Al contadino non far sapere...
I bilanci della cantina LaVis: le perdite, le opacità, i contratti capestro. Con l’uva dei soci pagata sottocosto, per remunerare la speculazione edilizia della finanziaria della Curia. Un ritorno al Medioevo: soldi dai contadini al vescovo.
Ai contadini che conferiscono alla cantina LaVis, nel 2008 l’uva era stata pagata 104,89 euro a quintale, nel 2009 scesi a 85,27, e nel 2010 crollati a 50 euro. 50 euro? Magari! Così dicono gli amministratori nelle conferenze-stampa, in realtà si tratta di 25 euro, più altri 25 prelevati dal fondo di riserva; che però deve essere ripristinato per legge entro l’anno, e lo sarà solo se la cooperativa avrà degli utili adeguati, altrimenti sono i soci, cioè ancora i contadini, che devono ripristinarlo, ridando indietro i 25 euro, cosa più che probabile date le pessime acque in cui annaspa la cooperativa.
Insomma, da oltre 100 euro a 25 (in pratica). Le aziende agricole si sono viste crollare gli introiti di molto sotto il punto di pareggio, e versano in gravi difficoltà, e così le famiglie che, abituate a un confortevole standard di vita, ora devono tirare la cinghia, e se hai acceso dei mutui può non bastare.
In questa situazione i contadini cercano una via d’uscita. La più ovvia è abbandonare la cantina in crisi, tirare una croce sui 50 euro promessi accontentandosi dei 25 incassati, tirare un’altra croce sulla quota sociale (qualche centinaio di euro), e nel 2011 conferire a un’altra cantina, ritornando così a incassare sui 70-80 euro a quintale o forse più. Sono circa 70 i soci in uscita, che la LaVis e la Federazione delle Cooperative cercano di bloccare in tutte le maniere. Ma è solo la punta dell’iceberg: i contadini di Salorno che oggi conferiscono a LaVis si sono messi a lavorare per costituire una propria cantina, sul modello sudtirolese oggi pagante (piccole cantine sociali e produzione di qualità, invece dei grandi numeri e delle grandi cantine trentine). Altri ancora stanno a guardare, ma mordono il freno.
Il fatto è che se inizia la frana, per LaVis è la fine. Per ogni socio che se ne va diminuisce il fatturato della cantina, ma le spese fisse e soprattutto i debiti restano uguali; e devono essere fronteggiati da un numero minore di soci. Che allora iniziano a pensare: chi me la fa fare a rimanere? Se si diffonde il panico, o anche solo il pessimismo, alla LaVis non resta che il fallimento.
Per evitare questa deriva tutti, ma proprio tutti, si sono messi a rivolgere accorati appelli ai contadini e a mettere robusti bastoni tra le ruote di chi vuole lasciare: dal commissario della LaVis Marco Zanoni, al presidente della Federazione delle Cooperative Diego Schelfi, al Presidente della Provincia Lorenzo Dellai.
Il socio e l’avventuriero
Il tema però, nel mondo cooperativo, è più generale, e riguarda l’annoso rapporto tra manager e soci. In questi anni si è enormemente dilatato il ruolo e il potere dei manager, che si sono lanciati in grandiose imprese economiche.
Imprese? Spesso avventure, approvate dalle assemblee dei soci, tenuti all’oscuro delle problematiche vere, e facilmente convinti con la ripartizione di utili consistenti. Ma le avventure non sempre sono a lieto fine; e quando i nodi sono venuti al pettine, molte di queste aziende sono entrate in crisi: il caseificio di Fiavè, alcune cantine minori, ora LaVis. Per i manager il grande gioco di spostare milioni da una parte all’altra è bruscamente finito e per i soci sono iniziati gli anni delle vacche magre.
La responsabilità quindi non è tanto, come da più parti si sente dire, ai contadini, “che hanno approvato sempre tutto”, ma al sistema cooperativo. Che ha lasciato briglia sciolta alle voglie di protagonismo di vari personaggi in cerca di successo; senza però predisporre i necessari meccanismi di controllo da parte della base sociale, in teoria proprietaria dell’impresa, in pratica espropriata delle decisioni, pur subendone in pieno, nel bene e nel male, le conseguenze economiche.
Insomma, una mancanza di sostanziale trasparenza e democrazia economica, rivelatasi esiziale. Il contadino alla mercè dell’avventuriero. Bel risultato!
A buoi scappati, si cerca di correre ai ripari. Anche perché non è detto che non ce ne siano altri in procinto di lascare la stalla.
