterni. Non è un dramma questo processo, ma si tratta di un cambio epocale del turismo provinciale: persone senza dubbio capaci come manager innovativi, che sanno individuare i reali bisogni del turista, prendono in mano le redini dell’economia di importanti centri trentini. Nel medio periodo dimostreranno fedeltà e passione verso il territorio che li accoglie? Aver comprato o affittato le strutture a Moena o a Pinzolo a queste società poco importa. Si rimane nella situazione finché ci sono margini di guadagno elevati. Poi si abbandona, e tante perle delle Dolomiti si stanno avviando al malinconico destino di Cortina d’Ampezzo, città anticipatrice di questo cambiamento.
Dal Trentino – dicevamo - ci si aspettava una analisi completa sulla ricaduta dell’investimento pubblico negli alberghi trentini, uno sguardo sull’occupazione, su un ricaduta in termini di qualità nei servizi offerti agli ospiti, una analisi delle prospettive del turismo alberghiero in provincia. Tutto questo è mancato, come del resto non è stato casuale il silenzio mantenuto dalla associazione albergatori. Avessero avuto dati e argomenti forti per sostenere le ricadute positive di quei contributi avrebbero alzato la voce. Anche Trentino Marketing non ha risposto. Questa mancata reazione fa pensare male: che la valanga di soldi pubblici travasati nel settore alberghiero abbia avuto solo scopi clientelari? Prima di decidere non vi è stata pianificazione razionale del turismo?
Risulta oggi difficile correggere gli errori del recente passato. Il patrimonio edilizio delle seconde case sta deperendo, i proprietari non intendono investire in riqualificazione e a soffrirne, già da oggi, saranno ancora una volta il paesaggio e l’assenza di investimenti nel risparmio energetico. Dare nuove funzioni ad alberghi abbandonati, vista l’impossibilità di una riqualificazione nel settore, è problematico. In una valle due o tre esercizi possono essere riconvertiti ad uso sociale, a case per anziani, posti di ricreazione, o per accoglienza di rifugiati. Ma come riqualificare il rimanente patrimonio abbandonato? E come evitare, o per lo meno limitare la caduta di imprenditorialità locale nel settore?
I numeri impressionanti elencati dal Trentino dovrebbero portare l’assessorato a riflessioni di lungo periodo sul tema. Ma anche qui si è raccolto solo silenzio. Ancora una volta la politica provinciale si dimostra incapace di proporre un progetto di settore di medio periodo. Tutto è lasciato alla mano libera del mercato. In alcune zone significherà ulteriore decadenza qualitativa, con milioni di euro pubblici gettati al vento.