Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 11, novembre 2016 L’intervento

Porfido: il grande inganno

Enzo Sevegnani, Walter Ferrari

Il “fallimento” della legge del 2006 che regolamenta l’attività di cava è stato riconosciuto dalle stesse dichiarazioni dell’assessore Olivi e certificato dal Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali. Ma ben prima e ben oltre, il fallimento è stato evidenziato dalla crisi abbattutasi nel settore del porfido, le cui cause vere erano all’opera da tempo, prima che si diffondesse la crisi finanziaria internazionale.

La produzione di porfido infatti, in termini di quantità, raggiunge il picco nel 2005 e 2006, arrivando a 1.717.000 tonnellate; in termini di valore, invece, il picco massimo è di 80.144.000 euro, ma nel 2000, per poi scendere a 70.949.000 nel 2005 e a 69.123.000 nel 2006. La caduta del valore unitario era già allora evidente (si passa da 57,4 euro/tonnellata del 1995 a 54,7 del 2000, 41,3 nel 2005 e 40,3 nel 2006) e con essa i segnali di una crisi tutta interna al settore da tempo operante.

Le dichiarazioni rilasciate da Stefano Pisetta (Filca CISL) e Giuliano Montibeller (Fillea CGIL) e riportate nell’articolo “Laite cessa: dieci licenziati” a firma di Mattia Frizzera sul’Adige del 28 luglio 2009, a tre anni dall’entrata in vigore della nuova legge, tracciano sommariamente un ritratto impietoso dello stato in cui versava il settore. Il primo dichiarava: “Il settore del porfido si sta riducendo e sono imprenditori ed amministratori pubblici ad avere le responsabilità. Venerdì all’assessore Olivi chiederemo conto del perché tra il 2002 e il 2006 la produzione del porfido è aumentata, mentre l’occupazione è diminuita” (in pratica si parla di lavoro nero). Il secondo aggiunge: “Si fa quasi solo prima lavorazione, il grezzo, mentre la seconda lavorazione la fanno artigiani, spesso da fuori provincia” (il che vuol dire esternalizzazione).

Anche nelle loro dichiarazioni davanti al “Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali” CGIL-CISL-UIL affermavano che “la scelta di salvaguardare le imprese già titolari delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della legge - in attuazione delle disciplina transitoria prevista dall’art. 33 delle legge provinciale - ha costituito la genesi dei problemi del settore estrattivo trentino”. Le stesse organizzazioni sindacali denunciavano come “le proroghe delle concessioni hanno consentito di conservare posizioni di privilegio, non aiutando l’innovazione e determinando l’assenza di concorrenza positiva”.

La struttura del settore comunque rendeva facile scaricare la crisi sulle partite IVA, sulle aziende artigiane e i relativi dipendenti e infine sui lavoratori in generale. Il dato relativo all’occupazione rende bene l’idea di quanto è avvenuto in questi anni: si è passati infatti dai 1253 addetti del 2000 ai 625 del 2014.

Le denunce del Coordinamento Lavoro Porfido, a partire dalla primavera 2014, avevano messo in luce sempre più ampiamente la situazione di degrado del settore porfido (vedi QT del giugno 2016), dovuto anche alle falle e alla mancata applicazione della legge in vigore. Inutile dire che tale situazione si è venuta a creare grazie al fatto che le Amministrazioni comunali della zona sono state in questi anni controllate o condizionate pesantemente dalla lobby dei concessionari.

Il caso più eclatante è quello relativo al comma 5 dell’art. 33 che vincolava la proroga delle concessioni, avvenuta nel 2010-11, al mantenimento dei livelli occupazionali. Proroghe effettuate ufficialmente per salvaguardare i posti di lavoro messi a rischio dalla necessità di procedere alla messa all’asta delle concessioni come prevedono le norme europee.

Ebbene, tale comma avrebbe dovuto essere recepito dai Comuni nei disciplinari, ma così non è stato e nemmeno l’assessore competente ha fatto rispettare la legge, una inadempienza che ha consentito alle ditte di licenziare la metà dei lavoratori e per la quale il CLP, unitamente al consigliere comunale di Baselga di Pinè Massimo Sighel e al consigliere provinciale del Movimento 5 stelle Filippo Degasperi, ha presentato recentemente un esposto alla Procura della Repubblica. Un passo a cui è stato costretto dalla mancata, fin qui, istituzione di una commissione d’inchiesta che faccia emergere le responsabilità ai vari livelli relative alla mala gestione del settore e alla non applicazione della legge vigente (richiesta con una mozione dal consigliere Civettini).

