Il popolo che non c’è
È molto difficile riflettere sull’Europa nel mezzo di svariate crisi, da quella finanziaria connessa al debito greco a quella politico-militare dell’Ucraina, fino al nodo dell’accoglienza dei rifugiati e della questione migratoria. Parlare genericamente di Europa significa cadere nell’errore di non distinguere i vari piani della complessa architettura istituzionale dell’Unione, non capire che ogni livello ha le sue responsabilità. Oggi molti osservatori non evidenziano come i cosiddetti “burocrati di Bruxelles” risiedono a Francoforte, alla BCE, organismo potentissimo senza alcun controllo democratico. Nella capitale belga si riunisce la Commissione europea, che dovrebbe essere il vero governo comunitario, rappresentante di quel federalismo auspicato e mai attuato, ma che invece è incolore, soverchiata com’è dal Consiglio dei capi di Stato e di Governo, capace di fare il bello e il cattivo tempo. Questo Consiglio è diventato, quando va bene, una camera di compensazione di interessi nazionali dei singoli paesi; ma quando va male si trasforma in un’aula di scolari indisciplinati che litigano e si prendono in giro, con la maestra rigida ma incapace di guidare la classe, rivelando una preoccupante mancanza di leadership.
Ci riferiamo naturalmente ad Angela Merkel, priva di qualsiasi progetto a lungo termine sull’Europa. Forse però non possiamo chiedere ai tedeschi di non fare quel che fanno i francesi, i polacchi, gli ungheresi, gli inglesi, i greci stessi e così via. Tutti sono chiusi nei propri interessi, quelli della propria nazione (e al limite quelli del proprio elettorato). Ci troviamo così senza idee e senza guida.
Il punto è che il governo Tsipras rappresenta il popolo greco, come il governo Merkel rappresenta il popolo tedesco: non bisogna ritenere che chi la pensa in un certo modo rappresenta il popolo, mentre chi non fa quello che vogliamo non lo è. Il problema è che non esiste il popolo europeo, in quanto non lo si è voluto promuovere. Quella che viene al pettine è la scelta compiuta alla fine degli anni ‘90 (su spinta inglese e poi francese, e dietro tutti a rimorchio) di far prevalere gli interessi nazionali su un più complessivo interesse comunitario, europeo: obiettivo raggiunto allargando l’Europa verso est e contemporaneamente diluendola, mantenendo cioè istituzioni deboli, che per di più dovevano prendere decisioni unanimi.
E così, senza una guida forte come potrebbe essere l’Europa a due velocità (al centro la Germania e un nucleo coeso di paesi che alla Federazione europea ci credono; più defilati, con meno vincoli, l’Inghilterra, l’Ungheria di oggi e le nazioni euroscettiche) ognuno si arrangia come può. Inutile invocare solidarietà tra i membri, se viene meno la consapevolezza che l’Europa “conviene”: i rigurgiti nazionalisti sono dietro l’angolo. Il referendum greco sarebbe una buona notizia, perché quando viene ascoltato il popolo, è sempre una buona cosa. Ma un referendum indetto a mezzanotte, in una data ravvicinatissima (neanche 10 giorni!) fa assomigliare la Grecia alla Crimea e al referendum-farsa per l’annessione alla Russia.
Questo dilettantismo investe anche chi non ha saputo trovare un accordo con un paese, la Grecia, che rappresenta l’1% del PIL dell’eurozona.
In questo scenario Renzi assomiglia a Berlusconi. Quando Merkel e Sarkozy ridevano di lui, Berlusconi diceva che finalmente l’Italia era rispettata; quando l’Europa (e singoli paesi) sbattono le porte in faccia alle nostre richieste in tema di immigrazione, Renzi dice di aver ottenuto un successo. Il nostro peso è nullo, come si è visto durante l’avvilente semestre a guida italiana. Così nei rapporti bilaterali: possibile che la Francia chiuda le frontiere quando alcuni mesi fa Renzi parlava dell’asse strategico con Hollande?
Come possiamo pensare che quest’Europa affronti in maniera incisiva altre emergenze come il terrorismo di matrice islamica? Non parliamo poi dell’Italia, la cui gestione dei rifugiati dimostra totale mancanza di lungimiranza. Se le parole leghiste sono barbare e fasciste, l’incapacità della sinistra di affrontare la situazione partendo dai propri valori (se ci sono ancora) manifesta scarso contatto con la realtà.
Tante parole, caro Renzi. Riforme discutibili, come quella della scuola. Idee nuove davvero poche, ché certo nuova non è l’ideologia aziendalista per cui ogni ambito della società (scuola compresa) dovrebbe essere governato attraverso una rigida catena di comando. E anche in questo caso quando mancano idee e politici veri, può accadere di tutto.