Il contadino rassegnato
Cantina LaVis, lo scambio sottaciuto: se state buoni vi salveremo. La cooperazione di Schelfi sempre più in basso.
Doveva essere un’assemblea tranquillizzante quella del 20 maggio alla Cantina LaVis. Il commissario Marco Zanoni si dava da fare: presentava in pompa magna Sandro Pancher, presidente di Promocoop che portava un milione di prestito (ma su almeno 85 di debito è una goccia nel mare); ventilava gli importi che si dovrebbero ricavare vendendo il terreno di Casa Girelli a un immobiliarista che ci potrebbe realizzare una ghiotta speculazione (ma il terreno urbanisticamente è ancora area produttiva, perché mai tutta la plusvalenza da cambiamento a residenziale dovrebbe andare al pescecane di turno?); presentava come ricco regalo ai soci la possibilità di usufruire, loro e famiglia, di uno sconto del 15% su improbabili pranzi e pernottamenti all’agritur stellato di Maso Franch (una delle tante dementi avventure che ancora gravano sui bilanci della cantina); annunciava i prezzi delle liquidazioni per la prossima vendemmia, 61,75 euro a quintale, meglio dello scorso anno ma sempre molto meno di quanto paga la confinante cantina di MezzaCorona; proponeva di avviare la separazione del reparto mele, con la creazione di una seconda cooperativa distinta, presentando l’operazione come un momento di razionalizzazione aziendale (in realtà i melicoltori, della LaVis non si fidano più, e vogliono abbandonare la barca pericolante).
Mentre Zanoni si dava da fare per comunicare serenità (“il peggio è passato”), i 500 contadini in assemblea ascoltavano assorti, desiderosi di potergli credere.
Poi interveniva il socio rompiscatole, con tutta una serie di articolate contestazioni, trascritte anche su un volantino distribuito in precedenza. I dati del conto economico erano presentati solo a voce: come si poteva deliberare consapevolmente senza essere stati messi in grado di studiarli con calma? Perché il commissario si ostina a non rendere pubblica la documentazione sull’acquisto di Casa Girelli, sui rapporti con la finanziaria Isa, sui contratti con le società di commercializzazione che creano passivi milionari ogni anno? Perché vengono tenuti ai posti di comando i manager responsabili di tutti questi affari sballati?
Il socio poi allegava e consegnava al Commissario uno sconcertante documento: una fidejussione contratta dalla LaVis in favore della finanziaria ISA, dalla quale risultava che la finanziaria del vescovo non si accollava alcun rischio, mentre la cantina le garantiva, in ogni caso e a carico dei soci, un profitto spropositato. Il socio chiedeva lumi sull’autenticità dell’incredibile documento.
Zanoni, per tutta risposta, si comportava male, molto male. Aveva iniziato impedendo al socio di distribuire l’intervento all’interno della cantina, e costringendolo quindi a volantinare all’ingresso, come un militante di Lotta Comunista. Poi gli impediva di parlare dall’apposito palchetto (“per farmi domande basta che stia al suo posto”).
Ma come? I soci non possono dibattere tra loro in una loro assemblea, o devono solo rispettosamente inoltrare domande al dirigente? Insomma, il commissario si comportava da autentico padrone del vapore, a ribadire ancora una volta la cruda realtà: la cooperativa non è dei soci, come predicano i papaveri durante i troppi convegni, ma della casta dei boss e manager, il socio è carne da cannone.
All’intervento critico seguiva a ruota uno di sostegno del commissario: “I dati che ci ha fornito io li ho capiti, non c’era nessun bisogno che li consegnasse prima... dobbiamo tutti avere fiducia...”. L’assemblea aveva accolto con un applauso molto forte, ma anche molto minoritario l’intervento del contestatore; accoglieva con un applauso contenuto, ma ampio, il supporter del commissario.
A questo punto Zanoni si rilassava, e diventava ecumenico: “Sono stati due begli interventi, che ho apprezzato...” E si guardava bene dal rispondere alle domande che gli erano state poste.
L’assemblea
I contadini ascoltavano in silenzio. Alcuni - pochi, molto pochi - ogni tanto scuotevano la testa; la stragrande maggioranza era assorta. Il male minore. La riduzione del danno.
Si rendevano conto di essere stati turlupinati da una dirigenza che aveva inseguito strampalati sogni di gloria personale. Ma a questo punto diventavano napoletani... scurdammoce ‘o passato. Per uscire dalla crisi, si deve sperare nel potere politico. Dellai ha già iniziato a dare una mano (acquisto da parte della Pat di Maso Franch a prezzi molto generosi) e altro ancora potrà dare; ma è chiaro quello che, attraverso il commissario da lui nominato, vuole in cambio: che gli scheletri restino nell’armadio, che i rapporti con la finanziaria del vescovo restino tabù, che il direttore Peratoner, primo responsabile del disastro, non venga allontanato. E i contadini si adeguano.
La cooperazione
La vicenda della LaVis a noi sembra molto grave. Indica un latente corrompimento della cooperazione.
Il movimento cooperativo si vanta di essere fatto di imprese che coniugano finalità sociali e capacità di stare sul mercato. Questa vicenda invece racconta un’altra storia: quella di uno staff dirigente che non san stare sul mercato, che cerca la propria strada attraverso pelosi rapporti con la politica e con i poteri forti (la finanziaria del vescovo che beneficia di incredibili favori). E che poi dalla politica, cioè dai soldi della collettività, di tutti noi, viene salvata.
A che serve una cooperazione siffatta? Se questo modello si espande, non è tutto il movimento a perdere credibilità? Perché mai dovrebbero essere i cittadini a pagare il conto di un sistema viziato in partenza?
Perché - attenzione - questa commistione di interessi che diventa autentico conflitto, si riproduce agli stessi massimi vertici della cooperazione. Il presidente della Federazione delle Cooperative, Diego Schelfi, oltre ad essere sodale di Dellai (non è una colpa), viene dalla presidenza di Isa, di cui è ancora consigliere di amministrazione. Quando una cooperativa come LaVis intrattiene rapporti sospetti, perniciosi per i soci, con Isa, il presidentissimo Schelfi, da che parte sta?
In un altro caso, quello dell’ex-Italcementi, da che parte Schelfi stia è chiaro. Come presidente Isa aveva acquistato il terreno e poi, a prezzo ovviamente maggiorato, lo aveva rivenduto a Diego Schelfi presidente della Federazione Cooperative; e ora, a prezzo ancora maggiore, lo rivende alla Provincia, cioè a Dellai. Qui non c’è alcun conflitto di interessi: Isa, Coop e Pat, il giro di amici e amici degli amici, agiscono concordi: nell’intascare i soldi di tutti.
Ma appunto: in discussione è la credibilità della cooperazione. Che con questo andazzo rischia di trasformarsi, da elemento propulsore in concrezione parassitaria.
La cosa incomincia a essere palese. E indigesta. Al punto che Diego Schelfi, dato fino a un anno fa in pole position alla successione di Dellai, è uscito dal novero dei candidati causa tracollo di popolarità. E invece è diventato candidato a succedere, ancora, a se stesso: a via Segantini stanno impostando una variazione allo statuto per prevedere una deroga al limite dei mandati che attualmente gli vieterebbe la rielezione.
Lui, sereno ha avuto il coraggio di affermare: “Io della deroga non ho intenzione di avvalermi!” Insomma, i suoi galoppini si darebbero tanto da fare solo per favorire, tra dieci anni, l’attaccamento alla poltrona del successore...
Non fanno neanche ridere. E trascinano nel discredito l’insieme del movimento cooperativo.