Porte chiuse in Cooperazione?
I boss cooperativi si chiudono nel fortino a difesa del proprio status. Il rinnovamento bussa, sempre più forte. Basterà?
“Sait perde 11 milioni. Dalpalù centra il tris” è stato il (malizioso?) titolo in prima pagina dell’Adige: il consorzio ha i conti disastrati, ma il presidente (Renato Dalpalù) viene confermato al terzo mandato. A nostro avviso quelle parole sintetizzano lo stato del movimento cooperativo: in mano a una cerchia di burocrati inamovibili, anche quando responsabili di conduzioni disastrose.
Prendiamo un altro caso: Mauro Coser, presidente della Sft Aldeno, già autore della scissione dal consorzio La Trentina dei melicoltori extra Melinda, opera perdenti investimenti immobiliari, è imputato per truffa per il conseguimento di fondi europei, per frode in commercio per false mele biologiche, fa pagare al consorzio pesantissime multe per varie contravvenzioni, remunera i soci con liquidazioni del 20% inferiori al livello non Melinda, promette – a chi convoca un’assemblea per dimetterlo – di dimettersi spontaneamente all’imminente fine mandato, poi invece non si dimette e si fa riconfermare, disastrando ancor più la base sociale perché i soci dissidenti, che sono i maggiori conferitori, se ne vanno sbattendo la porta. Bene, tale campione dei valori cooperativi siede tranquillo nel cda della Federazione, dove gli altri boss gli esprimono piena solidarietà.
Il punto sembra questo. Ai vertici del movimento si è piazzato un ceto che anzitutto copre e perpetua se stesso. E conseguentemente poco si cura dei risultati pratici, economici, di quelle che sono sempre aziende; e per nulla si impiccia del tema vero: la ridefinizione odierna di valori e strumenti mutualistici.
Coop: un’impresa come un’altra?
Il fatto è che la cooperazione, soprattutto a livello nazionale ma anche in Trentino, è sotto attacco. Tutta una serie di scandali ne hanno minato la credibilità; e più in generale non si capisce la differenza tra una grande centrale del consumo come Coop-Nordest e una qualsiasi catena privata, ma anche da noi tra IperPoli e Superstore, se non che da Poli i prezzi (come ha dovuto ammettere anche Dalpalù) sono più bassi. Forse ci si è trastullati pensando che l’adesione agli ideali mutualistici potesse rimanere nel campo dell’estetica, da propinare nei discorsi infiocchettati di citazioni di don Guetti, ma di cui solennemente infischiarsi, essendo l’economia un’altra cosa. Errore capitale. Perché se le coop non sono strutturalmente diverse, vengono giustamente trattate come le altre imprese. Lo si è visto con la radicale riforma del credito cooperativo, attuata dal governo con scarso riguardo verso i presupposti mutualistici, evidentemente ritenuti pretestuosi. Una riforma che ha terremotato il sistema trentino.
“La peculiarità trentina – ci dice Geremia Gios, direttore del dipartimento di Economia all’Università di Trento, ma anche oppositore di Giorgio Fracalossi alla presidenza di Federcoop lo scorso anno - era quella di avere il credito interno alla Federazione. Con i presupposti per interconnettere tra loro i vari settori (la famosa intercooperazione: la Cassa rurale che collabora con la Coop di servizi o la Cantina sociale e viceversa ndr), ipotesi ora molto più difficile. Si è andati a trattare a Roma senza avere le idee chiare su quanto si potesse cambiare e quanto invece si dovesse mantenere: ma per far questo bisognava avere una visione del movimento, ma che fosse sostanziale, non di mera facciata”.
Il problema di fondo lo evidenzia Marina Mattarei, presidente della Famiglia cooperativa di Rabbi e Sole, esponente di punta degli “innovatori” e possibile candidata alla presidenza: “Occorre ridefinire il ruolo del movimento all’interno del mondo economico. E il senso della Federazione rispetto alle singole cooperative e consorzi. Temi noti, non affrontati negli anni di Schelfi e neanche sfiorati nell’anno di Fracalossi. Che è stato un anno buttato via”. Parole schiette, che rappresentano la penosa consapevolezza che si sta facendo strada nel movimento.