Come abbiamo detto, il primo provvedimento è quello di impedire che i soci lascino le cooperative in difficoltà. Il secondo è promettere una svolta, all’insegna di maggior trasparenza.
Così Diego Schelfi dalle colonne del Trentino si rivolge ai contadini tentati di abbandonare la barca che affonda: “Li sollecitiamo vivamente a resistere; ma ciò non vuol dire che non dobbiamo guardare dentro i bilanci, dentro la gestione delle nostre cooperative, anzi lo dobbiamo fare con maggiore impegno”.
Prendiamo Schelfi in parola: guardiamo dentro il bilancio della LaVis e vediamo i provvedimenti che il movimento cooperativo riesce a prendere.
Un bilancio con sorprese
Il conto economico per l’anno 2009 ci dà subito un’idea molto chiara delle difficoltà della cantina: debiti per oltre 146 milioni, a fronte di ricavi dalle vendite (vini e frutta) per 99 milioni e un passivo di 1,8 milioni.
In poche parole, debiti tantissimi, molto superiori al giro d’affari complessivo, che peraltro registra una gestione ancora in perdita. Cui vanno aggiunti ulteriori gravi punti interrogativi: la reale esigibilità di una serie di crediti e lo stato di salute delle società controllate (Casa Girelli, Cesarini Sforza e le tenute toscane di Poggio Morino e Basilica Cafaggio), acquisite negli ultimi stolidi, megalomani anni.
Se si approfondisce, salta fuori di peggio. Nella sua relazione, il commissario Zanoni scrive di aver provveduto a svalutare dei “crediti inesigibili” che invece gli amministratori precedenti avevano iscritto tra gli attivi. Il che, se non andiamo errati, potrebbe anche configurare il reato di falso in bilancio. Gli autori, cioè gli amministratori, sono stati denunciati all’autorità giudiziaria come è stato chiesto dall’assemblea dei soci? Non risulta. Anzi, sono stati riconfermati tra i vertici della società, e il direttore Fausto Peratoner, vero numero uno della cantina, è testé stato nominato direttore commerciale di Casa Girelli, e l’altro big, Cesare Andermarcher, direttore generale.
Altra perla, il contratto capestro stipulato con la Wine & Food, su cui ci riserviamo successivi approfondimenti. Stipulato da Casa Girelli, prevede come unico venditore negli USA ed Inghilterra la Wine & Food, e una forte penale in caso di recesso dallo stesso. Il punto è che il tramite con tale società risulta ogni anno in forte perdita, ma a causa della penale non è possibile sganciarsi.
Il patto sciagurato con la finanziaria della Curia
Ma dove secondo noi si tocca il fondo, è nei rapporti con l’Isa, la potente e onnipresente finanziaria del vescovo. LaVis, assieme ad Isa, rilevò a suo tempo Casa Girelli, in gravissima crisi. Senso industriale dell’operazione, nessuno: Casa Girelli è un imbottigliatore di vino da battaglia, da commercializzare nei supermercati ed hard discount soprattutto esteri, niente a che vedere con la produzione di qualità di LaVis. L’acquisizione aveva una finalità meramente speculativa: la Girelli occupa un terreno a Trento sud ormai inglobato nella città e una sua trasformazione urbanistica in edificabile ne farebbe lievitare il valore. Di qui la joint venture con Isa, che con i vini non c’entra, ma con la speculazione edilizia sì, e molto.
Fin qui, niente da obiettare: la speculazione edilizia è poco conforme sia ai principi evangelici come alle finalità mutualistiche, ma che Gesù Cristo e don Guetti servano solo a infiorettare i discorsi lo si sa da tempo. Il grave viene nel rapporto tra i due soci in affari, LaVis e Isa. Sì, perché la finanziaria vescovile riesce a siglare con la cantina un incredibile patto leonino: passati 5 anni dall’acquisto di Girelli, Isa ha diritto di recesso, vedendosi rimborsata la propria quota con un interesse annuo composto di più dell’11%. Cioè, se la speculazione riesce, LaVis e Isa si dividono la torta, ma se non riesce (come è successo, i tempi di trasformazione urbanistica si sono rivelati molto più lunghi) Isa esce dall’affare, con LaVis che ne paga la quota molto lautamente remunerata. La finanziaria ci guadagna sempre, foraggiata dalla cantina babbea, che si assume i rischi e l’onere di remunerare comunque l’augusto partner. Ed ecco così che a bilancio LaVis si trova sul groppone la quota di Casa Girelli che deve rimborsare a Isa, 8 milioni, diventati 12 causa lo smodato interesse riconosciuto.
