Anni di crisi
I film della mostra di Venezia / 2
In Italia la crisi economica permane. In Usa si sta riprendendo: la borsa cresce, la produzione anche, i disoccupati diminuiscono, dicono. Bene. È da vedere poi se questa ripresa riguarda anche le classi più povere e impoverite. Chissà quindi se un film come “99 Homes” di Rami Bahrani è già da considerarsi sorpassato. Ne dubito. In modo piano ma efficace, il film racconta lo sfratto da casa di un giovane carpentiere vedovo con figlio e madre a carico. Crisi al lavoro, qualche rata del mutuo saltata, citazione in tribunale ed in un batter d’occhio ecco il mediatore della banca, con alle spalle fabbro e polizia armata, che intima di svuotare e abbandonare la casa in pochi minuti. Altrimenti si rischia pure il reato di violazione di proprietà privata (visto che la casa è ora della banca). Una casa del valore di 150 mila dollari, al netto dei debiti, viene liquidata con 3500 dollari. Fin qui cose già viste anche nel documentario di Michael Moore “Capitalism: A Love Story”. La vicenda però prosegue con il carpentiere sfrattato che per tornare ad avere la sua casa diventa collaboratore del mediatore bancario, facendosi coinvolgere nella sua attività e nei suoi traffici poco legali correlati. La grande paura di cadere, ma anche poi seduzione di un benessere che secondo le regole del capitalismo Usa si fonda sul mangiare per non essere mangiati, sfruttare per non farsi sfruttare. Criticato e un snobbato perché privo di qualità squisitamente cinematografiche, forse è un film dalla tematica sorpassata o forse di queste storie non se ne vuole più sapere tanto. Ma almeno un elemento del film è emblematico e sottolinea con estrema crudezza la peggiore radice del capitalismo: in Usa, il diritto sta dalla parte dei creditori e quando tu non puoi pagare loro i soldi (o le case) se le prendono con la forza. Punto. Altro che ammortizzatori sociali, articolo 18...
Non è in crisi, almeno per ora, il documentario.
“Im Keller” dell’austriaco Ulrich Seidl (qualcuno ricorderà “Canicola”) racconta di scantinati come luoghi di dedicati al tempo libero e alla sfera privata. Molti austriaci trascorrono più tempo nello scantinato che in salotto, che spesso è solo una facciata. Nello scantinato assecondano il loro bisogni, i loro hobby, le loro passioni, le ossessioni. Ecco quindi fanfare, arie operistiche, barzellette volgari, poligoni di tiro, sessualità, sadismo, fitness, fascismo, fruste, bambole, serpenti, fucili. Un saggio cinematografico che con montaggio sapiente e riprese fisse, ma non immobili, disvela progressivamente il mondo nascosto sotto la superficie dell’anima austriaca. Una composizione che inquieta, sorprende, inorridisce, diverte e disarma.
Dalla Germania un interessante e bellissimo documentario sul cinema tedesco del periodo della Repubblica di Weimar: “Von Caligari zu Hitler” di Rüdiger Suchsland. L’epoca più libera mai prima esistita sul territorio tedesco (1918-1933), turbolenta, disordinata, e anche il periodo più importante del cinema tedesco. In un’alternanza di immagini di film d’epoca, interviste e commenti fuoricampo, che seguono l’omonimo libro di Siegfried Kracauer, una panoramica tra film, registi, attori che hanno prodotto l’espressionismo, ma anche tante altre opere dei più diversi generi cinematografici. Un viaggio appassionante alla scoperta di un mondo vitale che, con l’avvento del nazismo, è emigrato in grande parte ad Hollywood, dando sostanza, qualità, idee, storie, volti e splendore a quel cinema. Su tutti: Fritz Lang, Billy Wilder, Ernst Lubitsch Marlene Dietrich...
“Giulio Andreotti - Visto da vicino” è infine un documentario del giornalista Tatti Sanguinetti sulla figura del nostro più conosciuto e longevo politico nel periodo tra il 1947 e il ‘53, epoca in cui era sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo spettacolo, e presidente della commissione di censura del cinema. È l’epoca in cui Andreotti va ricordato per importanti azioni, in ambito cinematografico: salva l’Istituto Luce e il suo archivio, riapre gli studi di Cinecittà, riporta la Mostra del cinema al Lido di Venezia e soprattutto nel 1949 emana la legge di sostegno al cinema italiano, imponendo una tassa sul doppiaggio dei film americani che se altrimenti avrebbero invaso il paese, creando così le premesse per una nuova classe di produttori e produzioni italiane. Successivamente il documentario si concentra sull’attività di Andreotti come censore, mettendo a confronto immagini di film, documenti e i provvedimenti presi all’epoca con il diretto responsabile che ne risponde in parti di intervista. I commenti sono a volte autocritici, spesso giustificati con personali ricostruzioni del contesto d’epoca, talvolta autoindulgenti. L’impressione è che, in questo campo l’azione di Andreotti (ha affossato 5 film e ne ha salvati cinquemila) segni un bilancio nettamente positivo e va dato merito al film di rivalutarla, anche con una certa indulgenza. Da qui a salvare tutta la figura del politico ne passa, anche se l’ex sentore non perde mai la sua vena ironica.