Porfido: gli aspetti della crisi
Lavoro esternalizzato, canoni irrisori, sfruttamento dei lavoratori, complicità della Provincia, inerzia sindacale...
Per spiegare le ragioni della grave crisi che sta mettendo in ginocchio il settore del porfido occorre risalire almeno alla vertenza delle trancette del 1993. Fu infatti in seguito all’intervento della Magistratura che le trance con maglio a caduta, fino ad allora in uso, dovettero essere sostituite con trance oleodinamiche dotate di accorgimenti (fotocellule) atti a limitare i rischi per i lavoratori. Mentre in un primo momento la mobilitazione operaia (l’ultima che si ricordi) sembrava essere riuscita a difendere i posti di lavoro, la discesa in piazza Dante della Lega Nord guidata dall’onorevole Boso e l’acquiescenza sindacale, spianavano la strada ad un atteggiamento delle imprese refrattario nei confronti di impegni economici ed investimenti che andassero ad intaccare le già elevate quote di profitto.
Prese così l’avvio quel processo di esternalizzazione che da vent’anni caratterizza lo sviluppo del settore; dapprima le aziende concessionarie dei lotti estrattivi iniziarono a trasformare i propri dipendenti in partite IVA e successivamente, con l’entrata in vigore della legge 626, a dare in gestione ad artigiani interi segmenti dell’attività produttiva esternalizzando così i costi di gestione della manodopera. Un processo favorito anche dalla massiccia presenza, a partire dal 1990, di lavoratori extracomunitari provenienti dal Marocco, dalla Macedonia e, negli ultimi 15 anni, dalla Cina.
I dati sulla produttività e l’occupazione rispecchiano fedelmente questo processo; si passa infatti dai 1.495 occupati del 1990 ai 1.298 del 1995 (prima fase caratterizzata dalle partite IVA), ai 1.055 del 2005 (quando il processo di esternalizzazione è già consolidato). Una tendenza inversa caratterizza però la quantità di prodotto, che passa da 1.416.460 tonnellate del 1990 a 1.717.403 tonnellate del 2005 (più 21%), a fronte di una diminuzione degli addetti pari al 29% e delle ore lavorate pari al 37% (da 2.024.000 a 1.272.000).
Sulla base di questi dati, forniti dal Servizio Statistica e dal Servizio Minerario della Provincia, si ricava che la produttività per addetto aumenta nello stesso periodo del 72% e quello orario dell’86%. Ora, non essendoci stati in questi anni mutamenti tecnologici significativi, si deve dedurre che dietro questi dati si nascondano in realtà quote importanti di lavoro grigio e nero.
Per quanto riguarda però il valore della produzione, si può vedere che il 2000 è stato l’anno in cui si è raggiunto il punto più alto con 80,1 milioni di euro, ma questo è anche l’anno in cui inizia il lento declino del valore unitario della produzione (54,6 euro a tonnellata), che aveva toccato il picco nel 1995 con 57,5 euro a tonnellata. Alla caduta di tale valore le imprese hanno risposto aumentando la quantità di prodotto sul mercato, con produzioni affidate sempre più ad artigiani che operavano una continua compressione del costo del lavoro e con sempre minore attenzione alla qualità del prodotto, e in tal modo si giunge al crollo del valore unitario della produzione, che nel 2005 arriva a 41,3 euro a tonnellata.
Come si vede le cause endogene della crisi erano già operanti ben prima che scoppiasse la crisi internazionale nel 2008.
Le responsabilità
Ci pare inutile sottolineare che le scelte dei concessionari di cava, volte a massimizzare i profitti, siano la causa prima della situazione che si è determinata nel settore del porfido. Una situazione che ha visto una contrazione significativa degli addetti che nel 2014 erano 625 per un totale di 730.000 ore lavorate (dati contenuti nella relazione della “Commissione Viola”) e della produzione che è scesa a 820.000 tonnellate (valore 34.846.000 euro).