Il bello è che il commissario Zanoni, di fronte a questo pasticcio, usa con Isa un trattamento di assoluto riguardo: mentre, come abbiamo visto, ai contadini paga l’uva sottocosto (con 25 euro a quintale nessuno rientra dalle spese) si guarda bene dal rinegoziare il patto scellerato sottoscritto con la finanziaria, che viene assunto come dato immodificabile e di cui si limita a rateizzare il pagamento. In pratica, siamo tornati al medioevo: i contadini a tirare la cinghia per dare soldi al vescovo.
Il socio troppo curioso
Su questo i soci vorrebbero chiarezza. E qui salta fuori l’opacità della cooperativa.
All’inizio dell’anno un socio si mette in testa di chiedere i documenti, per vedere i termini reali di questo anomalo rapporto con la finanziaria vescovile. Aggiunge un’altra richiesta: le relazioni dei consulenti della Cassa Rurale di Lavis che, in occasione degli ultimi due prestiti, avevano vivacemente sconsigliato la concessione degli stessi, data la situazione perigliosa dei conti della cantina. La Cassa Rurale poi, probabilmente per motivazioni politiche, i mutui li aveva ugualmente concessi (e così si è inguaiata anche lei); ma il ragionamento del socio è il seguente: se il consiglio di amministrazione della Cantina si è trovato di fronte a relazioni esterne che erano campanelli, anzi sirene d’allarme, come mai non ne ha tenuto conto? Perché non li ha condivisi con l’assemblea dei soci, tenuta invece all’oscuro? E comunque, perché deve essere ritenuta creditrice privilegiata una banca che scientemente ha concesso mutui ad alto tasso di rischio? Si torna al cuore del problema: i soci sono stati degli sprovveduti a fidarsi ciecamente degli amministratori, d’accordo, ma non lo è stato almeno altrettanto la banca, a non seguire le raccomandazioni dei consulenti? E perché i primi devono rimetterci e la seconda no?
Ecco quindi che all’inizio di febbraio il socio curioso chiede la documentazione a quella che dovrebbe essere la sua azienda. La quale prima prende tempo (“La persona che deve risponderle è ammalata, ha la febbre”: ma come? Mica si deve rispondere, si devono consegnare documenti) tergiversando per tre settimane, poi, dopo telefonate e sollecitazioni, fornisce la seguente risposta: “Siamo spiacenti comunicarle che la stessa (la domanda) non può essere accolta per sostanziale difetto di legittimazione, sia perché la richiesta è comunque immotivata e riguarda documenti relativi a soggetti terzi e comunque non in nostro possesso”.
Cosa vuol dire? Che un socio non è “legittimato” a conoscere la documentazione? Che deve “motivare” adeguatamente, secondo le insindacabili valutazioni del manager o del commissario? Schelfi, è questa la “trasparenza” di cui tanto parli? La “centralità del socio” per la quale i soci dovrebbero “resistere”, fare sacrifici?
Infine l’ultima riga: la richiesta “riguarda documenti relativi a soggetti terzi”; tradotto, vuol dire che le relazioni della Cassa Rurale le ha la Cassa, e il contratto con Isa l’ha Ethica, la controllata di LaVis che ha stipulato l’acquisto di Girelli. E qui casca un altro palco. Perché, se è vagamente comprensibile che una banca, per quanto cooperativa, tenga per sé la propria documentazione (magari saranno i soci della Cassa Rurale a poter avanzare richieste e dubbi), con la gabola di Ethica non ci siamo proprio. Perché Ethica spa (mai nome fu più ridicolo!) è società controllata al 100% da LaVis. E questo, di utilizzare le controllate per tenere al riparo le operazioni più spericolate, è una prassi vergognosa.
Vuol dire scientemente espropriare i soci dei loro poteri e diritti. Soci che, lo ricordiamo ancora una volta al commissario Zanoni, sono i proprietari della cantina, la quale è unica proprietaria della controllata!
Il socio in realtà viene espropriato del diritto di conoscere, e quindi di concorrere alle decisioni, anche dopo che le stesse sono prese. Non gli vengono sistematicamente fornite le informazioni su certe operazioni.
Insomma, che deve fare il contadino? “Resistere”. Stringere la cinghia. E non fare certe domande.