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QT n. 6, giugno 2016 L’editoriale

Un’Europa federale, presto

Comincia ad essere urgente. Non c’è più tempo da perdere. Le quantità enormi di poveracci che dall’Africa e dal Medio Oriente continuano a venire nel vecchio continente pone a tutti gli europei il medesimo problema. Come accoglierli, come organizzare la loro integrazione, come convivere con essi. Ed anche come contrastare le reazioni di intolleranza che la migrazione suscita in tutte le “province” europee. Fenomeni che alimentano il risorgere di istinti razzisti che abbiamo conosciuto e patito nel “secolo breve” e che provocarono la più massacrante barbarie della storia nella civile Europa.

La crisi economica che dura ormai da un decennio non ha la caratteristica di un passeggero fenomeno congiunturale, ma mostra tutti i sintomi di una morbosità strutturale, dovuta alla inefficienza del modello di società dominato dal mercato che abbiamo costruito. Ebbene, anche questa crisi pone tutti gli europei, chi più e chi meno, innanzi alle stesse difficoltà. Come risanare i debiti degli stati, come supplire con investimenti pubblici al tracollo degli investimenti privati, come adeguare i sistemi fiscali al criterio della progressività, come controllare l’immane capitale finanziario che vola da un continente all’altro al mero servizio della speculazione privata senza produrre lavoro ed eguaglianza, come fare tutte queste cose da parte dei singoli stati, ciascuno per conto proprio con la sua fatale impotenza?

La globalizzazione ha trasformato il nostro pianeta in un condominio sovraffollato. In esso convivono stati a dimensione continentale, la Cina, l’India il Brasile, gli Stati Uniti. Cosa contano in tale complesso il Belgio o l’Ungheria o l’Italia o la Francia o la stessa Germania? Appunto, piccole insignificanti province al confronto di interi continenti.

Così stanno le cose e noi siamo ridotti ad un’Europa dei banchieri che stanno a Bruxelles e, ciò che è persino peggio, al risorgere un po’ dappertutto di gretti nazionalismi, chiusi nella loro piccola dimensione, inclini a tornare indietro ed incapaci di guardare al futuro.

Basta un elementare buon senso per capire che per far fronte alla situazione descritta è necessario ed urgente costruire un’Europa unita. Ma non a parole, come è quella di oggi. Ci vuole una Europa federale, con un governo federale, eletto da tutti i popoli europei, con i poteri propri dei governi federali in politica estera e nella difesa, ma anche con poteri per intervenire nell’economia. Primo di tutti il potere fiscale, essenziale per controllare il mercato finanziario, per prelevare da esso, senza che possa rifugiarsi nei paradisi fiscali, le risorse necessarie per costruire un modello di economia diverso che miri a ridurre le abissali disuguaglianze che ci affliggono.

Non è un progetto facile da realizzare, lo so. Ma è urgente, non c’è più tempo da perdere.

Lingue diverse, strutture di governo separate, orientamenti di popoli contrari. Ma la politica ha appunto il ruolo di superare queste difficoltà, di creare la cultura necessaria per rendere possibili le soluzioni dei problemi.

Non è facile costruire subito un’Europa federale. La Gran Bretagna addirittura è pervasa da una tendenza, spero non maggioritaria, ad uscire persino dall’Europa incompiuta di oggi; con altri stati dell’est che mostrano inclinazione a chiudersi in un passato meschino; con i popoli pervasi da istinti retrivi.

Eppure è necessario procedere in avanti. Magari anche con la partecipazione di solo alcuni degli stati europei. È possibile che il buon senso, fosse anche in una minoranza di essi, prevalga. Gli altri verranno dopo. È urgente muoversi, vincere le resistenze, compiere i primi passi nella direzione giusta.

Se ci fosse Massimo d’Azeglio oggi direbbe: bisogna fare l’Europa, poi faremo gli europei. Così disse a proposito dell’Italia, ed ebbe ragione.