Le comunità locali si trovano così a subire un doppio danno sia sul piano dell’occupazione che su quello delle entrate comunali sotto forma di canoni di concessione, ovviamente commisurati ai volumi estratti.
La responsabilità maggiore rispetto a quanto si è determinato va ricondotta però al legislatore provinciale, che nel 2006, quando in base ai dati prima esposti si poteva già intuire ciò che di lì a poco sarebbe successo, ha riscritto la legge in materia di cave (L.P. 6/80). Lo ha fatto senza tenere in alcun conto le preoccupazioni e le proposte di un comitato locale, composto per lo più da consiglieri comunali di minoranza (Albiano, Fornace, Lona-Lases), che avevano trovato espressione in una proposta di legge sostenuta dai consiglieri provinciali di maggioranza: Pinter, Bombarda e Viganò e di minoranza Catalano. La lobby del porfido, allora rappresentata a livello provinciale dal consigliere Tiziano Odorizzi e da Ezio Cristofolini (segretario dell’assessore Benedetti), ha avuto ancora una volta la meglio.
È una lobby che da decenni controlla direttamente o indirettamente le amministrazioni locali o cerca di condizionarle pesantemente, come a Lona-Lases tra il 1985 e il 1995, quando, unico caso, la situazione è sfuggita loro di mano. Questo spiega perché nei disciplinari di concessione siano stati introdotti largamente elementi di discrezionalità tali da renderli poco efficaci quando si tratta di far rispettare gli impegni nei confronti della manodopera.
D’altra parte anche le Organizzazioni sindacali non hanno certo brillato in questi anni per il loro impegno a difesa degli interessi dei lavoratori. Sia la Fillea-Cgil che la Filca-Cisl hanno infatti sottoscritto, nel 2009 e nel 2012, ben tre protocolli con i quali si sono consentite alle aziende concessionarie riduzioni di manodopera, aggirando di fatto il comma 5 dell’articolo 33 della stessa L.P. 7/2006, sulle garanzie occupazionali poi non rispettate. Un articolo che la Provincia era stata costretta ad inserire per mettersi al riparo da una procedura di infrazione aperta in sede europea a causa della mancata messa all’asta delle concessioni, sempre prorogate di 9 anni in 9 anni. Ebbene, con questo articolo si è concessa un’ultima proroga, variante da 11 a 18 anni a discrezione dei comuni, a fronte però del mantenimento dei livelli occupazionali esistenti al momento della proroga. Ancora una volta, però, le amministrazioni locali, con la complicità sindacale e l’avallo della Provincia, si sono fatte beffe della legge.
Ciò che non si vede
Il sistema delle proroghe delle concessioni, oltre a consentire alla lobby dei cavatori di mantenere saldamente il controllo della materia prima, nasconde il reale valore del porfido. Basti pensare che nell’unico caso di asta pubblica, avvenuta nel 1994 a Lona-Lases, si è registrato un rialzo del prezzo a metro cubo del 211%. Il sistema di calcolo dei canoni in vigore è infatti del tutto artificioso e di fatto consente, anche laddove applicato correttamente, di calmierare il prezzo della materia prima a vantaggio delle imprese ma a danno delle comunità locali.
A dimostrazione di ciò stanno i canoni dei due lotti di S. Mauro dati in concessione direttamente dalle ASUC nel 2006, che raggiungevano i 7,665 euro a metro cubo di media (nel 2015 la media è stata di 8,85 euro a metro cubo), mentre la media degli altri lotti di Baselga di Pinè, calcolata con il metodo stabilito dalla legge provinciale, è pari a 4,59 euro a metro cubo. Per completare il raffronto, basta ricordare che il canone medio a Fornace è di 5,10 euro a metro cubo e a Lona-Lases raggiunge i 3,65 euro a metro cubo, mentre per quanto riguarda Albiano l’ultimo dato disponibile è relativo all’anno 2008 ed è pari a 3,41 euro a metro cubo.