Dopo gli stanchi anni di Schelfi, l’elezione lo scorso anno di Fracalossi era risultata paradossale. Candidato della nomenklatura, affinché si facessero dei cambiamenti rispettosi dei diritti dei potentati, era Renato Dalpalù, travolto però non dai conti del Sait (di quelli, come abbiamo visto, non ci si cura), ma dal rovinoso crack di Btd, azienda edile di cui era dominus. Di fronte all’ipotesi Gios, che prospettava un cambiamento vero, ci si inventava allora la candidatura Fracalossi, nonostante già avesse mille cariche nel sistema bancario, e soprattutto fosse impegnato nelle trattative interregionali e nazionali per la nuova definizione del credito cooperativo. Il risultato è stato quello immaginabile: il neopresidente – peraltro riluttante – a Trento era assente, e anche a Roma, nonostante l’impegno, poco concludeva. E dopo dieci mesi, in un sussulto di dignità, si dimetteva.
Ma l’episodio metteva in luce il marasma ai vertici della Federazione: per fermare Gios (che peraltro aveva preso il 40% dei voti) ci si era rivelati disposti a qualsiasi acrobazia. E soprattutto si privilegiava il nulla, l’immobilità, in un momento in cui anche gli esiti degli sforzi romani di Fracalossi evidenziavano l’assoluta necessità del rinnovamento.
Le cose cambiano
“Finora siamo sempre stati sconfitti” – ammette, con la saggia ironia che gli è propria, Giuliano Beltrami, storica figura di cooperatore, delle Giudicarie, nel corso degli anni presidente di molteplici realtà cooperative, e via via descritto come “dissidente”, “riformatore” ecc – sempre in minoranza.
Il fatto è che il mondo cooperativo sconta due dinamiche: da una parte il riconoscimento a chi lo ha guidato nel corso dei decenni, di aver portato al benessere anche economico realtà periferiche territorialmente (le valli) o socialmente (i contadini ad esempio); dall’altra una cultura vetero-democristiana di prudenziale consenso verso i dirigenti, sempre omaggiati anche se, spesso, ipocritamente (ricordiamo gli stomachevoli “grazie Diego” con cui un’assemblea altrimenti perplessa aveva accompagnato la fine dell’ultimo grottesco mandato di Schelfi).
Questi elementi però si scontrano ora con una nuova, dura realtà. E forse le culture iniziano a cambiare. È il caso dell’assemblea della Sft di Aldeno, di cui parlavamo in apertura. Dove il presidente, indagato, non-dimissionario, Mauro Coser, è riuscito ad essere rieletto (nonostante il salasso cui le tasche dei soci sono state sottoposte) da 90 dei salassati. Vedendo però 30 altri uscire dall’assemblea e, probabilmente, dalla cooperativa, che ne sarebbe ferita a morte. L’acquiescenza cieca esiste ancora; ma non basta più.
Ancora più clamoroso il caso della Cassa Rurale di Rovereto. Reduce da un bilancio con 25 milioni di perdita, da un’impietosa ispezione della Banca d’Italia, vedeva candidato dai boss della Federazione, all’insegna della continuità e del tradizionale “scurdammoce ‘o passato” Paolo Spagni, membro del cda uscente: bene, Spagni è risultato sconfitto, anzi umiliato (1016 voti contro 201, con la Federazione che fuori tempo massimo balbettava “non è il nostro candidato”) proprio da Geremia Gios, esplicitamente presentatosi come esponente della discontinuità. Qualcosa sta davvero cambiando?
“In effetti abbiamo registrato un grande desiderio di cambiamento – ci dice Gios - che avrebbe sortito risultati non molto diversi se interpretato da altri che non dalla mia persona; è stata la voglia di riappropriarsi di una cooperativa che si sentiva sempre più distante. E così i risultati di bilancio negativi hanno coagulato un malessere che covava da tempo, verso un’istituzione che diventava sempre più la piccola banca dedita a gravose spese d’immagine (palazzo Balista) a scapito della mutualità spicciola, con i soci sempre meno coinvolti. E al contempo, si registravano uscite non sostenibili: tutte le banche, a seguito delle nuove tecnologie, dell’homebanking, hanno diminuito i dipendenti, le rurali li hanno invece aumentati. Con tutto il rispetto per le persone, questa non è una politica lungimirante, può portare nell’immediato qualche beneficio al territorio in termini di stipendi, ma alla lunga porta al disequilibrio dei conti, e a danni profondi”.
