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QT n. 9, settembre 2015 Monitor: Cinema

“Venezia 72”

Cinque film

Il cinema è uno specchio del mondo, dei mondi, in cui viviamo. In un grande festival come la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, giunta quest’anno alla LXXII edizione, lo specchio è ampio e diversificato e permette un viaggio tra realtà e temi diversi con a volte comparazioni possibili. Nei primi giorni del festival si sono visti alcuni film sulla famiglia, intesa in senso ampio e diversificato.

C’è per esempio quella di “Looking for Grace” della regista australiana Sue Brooks, che attraverso l’episodio della fuga dell’adolescente Grace con un’amica per andare a vedere un concerto, mostra una famiglia contemporanea pervasa da di inquietudini, insoddisfazioni, debolezze in un percorso che dal romantico adolescenziale vira progressivamente verso il drammatico. Ambientato nei paesaggi semidesertici dell’Australia occidentale e diviso per episodi, il film mostra con precisione e sincerità legami relazionali. Uno sguardo attento al micromondo familiare forse a tratti un po’ troppo femminile, dove non a casa tutti i pochi maschi sono i personaggi più discutibili.

A proposito di comparazioni, un’altra storia di una ragazza adolescente è quella di “A peine j’ouvre les yeux” (Appena apro gli occhi), della regista tunisina Leyla Bouzid. A Tunisi, nell’estate del 2010, dunque pochi mesi prima della rivoluzione, la diciottenne Farah si è appena diplomata e la sua famiglia vorrebbe iscriverla alla facoltà di Medicina. Lei non la pensa così: canta in un gruppo rock politico, vuole vivere, divertirsi, scoprire l’amore e la città di notte. Tutto questo ovviamente contro la volontà della madre, che pare solo una donna apprensiva e preoccupata per le poco raccomandabili avventure e amicizie della figlia. Il grande pregio di questo bel film è mostrare progressivamente una realtà allargata alla spalle di Farah, dalle pieghe private a quelle più politiche della società tunisina, fatta di controlli polizieschi, repressione brutale, maschilismo diffuso anche tra i giovani, clientelismo politico, contraddizioni e difficoltà nell’emancipazione femminile.

Come è emozionante è il cinema quando deraglia da se stesso e va dove vuole con grande ricchezza di elementi e di libertà compositiva per ragionare in modo complesso sugli interrogativi umani! È il caso di “Francofonia”, l’ultimo lavoro del maestro, in questo caso non si può non usare questo termine, Alexander Sokurov. Il pretesto è la storia del direttore del Louvre Jacques Jaujard e del conte Franz Wolff-Metternich che, all’epoca dell’occupazione tedesca di Parigi, lavorano insieme per proteggere i tesori del museo. Ma questo episodio, raccontato a frammenti e con molta libertà di composizione e materiali, si interseca con altri inserti, immagini, riflessioni che ci portano a ragionare sul tempo, le trasformazioni della società, l’effimero del potere, la continuità dell’arte e cosa ci dice di noi. Un film irregolare e bellissimo.

Al contrario, chiusi nei generi cinematografici, appaiono i film americani. “Black Mass” di Scott Cooper, con Johnny Depp, è un classico film di gangster. Ispirato a una storia vera, racconta le vicende di una gang di mafiosi irlandesi che hanno dominato la città, con la protezione dell’FBI, tra gli anni ‘70 e ‘80. Ben fatto, ben recitato, tutto a posto, ma già visto molte volte.

Di genere anche “Spotlight” di Thomar McCarthy. Sempre Boston e ancora una storia vera, ma in epoca più vicina a noi. Il film narra l’indagine di un team di giornalisti del Boston Globe (chiamato appunto Spotlight) per mettere alla luce gli intrighi tra Chiesa cattolica e realtà economico-politiche della città per insabbiare le accuse di pedofilia contro i sacerdoti della diocesi cittadina. “Tutti gli uomini del presidente” versione 2000: ottimi attori, su tutti Stanley Tucci, Mark Ruffalo secondo, poi ritmo, scrittura, dialoghi, scene. Tutto molto bello e molto nel genere indagine giornalistica che scopre le nefandezze della società Usa. Loro sbagliano, ma hanno sempre i giusti anticorpi...