Se facciamo due calcoli vediamo che nel 2014 il comune di Fornace ha incassato 387.000 euro a fronte di 83.000 metri cubi estratti, ma se avesse applicato la media del canone ASUC avrebbe incassato ben 311.250 euro in più; a Lona-Lases, nello stesso anno, sono stati estratti 33.000 metri cubi ed il comune ha incassato 121.000 euro e anche in questo caso usando la media canoni ASUC si sarebbero potuti incassare 171.600 euro in più. Per rendersi conto pienamente della situazione occorre però confrontare i dati pre crisi, quando i volumi estratti non avevano subito la drastica contrazione attuale; nel 2007 ad Albiano la media dei canoni risultava pari a 3,26 euro a metro cubo ed il comune incassava 2.154.000 euro a fronte di un volume estratto pari a 685.000 metri cubi, facendo la differenza con il canone ASUC del 2006 vediamo che il mancato introito per le casse comunali è stato pari a 3.017.000 euro: un bel regalo per i concessionari!
Ecco perché fin dal 2007 i comuni di Baselga di Pinè e Lona-Lases hanno intentato una causa nei confronti delle ASUC (capofila l’ASUC di Miola), che si trascina tuttora, in merito alla proprietà della pf. 2452/2 a S. Mauro sulla quale insistono i due lotti in questione.
Perché una Commissione d’inchiesta ?
Riteniamo che le conclusioni del Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali (“Commissione Viola”), che si è espresso con relazione datata 17 dicembre 2015 sullo stato di attuazione e valutazione degli effetti della L.P. 7/2006 siano importanti ma insufficienti a chiarire le responsabilità della situazione. Per questo sosteniamo la necessità di idtituire una Commissione d’indagine, così come proposto con una mozione dal consigliere provinciale Claudio Civettini, che faccia emergere le gravi responsabilità ai vari livelli di quanto è successo e sta succedendo nel settore del porfido.
Abbiamo già avuto modo, anche davanti ai capigruppo in Consiglio provinciale, di denunciare il degrado delle condizioni di lavoro nel settore. Le intimidazioni e i ricatti nei confronti dei lavoratori (ai quali sono maggiormente esposti gli extracomunitari), la gestione “disinvolta” dei rapporti di lavoro da parte dei titolari delle ditte artigiane (anch’essi in molti casi di origine extracomunitaria) dove, come riportato dalla cronaca locale, si registrano anche casi di pestaggio nei confronti di chi reclama i propri soldi.
Il fatto che tali imprese artigiane facciano parte integrante di una filiera produttiva che fa capo ai concessionari di cava e che gli stessi si trovino spesso a gestire le amministrazioni locali, rende la situazione molto difficile e facilita il malaffare. Si tratta di una commistione di interessi che spesso calpesta gli interessi reali delle comunità; in tale contesto criticare apertamente è assai difficile e infatti ad Albiano chi lo fa usa la lettera anonima, mentre il CLP è stato costretto ad effettuare una serie di esposti alla Procura della Repubblica.
Come abbiamo avuto modo di dire, anche i funzionari sindacali, complice la passività operaia, si sono adattati a questa situazione giungendo ad affermare che chi si rivolge al CLP è “un uomo finito, rovinato” perché si mette contro il Sindacato!
Per quanto ci riguarda non ci lasciamo intimidire da questi signori né dai giovani rampolli che guidano alcune amministrazioni comunali e quindi continueremo ad essere a disposizione di chi ne ha bisogno esigendo il rispetto delle regole e soprattutto cercheremo di far emergere i reali problemi del settore.
Per quanto riguarda le proposte riteniamo indispensabile introdurre nella legge e di conseguenza nei disciplinari di concessione quelle modifiche atte a consentirne la reale applicazione così come propone il consigliere provinciale Filippo Degasperi.