Il testo di Olivi: ridondante e contraddittorio

Ora, dopo che il Movimento 5 stelle ha presentato da mesi, a firma del consigliere Degasperi, una proposta di modifica puntuale della L.P. 7/2006, anche l’assessore Olivi, dopo vari annunci in pompa magna, ha presentato un suo disegno di legge, che però francamente delude le aspettative di chi si aspettava un reale cambiamento. Una proposta con un testo ridondante, spesso di difficile interpretazione e contraddittorio, che risulterebbe addirittura inapplicabile e si tradurrebbe in un colpo di spugna rispetto alle inadempienze degli ultimi 10 anni nei confronti della legge. Tanto per limitarsi alle tutele per i lavoratori, si può constatare che, recependo il comma 5 bis (introdotto con l’approvazione della finanziaria 2015), essa demolisce definitivamente il comma 5 sulla tutela dei livelli occupazionali. Riscrive l’art. 28 dell’attuale legge che è molto chiaro in merito ai casi di sospensione e revoca dell’autorizzazione o concessione, dal quale bastava togliere la discrezionalità (può, possono), per sostituirlo con un lungo elenco di casi che, reiterati per tre volte, costituirebbero motivo di revoca. Basti dire che alla lettera f) del comma 1 di tale elenco esso recita: “Sanzioni per l’utilizzo di tre o più lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria o il cui rapporto di lavoro è stato qualificato in modo scorretto”. Significa forse che l’impiego di due lavoratori in nero non costituisce motivo di diffida, sospensione e revoca? Non è forse più chiara la norma attuale che al comma 6 dell’art. 28 recita: “L’autorizzazione o la concessione sono revocate, previa diffida: a) in caso di accertato utilizzo di manodopera senza regolare assunzione, previa diffida; b) in caso di gravi e reiterate violazioni di norme dirette alla tutela dell’integrità fisica e della salute dei lavoratori”?

Le reazioni

Di fronte ad una simile proposta di modifica della L.P. 7/2006 il CLP ha manifestato la propria netta opposizione chiedendo, nell’audizione del 25 ottobre in Seconda Commissione, all’assessore Olivi di ritirare il proprio disegno di legge. Tra le altre cose desta allarme e preoccupazione il fatto che in vari articoli si affidino competenze di controllo ai Comuni, ritagliando così spazi operativi per So.Ge.Ca. (vedasi scheda).

Anche le ASUC, che attraverso il Presidente ASUC di Tressilla Marco Avi avevano già manifestato pubblicamente la loro contrarietà (vedi l’Adige del 23 ottobre), rappresentate dal presidente dell’Associazione provinciale Roberto Giovannini, hanno espresso la loro netta contrarietà a tale disegno di legge. Mentre infatti il disegno di legge Olivi riconosce nei primi articoli la proprietà delle ASUC e afferma che ad esse “spetta l’intero canone di concessione” al netto delle spese di gestione tecnico-amministrativa che spettano ai Comuni, non riconosce alle stesse un ruolo attivo nel governo del settore. L’articolo 14 di tale disegno di legge, con il quale viene modificato l’articolo 13, al comma 2 bis recita infatti che “nel caso di beni di proprietà frazionale, quando l’ASUC è costituita, il Comune comunica all’ASUC il volume riferito all’area da concedere, la durata della concessione e il canone a base d’asta”, riducendo in tal modo la stessa ad un ruolo meramente passivo, senza voce in capitolo sul valore dei beni comuni che gli sono affidati in amministrazione.

La reazione delle ASUC non si è fatta attendere Roberto Giovannini (presidente dell’associazione provinciale ASUC) ha invitato pubblicamente l’assessore a confrontare la gestione delle ASUC nel pinetano con la “gestione comunale dei beni frazionali a Lases”, dove “è costretta ad intervenire la magistratura” (vedasi l’Adige del 23 ottobre: “Cave: la legge Olivi è una rapina”). Lapidario Giovannini conclude: “È una riforma che non riforma e tutela l’esistente”.

Rincara la dose il presidente dell’ASUC di Tressilla Marco Avi, già protagonista di un duro scontro con cavatori e Comune tra il 2006 e il 2008, il quale si è detto irritato dal fatto “che al Consiglio delle autonomie la riforma sia seguita dal sindaco di Baselga, Ugo Grisenti, commercialista il cui studio opera a favore di alcune ditte estrattive, in pieno conflitto d’interessi”.

La questione sostanziale riguarda il valore di mercato della roccia porfido, che non corrisponde certamente a quelli che sono i canoni calcolati in base ai criteri della legge provinciale.

