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QT n. 9, settembre 2014 Monitor: Cinema

I film della mostra di Venezia / 1

Anni di crisi

Anni di crisi, e si nota, anche alla 71a Mostra di Venezia. All’esterno meno pubblico, meno giornalisti e addetti ai lavori, meno curiosi alla ricerca di autografi e glamour, meno stands, meno apparato. Nelle sale produzioni cinematografiche di medio livello, registi meno acclamati, meno celebrità. Ne risente l’idea del cinema come mondo fantastico, mitico, popolato di esseri meravigliosi e irraggiungibili, e del festival come suo specchio e defilé. Ma d’altra parte un certo rigore ed asciuttezza è da anni scelta dei direttori, e porta a focalizzarsi maggiormente sulle opere presentate.

“Birdman”

Apertura con “Birdman” di Alejandro Gonzales Iñarritu, primo film a concorso e quasi emblematica anteprima del festival nella sua riuscita sintesi di spettacolarità e contenuto. Nel film Michael Keaton interpreta un attore che, vent’anni dopo il successo a Hollywood col popolare/commerciale personaggio del supereroe Birdman, vuol dimostrare al mondo di non essere solo una celebrità ma anche un vero attore. Eccolo dunque alle prese col caotico allestimento di una produzione teatrale a Broadway, dove interpreta il protagonista di un testo di Raymond Carver. Apparire ed essere, la notorietà e l’arte, l’egoismo narcisista dell’attore come emblema di una società di individui alla ricerca di riconoscimento, sono argomenti che si sviluppano in sequenze che pedinano i personaggi entrando e uscendo dal teatro, nelle strade di New York e nel suo cielo con realismo, teatralità e fughe in avanti fantastiche e immaginifiche. Dialoghi serratissimi e aperture visionarie si mescolano in un film sorprendente, spettacolare ed emozionante.

Vale la pena di parlare di alcuni film italiani presentati in varie sezioni, considerando che sono tra quelli che più hanno probabilità di essere distribuiti e visti dal pubblico nazionale. Tre film nel concorso ufficiale “Venezia 71”.

“Anime Nere” di Francesco Munzi è un buon prodotto di genere, quello malavitoso italiano. Una famiglia calabrese parrebbe essersi “emancipata” in organizzazione di businessmen con traffici tra nord Italia ed Europa. Ma parentele, mentalità e radici meridionali non sono cancellabili e la tradizionale, tragica resa dei conti è al varco. Privo di sbavature o cadute, il film funziona, merito anche di una sceneggiatura precisa e un buon cast che non annovera nessuna celebrità nazionale.

In “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo due giovani si incontrano, si innamorano, si sposano e hanno un figlio a New York. Lei, Alba Rohrwacher, nel vivere la gravidanza e la nascita del figlio sviluppa una paranoica ossessione per la protezione, al punto da crearne problemi alla crescita. Il compagno reagisce e la fine sarà tragica. I meandri dolorosi della mente il conflitto tra percezione materna e medicina razionale, dinamiche di relazione di una donna innamorata e madre inadatta. Il film presenta temi interessanti e funziona finché non oltrepassa un limite di durata, dopo il quale implode in un sovraccarico di dramma virato a mistero che rischia il filo dell’improbabile.

Il giovane favoloso”, biografia di Leopardi diretta da Mario Martone e interpretata da Elio Germano, è un film didascalico, scolastico. Un po’ come quando al liceo si studiavano vita e opere un po’ librescamente, senza troppa analisi del testo, e si cercava attraverso questi di capire i contenuti, i sentimenti di opere e autori. Va detto che nel film, piano e pedissequo, l’operazione funziona. La vita di Leopardi, il suo studio, le sue vicende i suoi dolori, soprattutto la repressione subita dalla famiglia, dall’essere confinato in provincia, dalla Chiesa, da mille altre forze che lo schiacciano escono espliciti nel conflitto interno con i sentimenti, i desideri, i sogni, l’amore, e sono motore della malinconia, della frustrazione, della ribellione e rabbia che infine hanno attraversato l’animo del poeta. Un film adattissimo agli studenti, per le vicende, le opere e anche come spunto alla riflessione esistenziale/artistica.

Tra i film della sezione “Orizzonti”, “La vita oscena” di Renato De Maria è un film non riuscito, ispirato all’omonimo libro di Aldo Nove. Il regista prende una vicenda intensa quanto sottile, la depressione e la perdita del senso della vita da parte di un adolescente che perde i genitori amati e la mette in scena con tutto il ciarpame visuale modaiolo di certo cinema e music/video moderno. Scopiazzamenti mal riusciti di Wong Kar Way, Terence Mallic, Harmory Corinne con voce fuori campo, ralenti, effetti mescolati e diavolerie varie per dare consistenza a un personaggio con il quale non si viene mai a empatico contatto.

Ancora per il cinema italiano, unico film presentato dall’Italia nella sezione “Biennale College Cinema”, l’opera prima di Duccio Chiarini “Short Skin” pare proprio un’emblematica produzione indipendente. Un piccolo film leggero, delicato e anche divertente che racconta di Edo, adolescente che soffre di una malformazione al prepuzio che gli impedisce l’attività sessuale. Una cosa risolvibile, ma che nell’ottica inesperta e super sensibile di quell’età diventa ben più problematica, rendendo Edo timido con le ragazze. Sincero e simpatico, soprattutto, in un suo modo realistico e non pretenzioso.