Perché l’anonimato
Lettera aperta agli Amministratori Comunali di Albiano
Lo scorso 22 aprile è stata recapitata a Vigilio Valentini, uno dei portavoce del Coordinamento Lavoratori Porfido(CLP) una lettera non firmata inviata da “alcuni operai e artigiani trentini del settore porfido”, come si legge nella stessa. Nella lunga lettera, inviata anche al comandante della Guardia di Finanza all’assessore provinciale Olivi, al dirigente del Servizio Minerario, alla CGIL e alla UIL, oltre che a una serie di magistrati del Tribunale di Trento, si lamentano condizioni di lavoro “disumane” e ricatti da parte padronale.
Si parla di vendita in nero di materiale e di spreco della risorsa e vengono messi sotto accusa “i vecchi amministratori e famigliari del comune di Albiano”, lamentando l’assenza dei controlli. “Noi artigiani trentini – si legge nella lettera - siamo costretti a chiudere se non acquistiamo il grezzo in nero”.
Gli anonimi autori chiudono il loro scritto con la constatazione che “solo le loro aziende vanno male, ma loro sicuramente no” e chiedendo : “Ma noi operai cosa facciamo? Non abbiamo mica i loro soldi! E i nostri figli?”.
Per parte nostra provvederemo nei prossimi giorni a consegnare alle autorità competenti tale forte denuncia, seppure anonima, dato che non abbiamo notizia l’abbiano fatto altri a cui è stata indirizzata. Nello stesso tempo invitiamo però queste persone a non rimanere nell’anonimato, a partecipare alle nostre iniziative e a sostenere a viso aperto la battaglia che stiamo conducendo proprio per il futuro dei “nostri figli”.
Facciamo altresì notare che questa non è la prima volta che, sempre in modo anonimo, ad Albiano qualcuno fa sentire la propria voce in merito ai problemi delle cave di porfido. Ricordiamo che già nel maggio 2014 era circolato un volantino che invitava i cittadini di Albiano a svegliarsi e, sia pure operando una contrapposizione dal sapore vagamente razzista (“noi a casa e gli stranieri lavorano”) puntava l’indice accusatore contro gli allora amministratori comunali. Di esso venne data notizia dalla stampa locale ed il CLP, allora, ne prese le distanze proprio a causa di quei toni vagamente xenofobi, ma occorre riconoscere che esprimeva un malcontento diffuso.
Sempre da Albiano sono poi giunte al CLP (Walter Ferrari) due lettere anonime, la prima con timbro postale del 22 luglio e la seconda recapitata l’8 ottobre 2015, nelle quali veniva espresso un ringraziamento per il lavoro del CLP. Nella prima l’autore, dichiarando di essere “un operaio di Albiano”, scriveva che “la settimana scorsa il padrone ci ha preso uno alla volta dicendoci se qualcuno vi chiede se avete preso la paga dite di sì, altrimenti da domani siete tutti licenziati ed è da 3 mesi che non prendiamo paga”.
Nella seconda si puntava il dito contro il sistema delle autocertificazioni e si accusavano gli amministratori locali di non aver “mai fatto controlli”. Per inciso vogliamo ricordare, a fronte di tutto ciò, che nel 2010 il Distretto del porfido stilò un “Codice etico” firmato da 123 imprese nel quale le stesse “considerano il valore del lavoro, la legalità, la correttezza e la trasparenza dell’agire presupposti imprescindibili per raggiungere i propri obiettivi economici, produttivi e sociali”.
Ora, anche a prescindere dal merito delle questioni poste, il fatto che ad Albiano (comune col maggior numero di cave in concessione attive) le critiche debbano venire espresse in forma anonima dovrebbe far riflettere tutti quanti sui forti condizionamenti che la locale lobby del porfido esercita nei confronti dei cittadini. Questo è sufficiente a gettare un’ombra sulla realtà della vita democratica non solo di Albiano ma di tutti i paesi della zona del porfido.
Ci auguriamo che la nuova Amministrazione Comunale di Albiano si ponga questo problema e si sforzi di mettere in atto quelle tutele, arginando i ricatti e i condizionamenti che da sempre i concessionari mettono in atto per soffocare ogni dissenso in particolare nei confronti dei lavoratori, che consentano agli stessi di partecipare apertamente alla vita democratica della comunità.