Musica a scuola: l’anomalia trentina
Una sola scuola media musicale, un decreto nazionale non recepito, i bandisti incaricati della didattica... Tutte le stranezze della situazione trentina.
Con la riforma dei conservatori, ormai dodici anni fa, è stato avviato, a partire dal fondo (ovvero dall’alta formazione), il riordinamento dell’insegnamento della musica nella scuola pubblica.
La legge 508 del 1999 ha sostanzialmente equiparato i conservatori a università che si occupassero esclusivamente del livello più alto della formazione musicale. Il percorso a ritroso, però, non è mai stato completato. Il curricolo verticale, insomma, non è mai stato sviluppato. Ed oggi ci si ritrova ad avere, nei fatti, un buco formativo: tra la scuola primaria (prima e ultima educazione di base alla disciplina musicale) ed il conservatorio (alta formazione), il vuoto.
Unico ponte resisteva, fino al 2010, il liceo socio-psico pedagogico. Fino al 2010, appunto: di insegnamento di musica nelle scuole superiori, oggi, non c’è più traccia. Fatta eccezione, ovviamente, per il liceo musicale e coreutico, di morattiana (prima) e gelminiana (poi) potestà; l’accesso al quale, però, è riservato a pochi, a causa della dislocazione geografica poco capillare, del limitato numero di classi attivate e delle restrizioni sull’iscrizione.
Su quest’ultimo, peraltro, è imperniata la prima delle anomalie trentine sul tema. Probabilmente solo in Trentino, infatti, al liceo musicale e coreutico la didattica è consegnata agli insegnanti del conservatorio: in altre parole, l’insegnamento liceale è affidato a professori “universitari”: una situazione che, se non penalizzante (per la centratura dell’insegnamento stesso), pare per lo meno rappresentare un tiro alla corda, o forse ai cordoni. Che taglia fuori dal gioco altri insegnanti abilitati, che potrebbero invece coprire queste posizioni, come peraltro accade in molte altre regioni d’Italia.
A livello normativo e organizzativo, comunque sia, questo è quasi solo un dettaglio, nel complesso della peculiare situazione provinciale.
Decisamente più inquietante, infatti, è scoprire quante sono, sul territorio trentino, le scuole medie a indirizzo musicale (SMIM). L’uso del plurale, in questo caso, non è appropriato, poiché si tratta di una scuola soltanto (le “Bresadola” di Trento). In provincia di Bolzano le SMIM sono invece una decina, in Veneto circa ottanta: e così via, disseminate per il territorio nazionale. Secondo Roberto Ceccato, dirigente del Servizio Infanzia Istruzione e Formazione professionale, il Trentino non ha però, in merito, niente di cui doversi vergognare, sebbene ci si stia interrogando su come e dove attivare altre SMIM. Visto come sono andate le cose negli ultimi quindici anni - viene da pensare - è davvero un peccato che non ci siano scuole medie private intenzionate ad attivare un indirizzo musicale: l’attenzione, per queste, sarebbe probabilmente molto diversa; ripercorrendo la (tristemente) lunga storia di disparità tra scuole pubbliche e scuole private sul territorio provinciale, in effetti, parlare di “vergogna” è piuttosto riduttivo.
Il problema, tuttavia, non è solo questo. Affrontando l’argomento del curricolo verticale per l’insegnamento della musica, il legislatore e gli amministratori fanno proprie le parole degli esperti e degli insegnanti del settore musicale e si sperticano in lodi alla disciplina. E come potrebbe essere altrimenti: la musica è cultura, per di più radicata nel nostro paese; attiva particolari aree del cervello, favorisce l’interazione, educa all’ascolto, e così via.
All’atto pratico, però, lo sforzo profuso per promuovere la presenza della musica nei curricoli didattici della scuola pubblica si è fermato a metà dell’opera (se non prima). E la formazione musicale è diventata, dove già non lo era, cosa per pochi.
Qualcuno ricorda la Beata Ignoranza?
Nella sua triennale esperienza di ministro dell’Istruzione, si può dire che l’operato di Maria Stella Gelmini non sia stato particolarmente apprezzato, né dagli addetti ai lavori, né dagli insegnanti, né tantomeno dagli studenti.
L’espressione beatamente estranea ai fatti del ministro, coadiuvata nella sua azione di governo nientedimeno che da Giorgio Clelio Stracquadanio (recente critico fantasma del suo padrone S. B.), non ha certo aiutato ad aumentarne l’ascendente.
Eppure, il ministro qualcosa di positivo avrà pure dovuto farlo, se non altro per questioni probabilistiche.
È il caso, in effetti, del decreto ministeriale 1/11, che promuove, nel suo articolo 4, “specifici corsi di pratica musicale destinati a implementare l’approccio alla pratica vocale e strumentale e a fornire le competenze utili alla prosecuzione dello studio di uno strumento musicale”.
Ovviamente il trucco c’è, e si vede pure: l’attuazione del decreto riguarda poco più di cento scuole in Italia, per questioni di budget. Ancora una volta, dunque, l’offerta è limitata ad un ristretto numero di fortunati. E poco importa che una risoluzione del Parlamento Europeo (marzo 2009) raccomandasse l’obbligatorietà dell’educazione artistica e musicale nelle scuole di ogni ordine e grado.
