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QT n. 3, marzo 2012 Trentagiorni

Inceneritore, dieci anni dopo

Adriano Rizzoli

Ne è passata di acqua sotto i ponti, ma di rifiuti da smaltire sempre meno. Eravamo agli inizi del 2002 quando il presidente Dellai propose per risolvere la questione rifiuti un inceneritore da 330.000 tonnellate. Tanti rifiuti, tanto business, e nella compagine di Trentino Servizi (oggi Dolomiti Energia) entrò Asm Brescia, oggi A2A, capofila italiana dell’imprenditoria inceneritorista. Certo, tanti rifiuti vuol dire anche tante ceneri disperse nell’ambiente, soprattutto nell’aria, ma chi se ne frega, la legge di Lavoisier “nulla si crea, nulla si distrugge” il volgo mica la conosce, e l’inceneritore si sono addirittura permessi di chiamarlo “termodistruttore”, che è una scemenza, ma propaganda bene la frottola che i rifiuti bruciati scompaiono nel nulla.

Solo che cittadini e amministratori hanno seguito un altro percorso: la differenziata che aumenta, supera gli obiettivi dei Piani provinciali, e i “rifiuti residui”, quelli da bruciare, sono oggi solo 70.000 tonnellat e continuano a diminuire. Per ammissione dello stesso assessore Alberto Pacher, “possiamo raggiungere e rimanere stabilmente sopra quota 70% di differenziata in tutto il Trentino nel giro di poco tempo”, che vuol dire 50.000 tonnellate all’anno. Ma con 50.000 tonnellate nessun inceneritore ha può chiudere i conti in pareggio. E così succede che le aziende lasciano le gare d’appalto deserte.

Chissà perché - testa dura? - Dellai non molla, l’inceneritore s’ha da fare, e dietro a lui pronti Pacher e Andreatta. E quindi continuano a ipotizzare un inceneritore da 100.000 tonnellate, fantasticando di “rifiuti assimilabili agli urbani” (come se non potessero essere differenziati anche loro) o di “quantità di rifiuti che difficilmente potrà calare anche con l’aumento della differenziata” quando tutti i dati recenti dicono il contrario. Così le aziende non si fidano, temono di trovarsi a gestire un impianto da 100.000 tonnellate con solo 50.000 a disposizione, il che sarebbe una rovina. E quindi minacciano di disertare anche le prossime gare.

Il punto è che l’alternativa ci sarebbe. Le ipotizzate 50.000 tonn/anno si possono, con apparecchiature già altrove in uso, ulteriormente differenziare, recuperandone almeno il 60%. Rimarrebbero così circa 20.000 tonnellate di rifiuto inerte, da confrontare con le 25.000 tonnellate, più pericolose e tossiche, di rifiuto prodotto (e il resto, non dimentichiamolo, va disperso in aria, cioè finisce al suolo quando non nei polmoni) dalla combustione delle 100.000 tonnellate incenerite che sembra debbano rimanere faro obbligatorio della politica provinciale.

Insomma, da ogni punto di vista, sanitario ed economico, i conti dell’inceneritore non tornano. Rimane solo l’incomprensibile ostinazione di alcune persone.