Questo il quadro in cui ora si deve trovare il successore di Fracalossi. “Tenendo presente il tema di fondo: quale è il senso della Federazione, che in questi anni è venuta svuotandosi di senso, peso politico, di credibilità, non tanto e non solo nelle persone, ma nel suo ruolo sindacale, per l’incapacità a delineare la mission della cooperazione” – afferma Mattarei.
In sintesi, una Federazione delle cooperative che non sa affrontare temi basilari come il rapporto tra i soci e i manager; della competizione o collaborazione tra cooperative; se i consorzi sono strumenti delle coop o viceversa; se in Trentino si punta sulla quantità importando prodotti da altre zone (magari spacciati per trentini) o sulla qualità valorizzando il locale… Bene, una siffatta Federazione serve? Riesce poi a rappresentare, difendere, promuovere il movimento a livello politico?
“A livello politico siamo snobbati, si è visto che coltivare amicizie è espressione di fragilità, si è sperimentato cosa ha prodotto l’asse Schelfi-Dellai. Dovremmo avere autorevolezza nei rapporti con la politica per via del nostro ruolo economico e sociale, invece di corteggiare il politico o l’assessore di turno” – risponde Mattarei.
“Per quanto riguarda la vita interna al movimento – prosegue - la Federazione, a scapito delle coop di primo grado, si è appiattita sui consorzi, di cui è diventata quasi espressione, generando un grande disordine istituzionale, il che porta anche a livello economico all’insuccesso”.
L’esempio può venire dalle famiglie cooperative. Che hanno problemi nel contrastare la concorrenza, in parte per responsabilità proprie, in parte per responsabilità del Sait, il consorzio che opera gli acquisti centralizzati. Alcune coop sono uscite dal sistema, approvvigionandosi per esempio da Dao, che è cooperativa anch’essa, ma malvista in alto loco; e allora sono intervenuti i fulmini federali, e si è anche varato uno statuto per cui è più facile uscire dalla mafia che da Sait. Che senso ha tutto questo?
E ancora: le famiglie coop reclamano un trattamento di riguardo dalla Provincia perché sostengono gli onerosi punti vendita decentrati, anima residua di piccole frazioni. Ma non si chiedono sostegni ai punti vendita in montagna, che peraltro spesso sono anche privati, bensì alle coop di fondovalle, o peggio ancora si pretendono ostacoli urbanistici alle aperture del rivale Poli. Quando il problema vero, più che gli spacci in montagna, sono i Superstore di Sait a Trento e Rovereto, ormai in costante deficit. È chiaro che in questa situazione le rimostranze in Provincia rimangono lettera morta.
“Questo è appunto il disordine istituzionale – afferma Mattarei - Se non hai coerenza nella filiera, non hai argomenti, il consorzio è nel disordine. Ora gli errori si possono fare, però bisogna riconoscerli e ripartire. Altrimenti è schizofrenia”.
Che fare?
Se questi sono i temi di fondo, come pensano gli innovatori di assediare il fortino cooperativo?
“Il primo punto sarà il meccanismo elettorale – risponde Sandro Pancher, che quattro anni fa si contrappose, a dire il vero con scarsa efficacia, all’ennesima rielezione di Schelfi – Contesteremo la rinuncia, a livello di elezione del presidente, del principio una testa un voto. È possibile che valga per le associazioni degli industriali, dei commercianti, degli artigiani, e non per noi, che ne facciamo una bandiera nella conduzione delle cooperative?” Un anno fa Gios, con il principio una testa un voto, avrebbe vinto tra le coop di primo grado. “Questo meccanismo è il machiavello con cui, dominando le coop più grandi e i consorzi, si sono blindati i gruppi dirigenti, che poi per mantenere il potere sono diventati arraffa tutto, con le tante presidenze in molteplici cda”.
