Mostra Del Cinema
Qualche film da Venezia
La proposta cinematografica della Mostra di Venezia è abnorme. Quattro sezioni a concorso, cortometraggi, documentari, retrospettive, eventi speciali, film fuori concorso. Una follia. La quantità non fa l’anima e il prestigio di un festival, ma il richiamo mediatico dell’evento innesca una volontà di partecipare e offrire che va al di là della oggettiva possibilità di essere considerati come si deve da pubblico e critica. Per questa edizione otto sale con in media cinque proiezioni al giorno per dieci giorni. Totale 400 film, la metà circa togliendo le repliche. Un po’ meno sarebbe stato anche meglio. Ecco una selezione secondo il mio gusto e la possibilità di una visione in sala.
Il primo impulso mnemonico è per “Philomena” di Stephen Frears, storia vera di una donna irlandese che decide di mettersi sulle tracce del figlio strappatole dalle suore del convento dove era “rinchiusa” in quanto figlia peccatrice cinquant’anni prima. Un film semplice, classico, con sceneggiatura di ferro, capace di alternare grande ironia e commozione, interpretato magistralmente da una coppia di attori straordinari (Judi Dench e Steve Coogan) che nel loro incontro mettono a confronto due culture, religioni, classi sociali, in definitiva due mondi: Inghilterra e Irlanda, così vicini e così lontani come possono essere il perdono e la condanna senza appello.
“Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht” di Edgar Reitz (e chi se no?), di quasi quattro ore in bianco e nero, è una storia familiare e una storia d’amore ambientate in un villaggio della Renania nel 1842. Il sogno di emigrare in Sudamerica di Jakob con l’amata Henriette è mandato in frantumi dal fratello, che lo realizzerà al posto suo. Sullo sfondo altri personaggi e vicende, ma soprattutto lo straordinario quadro di una Germania dimenticata, dove l’emigrazione di centinaia di migliaia di uomini era il fantastico e disperato tentativo di sottrarsi all’opprimente miseria e dispotismo che dominavano all’epoca. Un film fluviale, a momenti anche un po’ faticoso, ma affascinante nella ricostruzione degli ambienti, delle dinamiche, di tanti elementi di un’epoca che in fondo risale a soli 170 anni fa.
Si distingue per la sua inutilità un film come “Parkland”, di Peter Landesman, che ricostruisce mescolando fiction e documenti originali l’assassinio del presidente Kennedy a Dallas nel ‘63. Niente di nuovo, anzi molto meno di ciò che si sa già, sottolineato solo il rimbambimento generale da shock dell’evento, mentre forza per rimettere al centro un Kennedy martire, quando la storia attuale lo sta ridimensionando per le eredità non proprio edificanti nella vita privata e politica, vedi la guerra in Vietnam.
Bello, attuale, importante è “Razredni sovraznik” (tradotto: “Nemico di classe”), del ventottenne sloveno Rok Bicek. In una classe del liceo di Lubiana arriva un supplente di tedesco poco empatico, esigente, duro e molto preparato. Chi non è preparata è la classe, che si scontra con lui mettendo in mostra tutto un universo giovanile fragile perché da sempre trattato con i guanti e reattivo con antagonismo ottuso nei confronti dell’insegnante. Girato interamente in una scuola con attori non professionisti molto bravi, il film è un’interessante riflessione sulla scuola e la famiglia, sul nazismo e su cosa può essere considerato tale; infine una metafora della società slovena refrattaria all’autorità e allo stesso tempo intollerante rispetto ai diversi.
Di buon livello la rappresentanza italiana (per quanto visto), tra cui “Piccola Patria”, del padovano Alessandro Rossetto, realizzato col contributo finanziario e il supporto tecnico della Trentino Film Commission. Una esplorazione nel Nordest italiano costruita con un ventaglio di figure che intrecciano la loro povera esistenza fatta di ossequio al denaro, sessualità trasgressive, evasioni fiscali, razzismo ignorante. Ancora scuola con “La mia classe”, di Daniele Gaglianone, che mescola fiction e realtà nel mostrare una classe di italiano per stranieri, con il maestro interpretato da Valerio Mastandrea. Bravi gli attori e buona la messa in scena, ma lascia un po’ perplessi la scelta di far brutalmente entrare la realtà nel film con il dramma di un migrante che non può continuare il corso, ma nemmeno il film, perché gli è scaduto il permesso di soggiorno. Si capisce l’intenzione di dare peso a una devastante realtà, ma questo rischia di svilire tutta la buona parte di fiction precedente.