Tuttavia l’intento legislativo, nonostante le sue ristrettezze, può comunque essere visto, con un po’ di ottimismo, in positivo. Cosa dice, in breve, il decreto? Considerata “l’opportunità che lo studio di uno strumento musicale specifico, unitamente alle attività di musica d’insieme, inizi fin dal terzo anno della scuola primaria, in maniera da diventare un’opportunità formativa propedeutica agli apprendimenti musicali della scuola secondaria di primo grado”, esso promuove “specifici corsi di pratica musicale destinati a implementare l’approccio alla pratica vocale e strumentale e a fornire le competenze utili alla prosecuzione dello studio di uno strumento musicale”.
Il decreto opera nell’ottica, dunque, dei famigerati curricoli verticali. E specifica anche chi deve occuparsi della didattica di questi corsi: il personale va reclutato preferibilmente tra le “risorse interne all’organico della scuola primaria”, in primis e quindi, a scalare, dentro l’organico delle istituzioni firmatarie del protocollo e tra le possibili risorse esterne. In tutti i casi, il personale scelto deve essere abilitato, secondo varie classi di insegnamento: la A31/A32 (insegnamento di educazione musicale in medie e superiori che lo prevedono) e/o la A77 (insegnamento di uno strumento nelle scuole medie a indirizzo musicale). Sebbene le cose stiano cambiando, ora come ora queste abilitazioni sono ottenute mediante un corso di due anni tenuto dal conservatorio con un meccanismo equiparabile a quello della SSIS: né lunga né diritta corre la strada, dunque.
L’articolo 3 del decreto ministeriale, a dire il vero, fa riferimento al personale abilitato secondo le classi di concorso citate, purché “l’utilizzo di detto personale non produca esuberi nell’organico destinato alla scuola primaria”; il decreto, quindi, esprime anche il tentativo (estremo e disperato, come sempre) di evitare lo spauracchio degli esuberi. Ma, se non altro, chiarisce come e perché selezionare il personale.
L’anomalia trentina (ter)
Qui entra in ballo l’ennesima anomalia trentina. In virtù e in nome dell’autonomia, infatti, il decreto ministeriale non è stato recepito. Vale, piuttosto, una delibera provinciale del settembre 2010, con la quale la Provincia di Trento promuove “progettualità individuate dalle istituzioni scolastiche del primo ciclo di istruzione, tese ad ampliare i programmi di istruzione musicale previsti dai vigenti ordinamenti” e stanzia 150.000 euro per l’anno scolastico 2010/2011 e a seguire, secondo successivi provvedimenti. Soldi questi, riproposti per massimo cinque anni, destinati solo a cinque istituti della provincia e in non più di cinque classi per istituto: a venticinque classi in totale, quindi. Il finanziamento, poi, copre al massimo il 60% della spesa; il resto lo mette la scuola. Un po’ pochino per “qualificare l’offerta scolastica e formativa”.
Non è difficile capire che 150.000 euro potrebbero tranquillamente essere impiegati per pagare insegnanti di ruolo nella scuola primaria, che potrebbero poi occuparsi di un numero di classi e di alunni superiore a quello previsto dalla delibera, fermi restando i vincoli imposti dal numero massimo di classi che ciascun insegnante specialista può coprire (otto) e dalle limitazioni alle dotazioni di plesso. E dunque?
Anche in questo caso il trucco si svela da sé. La Provincia infatti affida, di fatto, il servizio alle scuole musicali private e alle bande, che peraltro sono presenti (loro sì) sulla verticale del curricolo. Si manifesta, quindi, un problema più ampio che affligge la scuola trentina: quello dell’esternalizzazione dei servizi. Un metodo elegante per coltivare rapporti di cordialità e fidelizzazione (quando non di clientelismo) con gruppi di elettorato e, contemporaneamente, ottenere servizi a basso costo senza doversi occupare di contratti, sindacati, qualità.
Un atteggiamento, questo, che, oltre ad essere un po’ meschino, non sfugge all’irrazionalità. Le scuole musicali e le bande, infatti, fanno riferimento all’assessorato alla Cultura (e da esso sono finanziate): partecipando all’attività scolastica, indirettamente risultano spesate anche dall’assessorato all’Istruzione. “Two gust is megl’ che one”, come diceva Stefano Accorsi in una vecchia pubblicità del Maxibon Motta.
Chi proviene dalle bande e dalle scuole musicali non per forza deve avere una specifica formazione didattica; andrebbe quindi fatto un discorso di qualità del servizio, sia nel contesto sociale che in quello normativo.
È pur vero che, per qualità umana e formativa, nonché per l’amore (comunicato e trasmesso) per la musica, le scuole musicali trentine rappresentano un’eccellenza che poco ha da invidiare agli omologhi istituzionali, e che si pone evidentemente in contrapposizione con l’atteggiamento sovente spocchioso e un po’ fanatico del conservatorio. Così come le bande costituiscono non solo l’appassionante giocattolo di Franco Panizza, ma soprattutto un’occasione extra-scolastica di aggregazione e, almeno in parte, formazione certamente positiva, specie fuori dai grandi centri. Ma queste realtà - ecco il nodo del discorso - non possono rappresentare, come peraltro sostiene anche l’assessore Maestri, l’unica possibilità per avvicinarsi alla musica, come più in generale a qualsiasi altra attività formativa che rimane, per ora, ai margini dei curricoli.