Marco Avi porta l’esempio dei lotti 2 e 3 di S. Mauro, di proprietà dell’ex Comunità pinetana (proprietà contestata dai Comuni di Baselga e Lona Lases, sulla quale vi è una causa in corso) nei quali “in base ai contratti stipulati coi cavatori, il valore al metro cubo è rispettivamente di 6,61 e 9,00 euro” mentre sugli altri lotti della stessa zona, “calcolati coi criteri della legge provinciale, è di 2,71 euro al metro cubo”. Lo stesso Avi ricorda che “le ditte scavano a 2,71 euro, e poi vendono il materiale abbattuto agli artigiani a 1,50-2,00 al quintale”; tenendo conto che un metro cubo corrisponde a circa 25 quintali, il conto è presto fatto. Egli rincara la dose affermando che “Olivi dovrebbe prima far applicare la legge esistente: vi sono in zona ditte che non rispettano i disciplinari, non scavano come previsto (…), non retribuiscono regolarmente i lavoratori” ma “il Comune non si muove... e la Provincia nemmeno”. Per questo le ASUC annunciano battaglia ed hanno già manifestato la loro opposizione al disegno di legge Olivi in occasione dell’audizione, il 26 ottobre, con la seconda commissione legislativa provinciale.

Sul fronte sindacale, invece, Olivi incassa pieno consenso e dopo averlo incontrato, Fabrizio Bignotti (Filca-Cisl) e Maurizio Zabbeni (Fillea-Cgil), si dichiarano soddisfatti affermando che “il disegno di legge della giunta provinciale sulle cave dà risposte chiare per la tutela della sicurezza e dell’occupazione” (vedasi il Trentino del 5 ottobre).

E l’assessore fa marcia indietro

A questo punto però qualcosa evidentemente succede. I lavoratori non apprezzano tali posizioni. E CGIL-CISL sono costrette ad adeguarsi. Il 25 ottobre si presentano davanti alla seconda commissione, con un documento di ben 19 pagine contenente la proposta di introduzione degli articoli 1 quater, 1 quinques e 1 sexies, nonché modifiche più o meno sostanziali di ben 30 articoli! Insomma, un’inversione di 360 gradi, che recepisce molte delle proposte del CLP. A questo punto Olivi, nella stessa assemblea, fa buon viso a cattivo gioco, sposa le proposte sindacali (che se attuate stravolgerebbero il suo disegno di legge) e - riuscendo così a raccogliere un certo consenso tra i lavoratori - si impegna a fare di tutto per farle passare in Consiglio provinciale, “compatibilmente con tutte le altre osservazioni pervenute nelle audizioni con la seconda Commissione.

Ovviamente ci sarà da vigilare. Il fatto costituisce comunque un primo risultato ottenuto grazie alla continua pressione del CLP e all’esposto contro lo stesso Olivi e i sindaci sulla non applicazione del comma 5 dell’art. 33 sul mantenimento dei livelli occupazionali.

Vedremo se dalla legge “fallita” del 2006 si arriverà a una migliore, e magari – addirittura! – fatta applicare, e a un settore del porfido meno brutalmente primordiale.

Enzo Sevegnani e Walter Ferrari, a nome del Comitato Lavoro Porfido

L’invenzione di So.Ge.Ca

Quando nel 2000 il rag.Fabrizio Trentini viene nominato commissario ad acta ad Albiano, prassi in uso da anni laddove l’incompatibilità dei consiglieri comunali impediva l’adozione dei provvedimenti relativi alle cave, i concessionari si trovano in difficoltà in quanto egli si dimostra poco propenso ad accogliere le loro ingerenze. Così, l’amministrazione guidata dal sindaco Mario Casna inventa So.Ge.Ca. (Società gestione cave), alla quale viene affidata tutta l’attività di pianificazione e controllo di competenza del Comune al fine di sostituire il commissario ad acta ed evitare in futuro la nomina di altri commissari che potrebbero rivelarsi scomodi.

La delibera che istituisce So.Ge.Ca. (n. 47 del 3 ottobre 2003) viene votata da un Consiglio comunale composto da concessionari o parenti degli stessi (vice sindaco è Rosario Bertuzzi, esponente di una delle famiglie più potenti di imprenditori del porfido), viene giudicata illegittima dalla minoranza consiliare il cui capogruppo, Aldo Sevegnani, presenterà in proposito un esposto alla magistratura che però sarà archiviato. Di fatto So.Gec.Ca. opera da allora gestendo le competenze comunali in materia di cave (pianificazione e controllo), sotto la guida di un consiglio di amministrazione nominato per tre quarti dalla maggioranza che siede in Consiglio comunale.

Per capire come ciò significhi che i controllati sono anche i controllori di se stessi, basti ricordare la vicenda delle proroghe delle concessioni avvenute nel 2011 (in base all’art. 33 della L.P. 7/2006), quando sono state eseguite ben 36 votazioni separate di altrettante delibere relative a concessioni (dove su ognuna si assentava il consigliere concessionario e parente dello stesso), al fine di evitare l’incompatibilità di molti consiglieri. L’amministrazione era guidata da Mariagrazia Odorizzi (con quote in azienda concessionaria gestita dai fratelli) e dal vice sindaco Rosario Bertuzzi.