“Il principio una testa-un voto è fondante del movimento cooperativo a livello mondiale – aggiunge Gios – mentre il sistema dei voti ponderati (ogni coop può averne fino a 5, in funzione del numero dei soci ndr) è evidentemente stato creato per ostacolare il cambiamento. Il che rende solo il cambiamento violento, non graduale”.
Collegato al sistema elettorale, il secondo punto che gli innovatori intendono sollevare è il cumulo di incarichi. Che punta al cuore del sistema. La moltiplicazione degli incarichi apicali infatti, crea una casta, genera potere concentrato, produce inefficienza. È chiaro infatti che chi presiede dieci società, lavorerà poco in ognuna di esse; anzi deprezza il lavoro e la managerialità, sostituiti dai rapporti, dalle amicizie, dalle complicità. È un cancro nel sistema, è il collante di una piccola casta, che si rende inamovibile.
“Non più di tre posizioni apicali retribuite” afferma Beltrami. Ottimo programma.
E il candidato? È ancora presto, dicono. La più gettonata, a contrastare quella che sembra la candidata dell’establishment, l’attuale vicepresidente vicaria Marina Castaldo, è attualmente un’altra donna, un’altra Marina: Mattarei.
Marina Castaldo: a domanda risponde...
Marina Castaldo, dopo l’abbandono di Giorgio Fracalossi da vice è diventata presidente di Federcoop. E se i gran capi del movimento non troveranno un qualche altro accordo, sarà la loro candidata alle votazioni in autunno. L’abbiamo incontrata al mitico sesto piano del palazzone di via Segantini: esile, non da’ l’idea di essere il boss di un movimento che guida centinaia di imprese. Poniamo subito i quesiti più controversi.
Sistema elettorale: una testa-un voto anche per l’elezione del Presidente?
“Se nelle cooperative di base il principio va bene, nella Federazione a votare sono le cooperative, non le persone e quindi la testa non è più una persona. Dopo la modifica dello scorso anno per cui le società di sistema hanno un voto solo, abbiamo ragionato e non siamo arrivati a una conclusione, ma io penso sia opportuno che le società mantengano il diritto da uno a cinque, anche perché chi ha più voti paga di più”.
Cosa pensa del cumulo degli incarichi?
“Non ne abbiamo discusso. Credo che debba esserci qualche limite, poi bisognerà distinguere i collegi sindacali dalle presidenze”.
Quale la mission della Federazione?
“Dare un indirizzo alle coop, una visione di dove andare, per indirizzarle verso il meglio per loro, i soci, il territorio. Aiutarle ad avere questa visione, ad analizzare il mercato, valutare se serve una fusione oppure no”.
La Federazione ha oggi le capacità per svolgere questo ruolo?
“La capacità ce l’ha, perché si confronta spesso con i consorzi e le coop, in tanti settori”.
Quando fu presentato il Piano Pedron per il vino trentino, Schelfi richiesto di un parere, disse “non mi intendo di vino”…
“Non sono una tuttologa, e sono per la condivisione, anch’io non darei la linea sul vino o sul formaggio, ogni vicepresidente si prende la sua responsabilità e porta avanti il suo settore”.
I consorzi devono servire alle coop di primo grado o viceversa?
“Credo che debbano esserci le due cose insieme. Se un consorzio dà la linea senza aver dietro le coop non va da nessuna parte, se invece si procede insieme, ci si impiega più tempo, ma si va più lontano”.
Qualità o quantità, soprattutto nei prodotti agricoli?
“Devono andare di pari passo: devono produrre reddito per i soci”.
Non è che a seguire la quantità si perde il legame con il territorio?
“Prima di tutto il reddito dei contadini, la valorizzazione del territorio, poi altri ragionamenti”.
Codice etico? In caso di condanne?
“Quando è definitiva uno è fuori”.
Si dovranno apettare 10 anni, quindi…
“No, quando c’è una condanna si faranno le valutazioni”.
C’è una crisi della cooperazione?
“Non credo che sia in crisi il modello coop. Si evidenzia sempre chi ha problemi, senza vedere le coop che conseguono grandi risultati”.
Si candiderà in autunno?
“La mia candidatura è del tutto prematura”.