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QT n. 11, novembre 2016 Trentagiorni

Soraga: fiamme contro i profughi

Il vigliacco gesto del tentativo di incendio dell’edificio che a Soraga avrebbe dovuto ospitare circa trenta profughi non poteva che accadere in valle di Fassa. La valle che grazie al turismo è uscita da una povertà quasi assoluta, terra di emigrazione, terra che ospita una minoranza linguistica, ha espresso un volto greve, pericoloso. Non poteva che accadere in valle di Fassa. Una frase pesante, detta così. Anche perché molti abitanti di questa terra non meritano di essere inscritti in questo quadretto. Ma è indubbio che gran parte dei residenti leggono l’appartenenza alla minoranza linguistica come un privilegio che permette loro ogni diritto. È indubbio che lo sviluppo turistico tanto sfrenato abbia demolito una storica cultura dell’accoglienza e abbia fatto emergere l’egoismo dei forti, di chi sente il suo benessere minacciato da intrusioni esterne. Perché a loro, a troppi ricchi arricchiti in tempi troppo brevi, tutto è dovuto, come ripetutamente scrivono sui quotidiani (“Fassa produce oltre il 15% del PIL trentino…”) ed in nome di questo Pil si giustifica anche ogni ulteriore erosione di naturalità e paesaggio.

Non poteva che accadere in Fassa, perché da oltre un ventennio il voto di protesta di una valle probabilmente ancora troppo povera culturalmente sfocia in percentuali bulgare offerte alla Lega o a Forza Italia. Perché gli attuali sindaci, amministratori del Comun General, con un eccesso di leggerezza, in tutti questi mesi, ricchi di sfrenata demagogia, orgogliosi, hanno rifiutato ogni confronto con la Provincia sul tema dei profughi. Siamo una valle turistica, noi, non possiamo dare ospitalità a nullafacenti, magari anche sporchi e per di più pagati con i soldi delle nostre tasse: questi sono gli ossessivi ritornelli che si raccoglievano nei bar o sui marciapiedi.

Non è stato nemmeno casuale, questa estate, vedere spazi pubblici nel comune di Moena arricchiti da adesivi di CasaPound e Forza Nuova, rimossi solo dopo alcune settimane di esposizione. Se fino ad oggi i comuni di Fassa non hanno ospitato nessun profugo, anche in Fiemme la situazione deve preoccupare. Solo i sindaci di Predazzo e Molina di Fiemme hanno offerto disponibilità: anche Fiemme è terra di turismo e l’economia turistica non può venire disturbata da persone bisognose.

Come bene ha scritto sul Trentino Paolo Mantovan, alle spalle di gesti isolati c’è pur sempre un contesto, culturale o emozionale. Quel tentativo di dare fuoco ai locali nasce da questo humus che si è consolidato nel corso di anni durante i quali ha trionfato l’elogio dell’isolamento culturale, una autosufficienza economica incapace di vedere le esigenze del breve futuro. Valli che si sono adagiate: nel privilegio e nell’egoismo.